Editore: Feltrinelli, Milano
Anno: 2017
Prezzo: € 14
Pagine: 139
Non si può capire l’evoluzione della figura paterna nei secoli se non rifacendosi, ab origine, alla società e al diritto della Roma antica: quella dei re (di cui sappiamo ben poco), quella repubblicana e quella imperiale. Sono 13 secoli di Storia, dalla fondazione tradizionalmente fissata nel 753 a. C. fino al Corpus Iuris Civilis dell’imperatore Giustiniano, il poderoso complesso di leggi – Digesto, Codice e Pandette – compilato nel VI secolo dopo Cristo. Tredici secoli i cui strascichi, specialmente nel campo del Diritto, sono arrivati fino ai tempi nostri, condizionando i codici (e la mentalità, giuridica e non) di numerosi Paesi a cominciare, naturalmente, dall’Italia.
Eva Cantarella, che è stata docente di Diritto romano e Diritto greco all’Università di Milano e autrice di numerosi saggi sul mondo antico, parte da un obiettivo preciso: verificare la validità dell’opinione comune secondo la quale le disfunzioni e la crisi della famiglia sono un portato della modernità (naturalmente dobbiamo immaginare che sapesse benissimo che non è così, specie se il raffronto non viene fatto – poniamo – con la famiglia ottocentesca, ma con quella di Roma antica, dominata dalla figura del paterfamilias).
Così i diritti dei padri romani – diritti estesissimi e prolungati nel tempo – vengono accuratamente esaminati e spiegati, con un excursus esteso quanto basta ad essere esaustivo ma limitato – sono “appena” 139 pagine – quanto era necessario per non incorrere in un testo per addetti ai lavori. Questo va precisato: è un libro rigoroso ma per nulla pesante, neppure per quanti non abbiano dimestichezza con la Storia di Roma e col suo Diritto.
Particolare attenzione è rivolta, con un intero capitolo, il sesto, al parricidio, un fenomeno che l’autrice ritiene essere stato frequente, e alla tremenda pena che lo seguiva, la poena cullei, ossia del sacco. Il colpevole – con un complesso rituale carico di simboli il cui significato non è del tutto chiaro – veniva fustigato, doveva calzare pesanti zoccoli di legno e indossare un cappuccio di pelle di lupo, poi veniva chiuso in un sacco assieme ad un cane, un gallo, una vipera e una scimmia. Infine il sacco era gettato in mare o in un fiume o lago, insomma in acqua – elemento di purificazione – perché il condannato non contaminasse la terra.
Gli studiosi della materia non troveranno, forse, in questo libro elementi di grande novità, ma la due appendici – “Problemi di metodo” e “La mitopoiesi del revisionismo” – costituiscono un utile aggiornamento. La seconda in particolare, che riguarda una nuova, recente interpretazione del tollere liberos (il gesto del padre che accettava il figlio appena nato sollevandolo da terra e alzandolo verso l’alto) e dello ius vitae et necis (il diritto di vita e di morte sul figlio): non si sarebbe trattato tanto di una realtà storica quanto “un’asserzione retorica del ‘grande potere’ paterno”. Una ipotesi radicale alla quale Cantarella guarda con legittima perplessità.