Editore: Sugarco, Milano
Anno: 2013
Prezzo: € 16,50
Pagine: 206
Da quanto tempo ci si interroga sulla omosessualità? Forse – con ovvie e profonde differenze di approccio – fin dai tempi antichi della Grecia e di Roma, e più a partire dal XIX secolo, quando l’ungherese Karl-Maria Kertbeny – era il 1869 – coniò il termine “omosessualità” fondendo, per l’appunto, la lingua greca e quella latina: omos (identico, simile) e sexus (sesso).
Da allora medicina, psicologia e psicoanalisi, biologia e neurobiologia, biochimica, genetica (con l’aiuto di storia e filosofia e con le inevitabili ricadute su religione, politica, diritto) si sono affannate nel tentativo di capire l’eziologia di questo orientamento sessuale. Dando vita a un dibattito estremamente articolato che entra prepotentemente, ogni giorno di più, nel sociale, con l’irrompere delle gender theories. Sullo sfondo alcune questioni capitali. Omosessuali si nasce o si diventa? L’identità sessuale è frutto di un complesso processo psichico nel quale giocano un ruolo cultura e ambiente – insomma una vera e propria costruzione sociale – o è un dato “naturale” imposto, per così dire, alla nascita? Domande che conoscono risposte diverse, ipotesi (non soluzioni) molteplici e talora antitetiche.
Il libro che oggi prendiamo in esame non si propone – è detto nella Introduzione – di fornire risposte rassicuranti, ma “di porre domande e di aprire una riflessione critica”. Premesso ciò, non è certo un libro “asettico”, una pura illustrazione di fatti e teorie. L’autore, psicoanalista e studioso di Sigmund Freud, ha le sue idee in materia e le espone con grande chiarezza. E’ decisamente contrario – diciamolo subito – alle “teorie di genere”, che mirerebbero, a suo avviso, a godere del “diritto all’indifferenziazione dei sessi e alla loro interscambiabilità”, a “depotenziare la differenza sessuale, indebolirla, appianarla, omologarla in base a un principio egualitario”.
Per Ricci la differenza fra i sessi è “matrice e riferimento di ogni altra differenza oppositiva”, in accordo con Michel Schneider (“La differenza tra i sessi è la differenza delle differenze”) e, aggiungiamo noi, con il filone antropologico che va da Françoise Heritier (la differenza maschile-femminile come “ultimo limite del pensiero”) a Claude Lévi-Strauss (femminile e maschile come modello di tutte le categorie oppositive).
Questo aspetto viene approfondito, tuttavia quello che a noi interessa in modo particolare sono i riferimenti al padre, che nel testo costituiscono uno snodo fondamentale assieme a quello della madre. “Pochi” – scrive Ricci – “si sono accorti che un eventuale trionfo della teoria del genere comporta un attacco al padre”, figura “decisiva” per il figlio, “riferimento identificatorio indispensabile per la strutturazione della sua identità sessuale”. “Un genitore” – prosegue l’Autore – “che non occupi il posto simbolico di padre ma che, per esempio, si ponga a sua volta come figlio, come compagno o come fratello, mette in atto le condizioni affinché al figlio venga a mancare un modello maschile. Questa mancanza o carenza verrà soppiantata, sostituita, compensata, riparata [sulla accezione clinica di questo termine, su cui si basa la teoria di Joseph Nicolosi, c’è una nota dell’autore. n.d.r.] dal sintomo dell’omosessualità”.
Padre e madre – secondo l’impostazione classica psicoanalitica – hanno un ruolo fondamentale nella genesi della omosessualità (per lo meno in alcune delle molteplici forme di omosessualità). Da un lato un padre debole, evanescente non tanto fisicamente quanto “carente nella parola della madre”, simbolicamente in declino; dall’altro il prevalere di un codice materno dominante sia nella famiglia che nella società; una madre che esclude il padre e fa del figlio un oggetto fallico esclusivo (la madre “castrante” o “divorante”).
La “forclusione del nome del padre”, per usare il linguaggio di Lacan – spesso citato nel libro assieme a Freud – si inserisce a pieno titolo, per Ricci, in un percorso di psicosi e perversioni e può condurre alla omosessualità.
Naturalmente il libro affronta l’argomento in modo assai articolato, affrontando risvolti impossibili a sintetizzarsi per motivi di spazio. Un ultimo aspetto – non meno delicato di altri – quello della “domanda e cura”. Per l’autore è da rifiutare l’innatismo dell’“omosessuali si nasce”. L’omosessualità – sostiene – “proviene da una scelta psichica che può essere intesa come rimedio, soluzione o compromesso a uno scacco causato dalle posizioni problematiche tenute dai genitori”. Di conseguenza, legittimo appare all’autore un percorso terapeutico che possa considerarsi “riparativo” (secondo la terminologia della scuola che fa capo a Nicolosi) in un’accezione particolare, comunque in contrapposizione alle terapie “affermative” che si propongono di confermare l’omosessualità favorendo un atteggiamento “egosintonico”, ossia di accettazione, della omosessualità stessa. Percorso – puntualizza Ricci – che dovrà nascere da una richiesta in prima persona di “esplorare il proprio disagio” e che dovrà vedere l’analista in posizione fermamente neutrale.
Inaccettabile appare all’autore la contrapposizione fra le terapie “affermative”, nelle quali il terapeuta sostiene e promuove la posizione omosessuale, e quelle “riparative” miranti a ricondurre il paziente verso una scelta eterosessuale. Infatti, l’analista non ha la funzione di convincere o suggestionare, “né tantomeno di indirizzare o forzare il paziente verso una direzione prestabilita”. “Sarà il paziente (…) a decidere quale possa essere per lui la cosa ‘migliore’”.
Su alcune convinzioni dell’Autore si può essere o meno d’accordo, ma su quest’ultima credo che il consenso dovrebbe essere assoluto.