Aldo Cazzullo,
Metti via quel cellulare,
Mondadori, Milano 2107,
pp. 195, euro 17
Cellulari: croce e delizia di adulti (molti) e ragazzi (tutti). Un rapporto controverso, quello che i nostri figli e nipoti hanno con i “telefonini” e, più in generale, con PC, tablet, play-station… e con i social network (rapporto del quale abbiamo parlato nell’ultimo numero di questo notiziario, accennando alla responsabilità dei genitori per un uso non scriteriato dello smartphone). Da un lato si ampliano le possibilità di comunicazione in un universo privo di spazio e anche, in parte, di tempo; dall’altro si restringe la dimensione umana dei rapporti sociali, affettivi, comunicativi.
Angosciato dalla apparente alienazione dei suoi figli Rossana e Francesco dovuta al cellulare, Aldo Cazzullo, editorialista del Corriere della Sera, instaura con i due ragazzi un dialogo serrato nel quale, pur riconoscendo i vantaggi della odierna tecnologia, deplora quell’universo a due che caratterizza troppo spesso un giovane e il suo cellulare (e nei frequenti eccessi si potrebbe ben parlare di folie a deux, non più fra due persone, bensì fra un umano e una macchina). “Siete una generazione con lo sguardo basso” – sostiene Cazzullo, non polemicamente ma “con infinito amore e un po’ di preoccupazione” – contagiata da un “narcisismo di massa”. In rete “tutti chiacchierano, molti gridano, qualcuno insulta, minaccia, calunnia; e nessuno ascolta”. Insomma, “la rivoluzione digitale è il più grande rincoglionimento di massa nella storia dell’umanità”. I figli – 18 anni Rossana, 20 Francesco – ribattono colpo su colpo: non è vero che il cellulare allontana, isola dal mondo, anzi avvicina, connette, facilita (ma è evidente che ci sono molte forme di allontanamento/avvicinamento). Non è vero che la rete distrugge il lavoro, semplicemente lo cambia.
Si sviluppa così un dibattito padre-figli, nel quale ognuno sostiene le sue ragioni, i suoi punti di vista. Il padre non vive sulla luna, capisce bene i vantaggi della rete, degli smartphone, insomma della rivoluzione digitale. Ma, per evidenti ragioni generazionali, è più portato a cogliere anche i risvolti negativi. Per gli stessi motivi anagrafici ai ragazzi sfuggono certi paragoni, certi raffronti con un passato diverso. E soprattutto sfugge il rischio della dipendenza. Una dipendenza subdola e fascinosa, fatta di chat, videogame, messaggini, faccine… un continuum che – è il timore di Aldo Cazzullo – rischia di allontanare dal mondo reale per introdurre in un universo virtuale dove tutto sembra facile, disponibile, a portata di mano. Rossana fatalisticamente risponde: “Ormai il cambiamento è avvenuto e non si può tornare indietro, bisogna trovare il modo di adattarsi a questa rivoluzione, traendone il meglio senza lasciarsi sopraffare”. Francesco difende i videogiochi: “coltivano la fantasia, mica la distruggono”. Lui e la sorella controbattono l’accusa paterna di anonimato che copre ogni viltà in rete: “l’anonimato a volte protegge i vigliacchi; altre volte difende i fragili”.
Sono moltissimi gli aspetti presi in considerazione dai “duellanti” padre e figli: dal potere occulto di chi manovra i fili agli enormi interessi economici dietro le quinte, al rischio di manipolazione delle menti a quello delle fake news, le “bufale” in rete, alle vendite on-line che – sostiene Cazzullo – uccidono il piccolo commercio, le botteghe, i mercati, i laboratori artigianali. E poi il rapporto del cellulare con la scuola (e il diffuso fenomeno delle chat dei genitori) l’istruzione, la Storia, il populismo politico che corre in rete.
La conclusione di questo libro? Abbastanza ovvia ma profondamente logica, potrebbe essere in questa frase: “Lo strapotere digitale può renderci migliori. Ma può anche creare una generazione di semianalfabeti”.