di Stefano Dell’Orto *
Da qualche settimana sono tornato al lavoro dopo oltre quattro mesi di congedo parentale con la mia seconda figlia di nemmeno un anno e mezzo. Abito in Svezia, e qui il congedo parentale non è solo una legge, una cosa valida su carta, ma è un diritto ipertutelato.
Qui la legge, semplificando, funziona così: 480 giorni di congedo parentale per i genitori di cui 60 riservati alla mamma e 60 al papà (che ne ha anche 10 lavorativi alla nascita del bebè). Durante i 480 giorni lo stato paga l’80% dello stipendio sino a circa 42.400 euro all’anno. Molte aziende, poi, aggiungono la differenza per garantire al dipendente sino al 90-100% dello stipendio effettivo. Ancora più importante della legge è che si è spesso incoraggiati sia dall’azienda che dalla società (famiglia, amici, conoscenti…) a prendere il congedo. Inoltre, da un paio d’anni è stato introdotto un bonus di 10 euro al giorno che premia i genitori se entrambi prendono più dei 60 giorni di diritto (con un tetto massimo che premia le coppie che dividono il congedo 50-50).
Più della legge, comunque, è proprio l’atteggiamento delle aziende che stimola i padri ad usufruire del congedo, non solo quando si tratta di impiegati, ma anche quando i papà sono dirigenti. La filosofia, descrittami da un amministratore delegato, è: “Se non ti prendi cura di ciò che tu hai di più importante (i figli), come facciamo ad affidarti la nostra risorsa più importante (i dipendenti)?”
L’atteggiamento culturale verso i papà qui è cosa abbastanza “recente”. La prima grande campagna fatta da Försäkringskassan (il Servizio Sanitario Nazionale svedese) per invitare i papà a prendere il congedo parentale, che come testimonial utilizzava il muscoloso Lennart “Hoa-Hoa” Dahlgren, 11 volte campione svedese di sollevamento pesi, è del 1978. Deve aver funzionato visto che, se nel 1974 solo il 2,5% dei papà prendeva il congedo parentale, ora siamo sopra il 70%, e dei 480 giorni ne vengono presi dai padri più di un quinto, quindi ben oltre quei 60 “riservati” ai papà, che altrimenti vanno persi. Anche le aziende svedesi sembrano aver cambiato opinione: nel 1990 il 3% era favorevole al congedo parentale per i papà, ora solo il 4% ha un atteggiamento negativo, mentre più del 33% è favorevole ed ha politiche aziendali che lo incentivano.
Nell’azienda in cui lavoro attualmente, nel mio dipartimento sono più i papà a casa in congedo parentale che non le mamme. Addirittura nella lingua svedese è stato coniato il neologismo “lattepappa” (pappa in svedese vuol dire papà) per definire quei papà che, indossato un capo d’abbigliamento della DadGear, vanno in giro per la città spingendo il passeggino con una mano e tenendo nell’altra un “latte” (il nome svedese per il latte macchiato).
Una delle cose che mi colpì alla nascita della prima figlia fu vedere come il creare gruppi di papà sia stimolato dalla società. Già al corso pre-parto si viene informati su come e dove incontrarsi. Il reparto natalità, poi, è tutto un volantino per catalizzare gli incontri fra i neopadri (ed anche fra le neomamme) e gli spazi del reparto neonatale favoriscono gli incontri. La cosa è veramente comoda, perché si entra in contatto con molti altri papà con bambini nati nello stesso periodo dei propri. È come se la società volesse facilitare e stimolare l’essere padri. Un intento che si nota anche nelle piccole cose, come i fasciatoi per cambiare i bimbi anche nei bagni degli uomini o l’assoluta naturalezza con la quale si viene trattati quando si porta un figlio in ufficio o quando si comunica che si finisce di lavorare prima perché si deve andare a prendere i figli all’asilo.
Il rispetto per i padri in Svezia sembra continuare anche quando la coppia “scoppia”, ma in questo caso si tratta di una tendenza degli ultimi anni. Nei casi di divorzio è ancora la madre che spesso ha l’affidamento dei figli per la maggior parte del tempo. Secondo l’Istituto centrale di statistica, in Svezia sono circa un milione le coppie di genitori con figli tra 0 e 17 anni. Di queste, circa 200 mila comprendono papà separati o divorziati. Nel 92% dei casi l’affidamento prevede che i figli passino del tempo con entrambi i genitori, ad esempio stare con la madre e passare un fine settimana “lungo” dal padre ogni due settimane. Si predilige sempre più l’affidamento ad entrambi i genitori, con i figli che passano il 50% del tempo con ognuno, di solito una settimana con mamma ed una con papà. Nel 1992 solo nel 4% dei casi di divorzio veniva adottata questa soluzione, adesso siamo quasi al 20%.
Nell’1% dei casi l’affidamento dei figli è esclusivamente al padre, nel 7% esclusivamente alla madre.
* dirigente industriale. Svezia