Mamme cattivissime? La madre perfetta non esiste è il titolo con cui è stato tradotto in Italia Le conflit. La femme et la mère, il best seller di Elisabeth Badinter che in Francia ha venduto fino a oggi più di 200mila copie. Rispetto a quello originale, il titolo italiano è soltanto apparentemente provocatorio: la possibilità di una sentenza negativa e sconvolgente, implicita nella domanda ma edulcorata fin dal punto interrogativo, è riportata nei ranghi della normalità dal dato “obiettivo” che non attribuisce la perfezione a essere umano alcuno e, di conseguenza, neanche alle madri. Inoltre – ma questo lo vedremo meglio in seguito – per la Badinter la madre perfetta esiste eccome: mi chiedo dunque se la scrittrice sia stata informata dalla casa editrice italiana (Corbaccio) su come avrebbe tradotto il nome del suo libro.
Molto più provocatoria (ne avevo già parlato lo scorso anno) è invece la presunta conflittualità che, secondo la filosofa femminista francese, scaturisce dalla scelta se essere donna oppure madre, così come recita il titolo originale, laddove l’una opzione esclude l’altra. Per la Badinter, infatti, “tertium non datur”, non c’è altra possibilità: la donna non si realizza nella maternità e, quando ha dei figli, perde ogni possibilità di competere con un mondo che, sia nella società che nel lavoro, è dominato dagli uomini.
Le stesse conquiste femministe, ottenute nel trentennio successivo alla fine del secondo conflitto mondiale, sono messe a repentaglio da una nuova ondata naturalista-rousseauiana, oltre che dalla crisi economica che, quando deve tagliare risorse e posti di lavoro, si rivolge per prima alle lavoratrici donne. Le quali, plagiate da politiche ecologiste sempre più in voga, nonché da sette “sataniche” come la Leche League o, ancora, da scoperte “scientifiche” circa l’esistenza di un presunto istinto materno o dalle prescrizioni dell’OMS, non hanno di meglio da fare – e sembra che lo facciano, incomprensibilmente, addirittura volentieri – che tornare ad allattare al seno (obbrobrio), a occuparsi della crescita e dell’educazione dei figli, a rinunciare alla professione per fare da madri (scelta peggiore di questa non sembra esistere per la filosofa).
Non mi piace lo stile utilizzato dalla Badinter in questo libro: la sua posizione riguardo al tema della maternità è chiara dalla prima all’ultima pagina, ma è soltanto nell’ultimo breve capitolo che essa diviene esplicita. Per i quattro quinti del volume è tutto un guardare con sufficienza ai dati scientifici riportati e, al massimo, la scrittrice infila qua e là una battuta sarcastica per evidenziare il suo costante scetticismo.
A partire da alcuni titoli di capitoli, come Madri, gli dovete tutto oppure L’impero del bambino e da altrettanti paragrafi eloquenti, tipo Maternità e ascetismo, La madre prima del padre, Il bambino prima della coppia, Il bambino prima della donna, si comprende senza il bisogno di ulteriori spiegazioni quale sia il pensiero della scrittrice: il bambino è un problema che assorbe totalmente la madre e le toglie tempo e risorse. Il figlio è il vero responsabile del fallimento della donna nella battaglia femminista per i pari diritti con l’uomo e per le stesse opportunità nel mondo del lavoro. Ci sarà sempre, per cause naturali, un handicap intrinseco alla donna e che le fa perdere punti sull’uomo: la sua maternità.
Non è vero però – come accennavo sopra – che la madre perfetta non esista, così come ci racconta, nella traduzione italiana, il titolo del libro. Per la Badinter, infatti, la madre perfetta (storicamente) è quella francese, anche se questa perfezione, a dire il vero, avverte anch’essa le minacce della crisi economica e del ritorno al naturalismo. Le francesi hanno da sempre anteposto la donna alla madre: “Dal XVII secolo e soprattutto nel XVIII secolo, il modello femminile è lontano dall’esaurirsi nella maternità”; “Le aristocratiche,
libere dalle preoccupazioni materiali, furono le prime a praticare l’arte di vivere senza figli. Dal XIII secolo tutte le donne dell’alta borghesia affidavano sistematicamente i loro figli appena nati alle balie. Ma è nel XVIII secolo che il fenomeno si estende a tutti gli strati della società urbana”; “La società intera approvava questa pratica e le donne stesse non sembravano lamentarsene. Al contrario, numerose testimonianze dell’epoca mostrano che se ne felicitavano. Perché, oltre al fatto che il bambino costituisce un ostacolo alla loro vita sessuale, è anche, a ogni età, un fastidio per i loro piaceri e la loro vita mondana” (pp. 155-156).
Insomma, per la studiosa femminista, la donna del secolo dei Lumi, che poteva liberarsi dal fardello della maternità, non esauriva la propria identità nell’essere madre. E oggi, ancora più di prima, grazie all’ “invenzione” (francese, guarda caso) dei nidi e delle scuole materne, grazie al biberon e alle formule artificiali, grazie alla pillola anticoncezionale, la donna può scegliere quando e come diventare madre. Ovvero, grazie al cielo, può restare donna (culturalmente, socialmente, professionalmente, cioè con questi connotati “alti”) senza rinunciare (se proprio lo desidera) ad essere madre.
Ma che tipo di madre, mi chiedo? Di un tipo che delega, che non si occupa in prima persona della prole perché ha da pensare a cose più importanti di poppanti mocciosi e affamati e che riguardano, in una parola, una mondanità in cui non è contemplato – questa è la verità – spazio alcuno per i figli.
* giornalista. Creatore del Blog figlio Padre. Roma