Con il terremoto politico in corso è impossibile fare previsioni sul futuro del contestatissimo ddl 735, più noto come ddl Pillon dal nome del suo relatore, il sen. Simone Pillon, sul diritto di famiglia. Per ora è stato deciso che la discussione del disegno di legge riprenderà a settembre e che il testo andrà unificato con altri cinque disegni di legge sulla stessa materia. Sulla “qualità” del testo, l’I.S.P. ha rilevato in più occasioni numerose criticità, storture e illogicità; tuttavia – non condividendo da un lato l’entusiastico appoggio di alcune associazioni di padri separati e dall’altro il virulento attacco delle associazioni femministe e dei centri antiviolenza – ha anche sostenuto che alcune innovazioni previste apparivano rispondenti a criteri di equità.
In attesa di vedere cosa accadrà, non possiamo non riflettere sull’enorme uso di energie e di tempo impiegato – speriamo non inutilmente – per le oltre cento audizioni tenute in Commissione Giustizia.
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Può accadere che un uomo apprenda di non essere il padre biologico dei suoi figli (una percentuale piuttosto elevata fra quanti – evidentemente con qualche sospetto – ricorrono al test del DNA: il 15% secondo alcune stime, addirittura uno su tre secondo altre). Sorvoliamo sull’impatto psicologico ed emozionale che una simile scoperta può avere su un uomo; è evidente che questo comporti un rilevante danno biologico e che nei confronti della donna che scientemente ha tenuto nascosta la verità – al di là di ogni valutazione morale – andrebbero presi provvedimenti legali. In realtà, spesso lunghe e stressanti vicende giudiziarie sono di scarsa soddisfazione per il mancato padre. Anche la decisione presa dal Tribunale di Bari per uno di questi casi è giunta dopo molto tempo dai fatti, perché il protagonista scoprì di non essere il padre dei due bambini che credeva suoi alla fine del 2001. Glielo gridò la ex moglie durante un litigio scoppiato perché l’uomo – dopo la separazione – chiedeva di trascorrere più tempo con quei bambini. Dopo il procedimento per il disconoscimento di paternità, la richiesta di risarcimento per danno biologico. Richiesta accolta dalla giudice Laura Fazio, la quale ha sentenziato che il comportamento della donna aveva leso “diritti fondamentali della persona, come l’onore e il rispetto” e ha condannato la madre a un risarcimento di 208 mila euro.
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Finalmente l’Europa (tanto sotto accusa di questi tempi) ha detto la sua sui congedi di paternità alla nascita: almeno dieci giorni di congedo retribuito come l’indennità di malattia. Lo ha deciso il Parlamento europeo con 490 voti a favore, 82 contrari e 48 astensioni. Come è noto, in Italia attualmente il congedo alla nascita per i padri è di cinque giorni ed è misura ogni anno a rischio. I deputati hanno inoltre aggiunto due mesi al congedo parentale, retribuiti e non trasferibili (possono essere goduti indifferentemente da uno dei due genitori). L’effetto della decisione europea non è immediato: gli Stati membri hanno tempo fino al 2022 per recepire la direttiva nei propri ordinamenti, nel tentativo – è detto in un comunicato del Parlamento Europeo – “di aumentare le opportunità delle donne nel mercato del lavoro e rafforzare il ruolo del padre, o di un secondo genitore equivalente, nella famiglia”.
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Continuano le precisazioni della Cassazione sull’assegno di divorzio, la sua natura e i criteri ai quali deve uniformarsi il giudice nello stabilirne l’entità. Dopo la famosa sentenza del 2017 (la n. 11504) e quella n. 18287 a Sezioni Unite del 2018 (nonché altre meno significative, di legittimità e di merito), La Suprema Corte è intervenuta di nuovo con la sentenza n. 21228/2019. In questa pronuncia i giudici elencano in sette punti, con molta chiarezza, gli elementi di valutazione del giudice. Merita riportare il principio di diritto affermato in conclusione dagli ermellini: “In definitiva il giudice deve quantificare l’assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita famigliare, ma in misura adeguata innanzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza economica del coniuge non autosufficiente, intendendo l’autosufficienza in una accezione non circoscritta alla pura sopravvivenza, ed inoltre, ove ne ricorrano i presupposti, a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato, in funzione di contribuzione ai bisogni della famiglia, a realistiche occasioni professionali-reddituali, attuali o potenziali, rimanendo in ciò assorbito, in tal caso, l’eventuale profilo assistenziale”.
