Editore: La Nave di Teseo, Milano
Anno: 2021
Prezzo: €20
Pagine: 391
“Condividono tante cose l’astronomia e l’infanzia. Entrambe sono viaggi lungo enormi distanze”. Ecco: per cercare di colmare queste distanze vive il protagonista del libro di Richard Powers, l’astrobiologo Theodore Byrne, che scandaglia insieme le misteriose profondità del cosmo e le altrettanto profonde e sconosciute terre dell’infanzia del figlio Robin, di nove anni. Un’infanzia “diversa” da quelli di tanti altri bambini e perciò ancora più distante, quella di Robin, che è senza mamma – un’attivista ambientalista appassionata di birdwatching, morta due anni prima in un incidente d’auto – e che soffre di disturbi non ben diagnosticati, ma che probabilmente attengono alla sindrome di Asperger. Almeno stando ai medici, perché il padre di Robin la pensa diversamente: “Sognava a occhi aperti, aveva qualche difficoltà a rispettare le scadenze, e sì, si rifiutava di concentrarsi su cose che non lo interessavano”. Per l’uomo, la perdita della madre, a cui era seguita qualche mese dopo quella dell’amato cane, e i tormenti ai quali lo sottopongono i compagni di classe perché lui non comprende “i loro feroci pettegolezzi” sono motivi sufficienti a spiegare il suo comportamento disturbato.
La vita di Byrne è tutta tesa a curare il figlio con terapie che escludano psicofarmaci (come il famigerato, e tanto diffuso in America, Ritalin), il che lo porta a scontrarsi spesso con preside e insegnanti della scuola del figlio. E’ assillato dai dubbi sui comportamenti da tenere (prima ancora di diventare padre: “Mi spaventava tutto riguardo all’educazione genitoriale”), ma quale genitore, anche con figli “normali”, non ne ha? E comunque lotta tenacemente, spinto da amore paterno, per la felicità del figlio. Arriva a cedere alle insistenze di un collega neuroscienziato (ex psichiatra clinico, già innamorato della defunta) e a sottoporre Robin a sedute di un intervento comportamentale definito “feedback decodificato”: una procedura che vorrebbe essere erede della psicoterapia convenzionale e che, attraverso uno scanner, induce una sorta di empatia con le emozioni positive di altre persone preventivamente registrate, atta a superare le tensioni. Nel caso di Robin consiste nell’assistere alle registrazioni dell’attività cerebrale della madre, con la quale stabilisce un contatto emozionale. Tutto questo, però, finisce con l’attrarre i media e Robin rischia di essere trasformato in un fenomeno da baraccone e di perdere il fondamentale contatto con il padre. Dalla madre recepisce l’impulso a battersi per la difesa del pianeta e diventa una star della causa ambientalista.
Il “feedback decodificato” sarà sospeso quando susciterà reazioni negative in certi ambienti scientifici (ma soprattutto politici) e la spasmodica, sofferente sensibilità di Robin scatenerà nel bambino crisi sempre peggiori (prima l’investimento in auto di uno scoiattolo da parte del padre, poi la visione di un filmato con centinaia di mucche colpite dal morbo della “mucca pazza”).
Il libro si chiude con un viaggio, simile a quello con cui si era aperto: un viaggio padre e figlio nelle Rocky Mountains: stessa baita, stessa natura, stesse emozioni. Bellissimo il dialogo fra i due nella notte, sui misteri dell’universo (“Volammo intorno all’universo per molto tempo”). E che cos’ è più grande, lo spazio cosmico o quello interiore? E’ una domanda che aleggia tra le pagine di tutto il libro. L’amore per la natura, la spinta a salvare l’ambiente tradirà Robin. E Theodor Byrne cercherà di rispondere a quella domanda ricorrendo a sua volta allo scanner, al “feedback decodificato”. Perché “l’amore è feroce come la morte”.