Editore: Inschibbolet Edizioni, Roma
Anno: 2020
Prezzo: €18
Pagine: 125
Ancora un libro – quanti ne abbiamo letti! – di un figlio che cerca il padre che non c’è più. Lo cerca nella memoria, nei luoghi, nel tempo che è stato. Questa storia è sovrastata, intessuta, impregnata dal senso del tempo, “la futile catena che condanna ogni cosa all’avvenire”, “la linea del tempo tracciata nel perpetuo presente”. E poi “il dominio del tempo”, “le sabbie del tempo”, “il fantasma del tempo”, “il passo impercettibile del tempo”… Tempo che trova nelle fotografie la sua dolorosa testimonianza: osservarle provoca “la desolazione di chi osservi i resti di un naufragio”. Tempo che si restringe e si dilata in modo misterioso e incomprensibile: segreto e incalcolabile se sei con una donna in un taxi che corre verso la stazione ferroviaria e la città attorno rallenta e accelera e le pulsazioni del traffico ritmano i pensieri. Anche i treni sono lì a testimoniare il tempo: quello degli orari, che scandisce il loro viaggiare, quello che si avventano ad affrontare e quello che resta dietro di loro, “nella rete minuziosa del tempo, nella vasta cronologia che ci sfugge, che destina ogni gesto, lo sorregge, e lo cancella”. E poi, naturalmente, gli oggetti di chi non c’è più, che “appaiono, a tratti, attraverso le porte del tempo, superstiti, o visioni, messaggeri silenziosi, vani dell’invisibile, dita remote o segni, custodi delle soglie”: uno stetoscopio, un camice, un paio di forbici chirurgiche.
Il tempo è l’ossessione dello scrittore: “Non posso rassegnarmi alla distruzione, all’oblio, al vuoto delle linee dietro di me”. Tutto il libro è una ricerca – dichiarata – del padre, tutto il libro è l’avversione per il tempo che su ogni cosa incombe, che tutto stravolge, che forse ha lasciato spazi troppo brevi per quel padre e quel figlio e che ora si erge ad ostacolare la paziente ricerca. Un padre imprevedibile, che appare e scompare, preso dal suo lavoro, dall’amore per la medicina, ma anche da un “inesausto cercare”. Un dono inatteso, dopo una settimana di assenza senza notizie, scatena “il significato improvviso e definitivo di quell’attesa e di quella mancanza, la riconciliazione con i silenzi e le dimenticanze, con il mistero dell’assenza, e delle tante domande prive di risposta”.
Catelli ripercorre strade e boulevard, ponti e periferie, stazioni ferroviari e bistrot seguendo i passaggi del padre come un cane che si è perso e cerca zigzagando la traccia dell’amato padrone. E lo fa con un linguaggio ricco e corposo, che spesso si trasfigura e assume la vocalità e i ritmi scanditi della poesia.
Ricerca estenuante, quella del libro, e tenace, dolceamara, inseguendo una certezza antica che è – o dovrebbe essere – di ogni bambino nei confronti del padre. Quella che l’Autore ricorda quando il padre lo portava con sé “nel vasto mondo, all’ignoto estuario dei giorni”: “la certezza che mai, con lui, mi sarei perduto”.