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Si sa da tempo che i rischi per il neonato (ed anche per la gestazione) aumentano con l’aumentare dell’età della madre. Da qualche anno a questa parte studi scientifici sottolineano anche i rischi – per il neonato ma anche per la madre – legati ad un’età matura (diciamo oltre i 45 anni) dei padri. L’ultimo in ordine di tempo è quello svolto da Gloria Bachmann, ginecologa della Rutgers University che ha analizzato ricerche svolte negli ultimi 40 anni sul rapporto fra età del padre e salute della madre e del neonato. Con padri over 45, aumenta per le madri il rischio di diabete gestazionale e di parto prematuro, mentre per il neonato aumentano le possibilità di avere tumori infantili e disturbi psichiatrici e cognitivi. Tutto questo è dovuto alla progressiva mutazione nel DNA degli spermatozoi. I padri anziani sono sempre più frequenti grazie alle tecniche di fecondazione assistita.
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Anche a Treviso, da questa estate, è attiva una “Casa per i papà”, ossia una struttura abitativa destinata ad accogliere temporaneamente padri separati o divorziati che si trovino in condizioni disagiate consentendo loro di ospitare i figli e favorendo così il rapporto genitoriale. L’iniziativa si deve a una serie di enti e associazioni (capofila di queste ultime “Volontarinsieme” – CSV Treviso) ed ha il patrocinio del Comune di Treviso. L’abitazione potrà ospitare fino a tre padri, per un periodo di nove mesi prorogabile fino a dodici. Secondo “Volontarinsieme” il 10% dei padri che si separano vengono a trovarsi in una condizione di marginalità.
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Archiviato il caso di Daniele Carli, l’uomo che il 18 maggio 2018 dimenticò la figlioletta di un anno in auto, sotto il sole, provocandone la morte. Carli, un ingegnere, dimenticò la bimba dopo aver parcheggiato l’auto davanti alla ditta di San Piero a Grado (Pisa) nella quale lavorava. Avrebbe dovuto accompagnarla all’asilo prima di recarsi al lavoro, ma, secondo gli accertamenti peritali, ebbe una “amnesia dissociativa transitoria” che gli fece scordare la sua presenza. “Da un punto di vista emotivo” – ha commentato l’uomo – “è una cosa che non cambia molto lo stato d’animo che vivo tutti i giorni”.
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Fumare in gravidanza fa male, si sa. E sappiamo che anche il fumo passivo fa male non solo alle future mamme ma anche al nascituro. Ma chi è che, troppo spesso, fuma vicino alle mamme in attesa? I futuri padri, naturalmente. Ora uno studio del National Defence Medical Center di Taipei, condotto su 756 bambini da quando erano nella pancia della mamma fino ai sei anni e pubblicato su Frontiers on genetics, rileva un nesso fra bambini esposti al fumo paterno e bambini che hanno sviluppato l’asma (31% contro il 23% di bambini i cui padri non fumavano). La ricerca ha anche evidenziato una proporzione diretta fra il numero di sigarette fumato dai padri e il rischio di sviluppare l’asma.
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Una battaglia per la paternità durata 18 anni. E’ quella condotta dall’attore Fabio Camilli, che una sentenza della Cassazione ha riconosciuto essere figlio del cantante Domenico Modugno. Camilli nacque nel 1962 da Maurizia Calì, ballerina e regista. Lei e il cantante si erano conosciuti durante le prove del Rinaldo in campo (Modugno era già sposato con Franca Gandolfi, con la quale ha avuto te figli). Naturalmente, è stato l’esame del DN a dare una svolta alla vicenda, cominciata nel 2001. Sulla base del test, nel 2014 il Tribunale di Roma aveva sancito il rapporto di paternità, ma i tre figli del cantante avevano impugnato la sentenza (in ballo c’erano cospicui diritti d’autore sulle canzoni di Modugno). Così è stato necessario arrivare all’ultimo grado di giudizio. Nel lungo iter giudiziario Fabio Camilli – anzi Modugno, come ora chiede di essere chiamato – è stato assistito dall’avv. Gianfranco Dosi.
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Una notizia così non poteva finire che nella rubrica “Cronache marziane” del venerdì di Repubblica (ripresa da La Gazzetta di Modena). Fermato dai carabinieri mentre era alla guida di un’auto e sprovvisto di patente, ha mostrato ai militari quella di un suo amico (e la foto? La notizia non spiega: forse l’amico gli assomigliava) e ha detto che i due bambini in auto con lui erano “conoscenti”. Invece i due piccoli erano i suoi figli. Naturalmente è stato scoperto e denunciato per false generalità.