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Brandt, Matthias


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Titolo: Il bambino e la Luna (traduzione di Milvia Spadi)
Editore: Bordeaux, Roma
Anno: 2018
Prezzo: € 14
Pagine: 138

Non deve essere stato facile per il piccolo Matthias avere per padre il Cancelliere della Repubblica Federale Tedesca, Willy Brandt. Destino comune, il suo, a quello di molti figli di personaggi famosi, oberati da importanti incarichi e gravose responsabilità. Che infanzia si vive in una villa circondata da un grande parco, fra guardie del corpo, muovendosi – nelle occasioni ufficiali – su nere limousine Mercedes scortate dalla polizia e con il grande cane Gabo come unico amico, se si esclude l’amicizia clandestina con il compagno di scuola Ansgar?

Attore teatrale molto noto al pubblico tedesco, (è lui il questore August Benda nella serie Babylon Berlin trasmessa in Italia da Sky), Matthias Brandt esordisce come scrittore con questo libro di ricordi. Ricordi raccontati con lieve umorismo e, a volte, altrettanto lieve distacco. Nei quali è evidente una scarsa presenza paterna. Che questa assenza gli pesi il piccolo Matthias non lo dice apertamente, ma lo fa capire a più riprese. Particolarmente gustoso il capitolo “Equilibrismi politici”, nel quale si racconta la disastrosa esperienza di una passeggiata in bicicletta organizzata, con la pacificante partecipazione del bambino, per appianare certe divergenze fra Brandt e un suo collega di lavoro. Il capitolo si conclude con la frase di Matthias “Avrei dovuto badare meglio a lui”. E “lui”, naturalmente, era il Cancelliere.

L’ultimo capitolo sancisce l’assenza paterna (“Papà era sempre impegnato con cose importanti e chiedere a lui sembrava inimmaginabile”) ma anche l’incontro con il genitore. Grazie ad una incursione audace nel “territorio paterno”, lo studio nella abitazione del Cancelliere (il lettore può cogliervi l’eco di un’azione simile compiuta da Herman Hesse undicenne e narrata nel racconto Animo infantile) Matthias vi si avventura con cautela e coraggio per scoprire il padre che, seduto alla scrivania, si è addormentato vicino a una pila di documenti e russa con regolarità. Il bimbo ha con sé un libro e comincia a leggerlo. Quando il padre si sveglia d’improvviso, Matthias teme di aver commesso una grave infrazione e alla domanda interrogativa del padre risponde timidamente: “Mi puoi leggere qualcosa?”. L’uomo si alza senza una parola e si allontana. Emozione, timore, vergogna del piccolo. Ma poi il padre torna, prende il libro dalle mani del figlio e comincia a leggere. Dapprima per sé, in silenzio. Finché non accade qualcosa: “Ma poi, di colpo, mise il suo braccio intorno a me e cominciò a leggere. Io quasi non riuscivo a credere a quello che stava accadendo”. Per Matthias è un “incantesimo”: “Cautamente scivolai più vicino. Infine, dopo una certa esitazione, misi la testa prima sulla sua spalla, poi sul grembo e guardai su…”. Matthias osserva – come probabilmente mai aveva potuto fare – particolari del viso del padre: i peli della barba “scuri e grigi”, le piccole rughe attorno agli occhi, “le punte ingiallite dell’indice e del medio della sua mano da fumatore”… E una “piacevole pesantezza” lo afferra. E’ un padre ritrovato, questo, e qui – forse non a caso – termina il libro. Con la frase di Matthias: “Non volevo mollare tutto questo, e mentre lo pensavo mi addormentai”.

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