Editore: Elliott, Roma
Anno: 2021
Prezzo: €16
Pagine: 247
Ecco un “ripescaggio”, di quelli che di tanto in tanto la nostra Rubrica compie, nella convinzione di fare un buon servizio ai soci e ai lettori indicando anche testi di pubblicazione non recente ma significativi per i temi che ci riguardano.
Questo romanzo è la storia emblematica di un divorzio. Storia di un padre, Philippe, che, oltre a perdere da un giorno all’altro il lavoro, perde anche sua moglie, Sandrine. Philippe e Sandrine hanno una figlia, Claire, e come avviene spesso in questi casi è su di lei che si concentrano le sofferenze e i problemi di Philippe, costretto a lasciare l’abitazione e a cercare un appartamento passando per camere di albergo: improbabili soluzioni a una vita che di colpo rischia di perdere ogni attrattiva.
Le notti passate a dormire in auto, la ricerca di un nuovo lavoro, le telefonate alla figlia (alla quale ha promesso di chiamarla ogni sera) regolarmente ostacolate da una moglie rancorosa e conflittuale, messaggi troppo spesso abbandonati ad una segreteria telefonica…
E’ uno scivolare verso il fondo, progressivo e costante: la lavanderia automatica, il centro di accoglienza e aiuto ai senzatetto, con il refettorio e i letti a castello numerati, le docce della stazione… fino a un vero e proprio barbonismo: bottiglie di pessimo vino, sonni grevi su una panchina o vicino a un condotto di areazione della metropolitana (un cartone come materasso), l’accattonaggio, una rissa con altri disperati di strada… E la figlia, l’amata Claire, sempre più difficile da raggiungere perché Sandrine ha tagliato tutti i ponti e quando da una cabina pubblica Philippe cerca di fare gli auguri alla figlia nel giorno del suo compleanno scopre che la ex moglie ha cambiato casa (senza comunicare il nuovo indirizzo) e che il nuovo numero di telefono è riservato.
Eppure anche in questo scenario di solitudine, abbandono e degrado, compare un barlume di speranza, uno spunto di fiducia. Non è un parente, non è un amico, non è una donna, è… un cane. Un randagio come lui che pian piano lo “adotta” e lo segue come un’ombra e che si chiamerà Baudelaire per via di una poesia del poeta, I buoni cani. Fra i due si stabilisce un rapporto di amore, di fiducia reciproca e di vicendevole aiuto. Grazie a questo incontro comincia la lenta risalita di Philippe. Il passaggio ad un ricovero più umano e meglio organizzato (il barcone Fleuron) il sostegno di un’assistente sociale e di un avvocato, entrambi volontari, che lo aiutano ad ottenere un sussidio di disoccupazione e soprattutto a intraprendere un percorso giudiziario per riaffermare i suoi diritti di padre, primo fra tutti quello di un diritto di visita per la piccola Claire.
Philippe ritrova Claire (“La mamma diceva che ci avevi abbandonate…”), che naturalmente diviene grande amica di Baudelaire. E riemerge lentamente ad una vita “normale”: un appartamentino (grazie a una ricca vedova comprensiva), finalmente un lavoro, una ragazza incontrata in un parco…
Baudelaire non vedrà tutto questo, portato via da un tumore in una calda giornata di giugno, dopo aver ridato al suo padrone la fiducia nella vita.
Una bella storia, che mescola la fantasia di certi personaggi alla realtà (per dire, il Fleuron Saint-Jean esiste davvero). Quanto alla spirale di abbrutimento attraversata da Philippe, assomiglia a quella di molti padri separati nostrani, che, almeno in una prima fase, trovano nella propria auto un ricovero per la notte e nella mensa della Caritas un pasto caldo.