
Editore: La Lepre Edizioni
Anno: 2022
Pagine: 106
Abbiamo mai provato a metterci nei panni di chi non ha mai conosciuto un padre (o, meno di frequente, una madre)? Difficile empatia, perché, come scrive l’autrice, “esistono padri di ogni genere, affettuosi, indifferenti, violenti, assenti, ma ci sono”. Lo strazio è quando quel padre non c’è, non c’è mai stato. Difficile empatia, dicevo, eppure leggendo questo libro possiamo avvicinarci a quel mondo interiore sovrastato da un’assenza, da un fantasma che di continuo ricorre. Attraverso uno stile asciutto, secco, improvviso – come improvvisi sono i sussulti di chi ha aspettato per 40 anni un padre che l’aveva rifiutata fin dalla nascita – seguiamo con la piccola Annie che diventa donna il cammino che la porterà a incontrare quel padre. Sullo sfondo della storia materna, l’unica che lei conosca, il genocidio degli Armeni.
Bastano poche parole, poche frasi, a scolpire le sensazioni, i sentimenti, le emozioni: “Tutto ciò che per gli altri è naturale io lo invento, lo immagino, lo creo”. E ancora: “Piangere tutto il tempo perduto a sognarlo, immaginarlo accanto a sé, a sperare di incontrarlo perché la riconoscesse come figlia. A dieci anni piangeva a letto ogni sera, lacrime solitarie. (…) Quei pianti sono durati per qualche settimana, ogni sera, con una precisione da orologio. Poi sono spariti, senza spiegazioni. Un’angoscia di vita, di morte, di quello che accadrà”.
Come tutti i bambini che hanno un padre (e ancor più quelli che non l’hanno) Annie fantastica su quel genitore, che ai suoi occhi assume “tutte le qualità del mondo, in ogni caso qualità diverse da quelle di sua madre” (e si noti che Rosy, la madre di Annie, non ha mai saputo chi fosse suo padre). E’ dunque – nella sua immaginazione – un uomo affascinante: ricco, spigliato, dotato di umorismo, potente e stimato, sicuro di sé.
E’ difficile la ricerca di un amore che non c’è mai stato: “Si possono amare soltanto coloro che ti hanno cresciuta, coloro che hai cresciuto, coloro con cui vivi”. E tuttavia un giorno Annie, divenuta donna, bussa alla porta di quell’uomo. Le apre la moglie del padre. Accogliente, quasi affettuosa. Le prepara il tè, le fa conoscere una sorellastra di cui ovviamente Annie non sapeva l’esistenza (ma ci sono anche quattro fratellastri). E fra le tre donne si stabilisce una corrente di umanità, di simpatia, “un calore umano femminile dal quale gli uomini si escludono da sé”. E il padre? E’ seduto placidamente in poltrona, le mani sulle ginocchia. Un uomo “che non dice niente, che non ha detto niente, che non dirà più niente”, un uomo che “sorride ingenuo”, è malato e forse nemmeno ha capito chi è lei. Gli occhi di lui sfuggono, scivolano via, come fecero quando Rosy, la madre di Annie, gli disse che aspettava un bambino. Non c’è nulla, in lui, che possa ricordare il padre immaginario di quando lei sognava. “Niente in lui è riconoscibile, affascinante, attraente, seducente”. Ci sarebbe un conto pesante da presentare a quell’uomo, che l’ha privata non solo del suo patrimonio finanziario, ma quel che più conta di quello genetico: “Non ha conosciuto i nonni, i bisnonni. Da dove venivano? Che mestiere facevano? Cosa hanno realizzato, le loro aspirazioni, niente, neppure un volto”. Non le ha lasciato proprio nulla, se non un vuoto da colmare. E il bisogno insopprimibile di conoscere le proprie radici, che è di ogni essere umano. “Lasciare un bambino ai margini dell’album di famiglia rappresenta una desolazione, un tesoro abbandonato e divenuto inutile per sé, per la società”. Una collera sorda monta in lei, sale e subito si stempera di fronte a quel bambino che l’uomo è diventato. Perché “La pietà è un bastione efficace per la collera e il risentimento”.
Poche pagine, un centinaio, distillano un problema enorme. Infatti, “Cosa c’è di più terribile che non conoscere, non sapere chi sia il proprio padre?”