Non trova pace la questione dell’assegno di divorzio e del “tenore di vita”, dopo la famosa “sentenza Grilli” dell’11 maggio 2017 che sembrava aver mandato in soffitta il criterio. Il 10 aprile scorso, infatti, si è svolta l’udienza a sezioni unite della Corte di Cassazione chiamata a decidere sulla questione.
L’ennesimo “passaggio” è scaturito dal ricorso di una donna contro l’ex marito che aveva ottenuto la revoca dell’assegno di divorzio fino ad allora corrisposto. Il caso è stato assegnato alle sezioni unite, la cui decisione è prevista fra circa un mese. Il 10 aprile, intanto, il PG della Corte, Antonio Matera, ha chiesto che il criterio del tenore di vita continui ad essere tenuto in considerazione come uno dei criteri ai quali fare riferimento. “Ogni singolo giudizio” – ha detto Matera – “richiede necessariamente la valutazione della peculiarità del caso concreto perché l’adozione di un unico principio di giudizio – come quello stabilito dalla sentenza del 2017 – corre il rischio di favorire una sorte di giustizia di classe”.
Secondo il Procuratore Generale, si può anche concordare “sul fatto che il criterio dell’autosufficienza può essere preso come parametro di riferimento, ma non si può escludere di rapportarsi anche agli altri criteri stabiliti dalla legge quali la durata del matrimonio, l’apporto del coniuge al patrimonio familiare, il tenore di vita durante il matrimonio”.
Frattanto, numerose associazioni femministe e molte professioniste hanno firmato un appello alle Sezioni Unite chiedendo che il criterio del tenore di vita non sia abolito ma confermato. Le firmatarie – tra le quali la sociologa Chiara Saraceno e la statistica Linda Laura Sabbadini, giusto per citare due nomi molto noti – sostengono che l’Italia è un Paese con un “forte squilibrio di potere sia nelle relazioni familiari sia nella vita lavorativa” e che il parametro del tenore di vita ha garantito a molte donne, dopo il divorzio, la semplice sussistenza. L’orientamento della giurisprudenza inaugurato dalla sentenza Grilli, secondo le firmatarie dell’appello, “recependo lo stereotipo sessista sulle ex mogli, donne avide a scapito degli ex mariti, ignora la realtà dei rapporti sociali e familiari in Italia”.
L’I.S.P. ha espresso (e motivato) in altre occasioni il suo parere, contrario al criterio del “precedente tenore di vita”, che ritiene illogico, ingiusto e anacronistico. Dei tre elementi citati dal Procuratore Matera troviamo legittimi – perché rispondenti a un criterio di equità – i primi due: la durata del matrimonio e l’apporto del coniuge al patrimonio familiare (ai quali andrebbe affiancato quello – che fu il nucleo della sentenza Grilli – dell’autosufficienza economica dell’ex coniuge). Il mantenimento del precedente tenore di vita ha molte probabilità di tradursi – come si espressero i giudici di quella sentenza – in una “concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come una sistemazione definitiva”.