di Franco Giorgio *
Da più di dieci anni opero, come psicologo, nel volontariato per dare sostegno a malati oncologici, ed in particolare a donne operate al seno. Durante i colloqui avuti in questi anni ho osservato come dopo una iniziale necessità delle persone di parlare della malattia e dell’ansia che ne deriva, appena possibile i discorsi si spostano sulle esperienze affettive dell’infanzia, come se tali remoti eventi avessero ancora una loro urgenza, anche di fronte ad una malattia grave.
Erich Fromm ritiene che dopo la nascita, il neonato è poco diverso da ciò che era nell’utero e sarebbe incapace di sopravvivere se non vi fosse la funzione sostitutiva, quasi placentare, della madre. La funzione del padre sarebbe in un primo momento di supporto alla madre per poi diventare complementare. Sigmund Freud aveva ipotizzato che l’equilibrio tra la vita e la morte, già nel bambino, si gioca sulla base di due forze istintive, Eros e Thanatos, che agirebbero contemporaneamente e in contrapposizione. Sono pertanto le attenzioni “piacevoli” che il bambino riceve da entrambi i genitori a stimolarlo alla vita, mentre i dispiaceri, al contrario lo porterebbero ad ammalarsi. Freud aveva anche ipotizzato che l’aggressività abbia la capacità di scaricare verso l’esterno l’istinto di morte. Tali considerazioni valgono non solo per gli adulti, ma soprattutto per i bambini piccoli, in cui le potenzialità di compensazione e di difesa sul piano razionale sono molto limitate. L’esperienza che un bambino fa in prima istanza con la madre e il padre, possono determinare alcune vulnerabilità che si ritroveranno nell’adulto, con difese non funzionali, con l’emergere di patologie psicologiche e, per alcuni, anche sul piano fisico. Ne consegue che condizioni vissute nell’infanzia in cui vi siano state paura, rabbia e sensi di colpa, irrisolte o non elaborate, interferirebbero inevitabilmente negli equilibri dell’adulto. Ad esempio si è visto che spesso i bambini di fronte ad una conflittualità dei genitori tendono a sentirsene in colpa ed a somatizzare il malessere. Si è infatti arrivati ad ipotizzare che particolari disagi condizionerebbero anche la reattività del sistema immunitario verso le cellule malate che, per ragioni genetiche o per fattori esterni, chimici o fisici, possono essere prodotte.
Franco Fornari (Rivergaro, 1921- Milano, 1985) ha elaborato un’ipotesi su base affettiva per spiegare la predisposizione a tale incapacità di discriminazione e vigilanza cellulare. In particolare, di fronte a cellule alterate di natura oncologica, il sistema immunitario si troverebbe nel paradosso di dover affrontare cellule malate, contemporaneamente proprie ed estranee. A tal riguardo Fornari definisce un “sistema di accoppiamento” e un “sistema di aggressione”: nel primo è presente la potenzialità immunitaria di non distruggere il gamete dell’altro sesso nell’atto della fecondazione, chiaramente associata ad una funzionalità materna (sogno materno). La potenzialità aggressiva, atta a distruggere cellule alterate o estranee, sarebbe un’espressione della capacità aggressiva derivata dalla funzionalità paterna (sogno paterno). Pertanto egli arriva ad ipotizzare una “pazzia” cellulare, riconducibile a ciò che può avvenire in una famiglia in condizioni di sofferenza affettiva del bambino, a causa del comportamento paradossale di genitori in continua lite tra loro. Ad esempio le madri, per reazione contro l’uomo, possono essere portate a distruggere la dimensione paterna nel figlio o nella figlia. Per i più piccoli è invece importante la madre che alimenta la speranza e deve aiutarli ad entrare in relazione con il padre, che a sua volta sarà determinante per aiutarli ad avere fiducia in se.
In condizioni di particolari disagi emotivi dell’infanzia, si è ipotizzato che certi organi come ad esempio l’utero ed i seni nella donna, con forte potenzialità simbolica, potrebbero diventare più facilmente bersaglio di alcune malattie. Per tali motivi molti studiosi sono arrivati a sostenere l’importanza di affiancare alle cure mediche, per malattie particolarmente complesse, interventi di sostegno psicologico.
La funzione ed il ruolo svolto dal padre può offrire ai figli una migliore capacità di adattamento e di risposta contro le difficoltà della vita. Una madre, che abbia avuto un buon rapporto con il padre, può essere anche in grado di aiutare da sola i figli. Ma solo la presenza affettiva e diretta del padre può offrire quelle potenzialità emotive legate alla dimensione dei miti maschili, necessari soprattutto ai bambini, ma utili anche alle bambine per potersi muovere adeguatamente nel mondo adulto. Purtroppo, sempre più spesso si assiste a varie forme di conflittualità coniugale, al punto che uno o entrambi i genitori ricorrono ai giudici, coinvolgendo in questo anche i figli. Spesso si arriva a deprivare di fatto il bambino dell’affetto di un genitore, prevalentemente il padre. E’ auspicabile una maggiore coscienza degli adulti nel considerare il loro ruolo “genitoriale” prioritario e mai subordinato a problematiche coniugali o di coppia. Solo così si avrà la possibilità, da adulti, di rimettere insieme i pezzi di fronte alle situazioni difficili della vita, fosse anche rispetto ad una grave malattia.
* Psicologo. Autore di “Le ombre dei padri”. Roma