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La figlia undicenne aveva regalato un braccialetto (di non grande valore) preso in casa ad una cuginetta e il padre non ha trovato di meglio, per punirla, che farla rasare a zero. E’ accaduto in un paese vicino a Roma. L’uomo, dopo aver rimproverato la bambina per la sua iniziativa, ha pensato che ciò non bastasse. Ha portato la figlia dal parrucchiere e l’ha fatta rasare a zero. Immaginabile la disperazione della ragazzina, privata della sua folta chiama castana di cui era così orgogliosa. Fra pianti e urla, la punizione ha scatenato le ire della madre, che prima ha accompagnato la figlia in ospedale (perché in ospedale? Per il trauma subito? La cronaca non chiarisce) poi ha denunciato il marito. Risultato: al padre è stata sospesa per un anno la potestà genitoriale. L’uomo è inoltre indagato per i reati di violenza privata e lesioni nei confronti della figlia.

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Che il rapporto padre-figlia potesse influire sull’immagine di sé di una ragazza adolescente – e quindi essere all’origine di disturbi dell’alimentazione – era noto da tempo, ma si era sempre pensato che anoressia e bulimia fossero legate alla figura di un padre assente e di una madre iper-presente e possessiva. Ora uno studio australiano, della Charles Sturt University, assolve le madri e attribuisce ai padri – distanti ma anche troppo intrusivi – la responsabilità. Condotto su un campione di donne con disturbi di alimentazione, la ricerca era mirata a evidenziare nei soggetti esaminati la percezione del proprio padre. E’ risultato che il 42% delle pazienti fra 37 e 55 anni aveva un padre iperprotettivo, mentre il 36% aveva un padre distante”. Solo una su cinque aveva un padre che era definito “amorevole”. Purtroppo le notizie di cronaca non permettono di conoscere nei dettagli il disegno di ricerca e in particolare le variabili prese in esame.

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Due sentenze della Cassazione che faranno discutere. La prima è del 23 settembre, n. 18817 e per la verità conferma un principio espresso da altre sentenze (il che non toglie che possa lasciare perplessi): un bambino per il quale il Tribunale di Bologna aveva deciso il “collocamento” al padre (evidentemente per motivi più che validi, vista la rarità di simili provvedimenti) in un affido condiviso, torna dalla madre se la nuova compagna del genitore aspetta un figlio. La Corte ha confermato la decisione della Corte di Appello di Bologna, la quale aveva ribaltato il provvedimento di primo grado, condividendone la motivazione: il bambino rischia di perdere la centralità per l’arrivo del nascituro. Deve quindi essere trasferito alla madre, che può dargli più attenzioni.

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