di Mario Landi*
In questi ultimi decenni, la società occidentale ha mostrato radicali cambiamenti dell’istituzione familiare segnata da separazioni, divorzi, ricostituzioni, sempre più isolata geograficamente dal nucleo di origine, con ritmi di vita scanditi da impegni lavorativi che coinvolgono in modo pressante, e spesso con vissuto di precarietà, entrambi i genitori.
Questa condizione di “liquidità” (Bauman, 2008) caratterizza il contesto sociale anche ad altri livelli. La scomparsa delle grandi ideologie del Novecento ha reso impossibile l’esistenza di verità assolute e di una morale condivisa, sostituita da quello che i sociologi definiscono “familismo morale” in base al quale ogni famiglia indica all’interno dello spazio domestico le proprie regole. Ogni famiglia stabilisce i suoi orari, riti, ritmi, scollando del tutto le regole dai valori e dai principi (Charmet, 2008).
Un vissuto di “incertezza” sembra caratterizzare l’uomo moderno, investendo il mondo giovanile già di per sé fisiologicamente esposto a grosse mobilitazioni e cambiamenti, ampliandone così il senso di dispersione. “Si assiste ad un grave disorientamento: l’adolescente non sa più ‘chi è’ il padre, ‘chi è’ la madre, quali sono i loro ruoli, le loro funzioni ed il senso delle ‘norme’ (principio di bello – brutto, buono – cattivo) che più o meno implicitamente sono da loro proposte” (Casoni, 2008).
A questo vissuto ha contribuito anche l’euforica e fiduciosa messa in discussione del principio di autorità, con conseguente lento declino del ruolo paterno. Come afferma Pisciottano Manara (2007), “oggi il padre non riesce ad essere per i figli il traghettatore verso il mondo sociale e culturale, perché non ne può presentare le regole e le leggi; non ne ha l’autorità e si barcamena in un non ben definito concetto di autorevolezza.”
Il ripensamento sull’identità maschile, sollecitato dal movimento femminista, e la conseguente revisione dei ruoli al’interno della coppia ha comportato un’ulteriore destabilizzazione per gli uomini con la perdita dei vecchi e stereotipati modelli di riferimento e l’incertezza su ciò che di nuovo doveva essere cercato.
D’altra parte, l’eclissi del padre e il suo venire meno dallo scenario familiare si accompagna ad una crisi del ruolo materno, resa macroscopica dalla solitudine della donna in quanto unica rappresentante dell’istituzione familiare. Una madre e un figlio – un padre che non c’è talvolta fisicamente perché altrove, altre volte perché ha rinunciato alla sua funzione genitoriale. L’assenza del padre mette in luce la “presenza normativa” materna con il problema di dover “fare per tutti e due” e finendo per stabilire con il figlio un rapporto totalizzante, talora simbiotico, che ostacola e ritarda il percorso evolutivo. “Separarsi, differenziarsi non è solo faticoso, ma non è più un valore.” (Argentieri, 2008).
Appare necessario pertanto reinventarsi una paternità alla luce del nuovo mandato culturale ed è con questo spirito di ricerca che l’uomo tenta, anche se talvolta con impaccio e goffaggine, di accedere ad una emotività che gli è nuova, in particolare nella relazione con i figli, di cui riscopre una dimensione, quella della tenerezza, un tempo negata o nascosta. Compaiono allora i “padri materni”, che condividono con la donna sin dalla gravidanza le ansie, i timori, le gioie della nascita, mostrando un maggiore e diverso coinvolgimento affettivo nella vita dei figli. Questa scoperta di una nuova paternità apre prospettive entusiasmanti e cariche di aspettative sul futuro dei bimbi e su una nuova dimensione di famiglia. Possono però verificarsi errori di percorso quando il partner occupa lo spazio della madre, sovrapponendosi, e rischiando così di usurparne l’identità femminile. In questo caso, il padre andrebbe a rivestire il ruolo che, con una certa ironia, viene definito di “mammo”. Al contrario può accadere che, superata la fase di entusiasmo e infatuazione legata all’evento nascita, il neopadre non sopporti la pressione sociale ed economica, che lo porta lontano dal compito di caregiver, e rientri nel ruolo tradizionale di breadwinner, relegando così la sua funzione a un piano meramente pratico.
In entrambe queste evoluzioni “negative”, il rischio è nuovamente la scomparsa del padre.
Il problema della ricerca di una nuova paternità, dunque, non si colloca nei termini di una maggiore partecipazione all’evento nascita o piuttosto sulla presenza dei padri in sala parto (evento peraltro ricco di significati e di alta carica emotiva), ma si impone all’interno di una riflessione più ampia sulla genitorialità e sulla qualità del rapporto di coppia: quanto più il legame di coppia prenatale è forte e “maturo”, tanto più sarà possibile proseguire nel tempo un percorso di condivisione nel rispetto reciproco delle funzioni di ognuno dei partner.
Il processo che porta una coppia a comprendersi e collaborare è, d’altra parte, il risultato di una complessa costellazione di fattori che includono, tra gli altri, la personalità dell’uomo e della donna, il grado in cui ciascuno dei partner è stato in grado di risolvere i propri legami di figlio per accedere alla dimensione di una nuova famiglia, le aspettative rispetto alla nascita e il significato che assume questo evento nel processo di maturazione personale.
Ne risulta perciò un problema connesso all’assunzione di “responsabilità adulte”: padre e madre devono condividere la funzione normativa che pone il limite, la regola e che orienta il bimbo verso la separazione, aiutandolo ad individuarsi. Solo se la madre aiuterà il figlio a muovere il suo sguardo da lei verso il padre, consentirà a quest’ultimo (se lo vuole!) di svolgere la sua funzione strutturante di terzo nella relazione; funzione che prefigura la separazione, la distinzione tra il sé e l’altro, tra l’interno e l’esterno. È indubbio che, in questo nuovo ruolo, il padre esprima valenze che non si limitano alla collaborazione-condivisione ma che, data l’interazione precoce e diretta col figlio, caratterizzano in modo originale la qualità delle cure primarie, introducendo fin da subito un elemento di differenziazione. Di qui il termine “paternage”, distinto dal “maternage”: diverso è il modo di tenere il piccolo, di parlargli (tendenza a rivolgere il bambino verso l’interlocutore durante un dialogo), di cullarlo (modalità verticale e non orizzontale) o i giochi di lancio e di volo in aria in cui il bimbo sperimenta la vitalità del padre e la sicurezza nel “tenerlo” tra le braccia. La difficoltà ad affrontare le problematiche connesse alla ricerca di un nuovo ruolo paterno ha maturato l’idea di creare uno spazio privilegiato di ascolto e di confronto per i nuovo padri all’interno del servizio di Psicoprofilassi Ostetrica del Centro Nascita “Margherita” dell’Ospedale Careggi di Firenze.
A partire dal 2007 è attivo un ciclo di incontri, rivolto ai soli padri, che si propone l’obiettivo di accompagnare gli uomini nel loro passaggio da padri in attesa a neo-padri, mostrando un’attenzione specifica alle loro emozioni, dubbi, preoccupazioni, desideri, aspettative relative all’evento nascita e all’educazione del bambino. L’approfondimento tematico di tali incontri sarà oggetto di prossimi contributi.
* Neuropsichiatra infantile. Gruppo Accompagnamento Paternità Centro Nascita “Margherita” Careggi