E se fosse incostituzionale…?
Un ampio dibattito è oggi in corso in merito alla Legge 54/2006 e alla pratica corrente dell’assegnazione della casa familiare. Le voci che intervengono sono per lo più quelle di professionisti che si trovano ad operare nel quadro disegnato da
quella legge, ma forse non è inopportuno ascoltare anche la voce di chi guarda a quel quadro da più lontano, con le lenti della filosofia politica e del diritto. In particolare, entro quel quadro mi pare di scorgere tre elementi di possibile criticità
sotto il profilo della costituzionalità.
Come è noto, il ricorso legale di uno dei coniugi o conviventi, nel caso di una coppia con figli minorenni o maggiorenni non autonomi, si configura come richiesta al giudice di emettere dei provvedimenti provvisori (“urgenti”) in ordine al godimento della casa familiare, all’affidamento dei figli e all’assegno di mantenimento. L’ “urgenza” può però essere solo una rappresentazione di parte, del coniuge/convivente determinato a ottenere la separazione. Non è inusuale che il coniuge ricorrente già anticipi mentalmente la maggior probabilità che – data la propensione diffusa alla (anche in regime di affido condiviso, con percentuali di oltre il 70% dei casi) o in virtù di una percezione di ciò che i figli potrebbero
dichiarare quando verranno ascoltati dal giudice – i provvedimenti provvisori gli assegnino casa e assegno di mantenimento e quindi, proprio sulla base di tale convincimento, si decida a invocare l’ “urgenza” di un provvedimento. Tale “urgenza” diventa, grazie al solo fatto di essere (ancorchè strumentalmente) espressa, un dato incontestabile il quale non offre altra possibilità al giudice che emettere i provvedimenti. L'”eguaglianza morale e giuridica dei coniugi”, posta dall’art. 29 della Costituzione a fondamento della famiglia, rischia allora di essere incrinata a favore del coniuge/convivente che, di concerto con i figli, decide di separarsi e ricorrere al giudice. L’ “urgenza”, infatti, nel momento in cui è depositato un ricorso, viene a perdere il suo carattere di “tesi di parte”, che va messa a confronto con la tesi della controparte e che veda il giudice in una posizione di terzietà, in grado di accogliere come anche di rigettare l’istanza.
Si apre qui una prima criticità sotto il profilo della costituzionalità. L’impossibilità del giudice di contestare nel merito l’ “urgenza” unilateralmente asserita sulla base della insindacabile “intollerabilità” di una convivenza magari perfettamente
tollerata per anni senza che siano sopravvenuti apprezzabili fatti nuovi, introduce una diseguaglianza, oltre che rispetto alla posizione di parità morale e giuridica dei coniugi, anche relativamente alla parità delle parti nel processo. Il
coniuge ricorrente di fatto è “più eguale” dell’altro coniuge, gode dell’innegabile vantaggio del vedere la sua specifica tesi di parte diventare un’inoppugnabile presupposto dell’operato imparziale del giudice, senza possibilità di contestazione,
in contrasto con l’art. 111 della Costituzione, ove si dispone invece che ogni processo si svolga “nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale”.
Il secondo profilo di criticità costituzionale è legato, più che a uno specifico articolo, ad un principio generale che – al pari della non-retroattività delle sanzioni penali – costituisce uno dei cardini di qualsiasi sistema giuridico: vale a dire,
il principio per cui non si possa profittare della propria condotta illecita. Quanto sopra rappresentato non è ignoto ai coniugi/conviventi nella importante fase – che può protrarsi per anni – in cui entrambi o uno solo fra essi vanno maturando
internamente (o se del caso di concerto con un partner esterno) la decisione di interrompere la convivenza o separarsi legalmente, e in ogni caso è presumibile che venga reso loro noto dal proprio legale. Il disequilibrio fra le parti di cui al punto precedente può agire come incentivo alla litigiosità del coniuge che anticipi un esito positivo del ricorso legale per i “provvedimenti provvisori”. Allo stato attuale, il diritto vigente come tutela un coniuge o convivente che subisca
negli anni la litigiosità crescente di un partner determinato a cessare con proprio vantaggio la convivenza e in grado di alienargli la considerazione dei figli? L’eventuale successo nel dimostrare, da parte del coniuge più debole, una possibile
fattispecie di mobbing o PAS non incide infatti sulla urgenza dei provvedimenti provvisori, ma interviene solo dopo, quando il danno esistenziale è già stato inferto. Dunque il coniuge/convivente più litigioso, se in grado di assicurarsi
l’ appoggio dei figli, può in realtà essere il primum movens di una vera e propria aggressione nei confronti del partner, una guerra distruttiva del nucleo familiare, da cui poi in ultima analisi, con il favore della legislazione vigente, si troverà
a trarre il maggior vantaggio.
Il terzo profilo di criticità costituzionale si lega alla insostenibilità della attuale disciplina di rientro dalla situazione normata dai “provvedimenti provvisori” del giudice e interessa tanto il diritto di proprietà quanto l’art. 3. Nei tempi in cui viviamo, il raggiungimento dell’autonomia economica avviene sempre più per gradi, con un percorso che può estendersi per anni.
E’ carente qui il dettato della legge, che fotografa una situazione non rappresentativa dell’attuale realtà e non offre strumenti adeguati per calibrare l’onere del mantenimento, in capo al genitore soccombente, in relazione non soltanto, come già è, alla sua capacità contributiva, ma anche alla sopravvenuta ma parziale capacità di autosostegno dei figli. Inoltre, il co niu ge/convivente non assegnatario e non collocatario vede congelata la sua proprietà o comproprietà della casa familiare sino al momento in cui i figli maggiorenni divengano economicamente autonomi. La Legge 54/2006 dispone che il godimento della casa familiare sia “attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli” (art. 2). Per quanto la stessa legge disponga che il giudice tenga conto di questo fattore nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, è innegabile che la “urgenza” di cui sopra può concretamente implicare per il coniuge/convivente soccombente la necessità di sopperire in breve tempo anche al reperimento di un alloggio in affitto o da acquistare, con conseguenze economiche potenzialmente insostenibili. Non a caso la legge si esprime qui in termini di “interesse” dei figli e non di “diritto”. Uno dei punti di opportuna revisione della legge è la abnorme situazione cui essa dà luogo, ovvero di un “interesse” che faccia premio in modo così totale e inappellabile non solo su un “diritto”, in questo caso il diritto di proprietà, ma anche sul “pieno sviluppo della persona umana” (ex art. 3), rispetto al quale viene a configurarsi come un potente “ostacolo”.
di Alessandro Ferrara
(ordinario di Filosofia politica Università “Tor Vergata”. ISP Roma)