Ennesima condanna all’Italia da parte della Cedu (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) per violazione del “diritto al rispetto della vita privata e familiare”, così come concepito dall’art. 8 della Convenzione. La sentenza trae origine dal ricorso (n. 66396/2014) presentato da un padre che, dopo la separazione dalla moglie, non era più riuscito a mantenere un rapporto adeguato con la figlia perché ostacolato in tutti i modi dall’ex coniuge. L’uomo, con ricorso d’urgenza, si era rivolto al Tribunale nel luglio 2011, ma la decisione era giunta a novembre (affido condiviso, collocamento presso la madre, orari di visita giudicati dal padre insufficienti). Inutile il ricorso alla Corte d’Appello per ampliare i periodi.
La Corte europea ha stigmatizzato i ritardi che hanno caratterizzato tutto l’iter giudiziario, osservando che, di fatto, le autorità italiane hanno tollerato che la madre continuasse a decidere autonomamente le modalità con le quali l’uomo poteva vedere sua figlia, ledendo quindi il diritto dell’uomo alla vita familiare. E’ invece dovere della autorità nazionali – ha osservato la Corte – “non solo adottare misure adeguate che sanzionino il comportamento di un genitore che impedisce all’altro di mantenere una relazione affettiva con il figlio, ma anche quello di prendere delle decisioni rapide dinanzi a tale atteggiamento, considerati i rischi che derivano dal trascorrere del tempo”. L’Italia è stata condannata a pagare al ricorrente tremila euro per danno non patrimoniale e 12mila euro per spese processuali.