di Antonio Piccinni *
Nel mio ruolo di consulente psicopedagogico e conduttore di percorsi di crescita genitoriale mi sono chiesto che cosa stia accadendo all’interno del panorama familiare odierno vista la “grande” crisi del ruolo genitoriale e nello specifico della figura paterna.
Sempre più spesso i genitori che si rivolgono a me arrivano con una elevata dose di ansia e con argomenti legati alle regole, alla fatica nel gestire i propri figli, alla mancanza di una rete parentale d’appoggio, alla relazione tra fratelli, all’iperattività comportamentale dei bambini (solo per citare alcuni dei temi affrontati).
Molte volte la consulenza viene richiesta dalle donne e, quelle volte in cui arriva la coppia genitoriale, i padri assumono un ruolo marginale nella dinamica del racconto. Di fatto all’interno della seduta, una volta interpellati, gli uomini mostrano un grande desiderio di raccontare e raccontarsi. Nel libro Riscoprire la mascolinità, l’autore Victor J Seidler parla di uomini “invisibili a se stessi” e di come questi spesso abbiano bisogno delle donne come strumento per esprimere il proprio mondo interiore. Essi parlano attraverso le donne, basti pensare a come (a volte) gli uomini comunichino tra loro, parlando di sentimenti, esclusivamente quando si tratta dei rapporti con le loro compagne. Il mondo emotivo maschile viene “compresso” nella dinamica di coppia perdendo altre parti importanti del proprio essere.
La stessa cosa può accadere con le emozioni dei padri: esse si esprimono in relazione al mondo emotivo delle madri, alla loro capacità di essere empatiche e maggiormente espressive. Per cui la madre diventa “mediatrice” comunicativa ed emotiva tra il padre e i figli, assumendo un ruolo storicamente e culturalmente pre-determinato nella famiglia italiana.
Cosa accade però se al padre viene richiesta una nuova presenza? Un modo diverso di stare all’interno della relazione con i componenti della famiglia? In che modo deve comportarsi quando gli viene richiesto di esserci fisicamente ed emotivamente nella relazione con i propri figli e figlie?
Nasce così la necessità di dare al “padre contemporaneo” la possibilità di imparare ad esprimere il proprio mondo interiore, per poter costruire una relazione educativa efficace, a prescindere dall’altro. Attualmente l’assenza (o meglio la poca presenza) di percorsi e servizi rivolti a uomini che vivono l’esperienza della paternità non agevola un percorso di cambiamento che veda gli uomini al centro delle loro emozioni.
La figura del padre più presente rispetto al passato ma più in crisi rispetto al suo ruolo, in fuga dalle responsabilità ma più attento ai bisogni dei figli, più femminilizzato (o mammo) rispetto ai padri delle scorse generazioni ma meno impositivo e attento alle regole e così via, può lasciare il posto a un padre “consapevole”, che va alla ricerca del suo modo di stare all’interno della relazione con i figli. Partire dalla confusione di questo momento storico per riscoprire le funzioni genitoriali e soprattutto la “funzione paterna” nel processo di crescita dei figli.
Durante i percorsi rivolti ai padri (“Insieme padri”, percorsi rivolti a soli uomini e promossi dal Centro per le Famiglie di Casalecchio di Reno) è emersa un’esperienza che accomuna le storie di molti padri e neopadri. La letteratura scientifica ha concentrato molta della propria attenzione sul mondo interiore della futura madre, la cui dimensione emotiva è stata ampiamente analizzata in ogni suo aspetto più intimo e inconscio. Ma troppo poco ci si chiede cosa sente, cosa prova un uomo rispetto alla propria paternità, come entra in relazione con la genitorialità e in che modo esprime le sue emozioni con gli anni.
Un uomo che diventa padre va incontro ad una fase del proprio ciclo di vita che ha un enorme potenziale di trasformazione dell’identità: insieme al proprio figlio un uomo vede nascere un “nuovo se stesso” ricco di paure, speranze, dubbi e fantasie. La fatica mentale ed emotiva che un uomo deve affrontare nel momento in cui si confronta con la possibilità di una paternità è davvero smisurata: poche altre sfide nella vita comportano le stesse implicazioni emotive e psicologiche. Entrare nella dimensione del “per sempre” come si entra quando si ha un figlio costringe l’uomo a doversi confrontare con la dimensione del “definitivo” facendolo entrare in un’avventura che non ha mappe direzionali o percorsi tracciati bensì si esprime in un viaggio personale, dove tutto è imprevedibile e sconosciuto.
Diventare padre stimola l’immaginario maschile soprattutto nel pensare di perdere un ruolo di stabilità e indipendenza tipico del proprio ciclo di vita (paura di interrompere la carriera, di non avere più tempo per lo sport ecc.). Le emozioni degli uomini il più delle volte sono emozioni che non vengono ascoltate ma risultano essere qualcosa da cui scappare o di cui “vergognarsi”.
Parlare di sé come padri e come uomini significa diventare consapevoli di essere persone che, perdendo, abbandonando e lasciando andare la vecchia immagine di sé, tracciano una nuova identità, che trattiene ancora alcuni aspetti di quella vecchia ma che allo stesso tempo va incontro ad altre conquiste e opportunità esistenziali.
Offrire (e prendere) uno spazio di ascolto e accoglienza del mondo emotivo dei padri e delle funzioni evolutive che essi svolgono sin dai primi momenti di vita del proprio bambino o bambina significa creare l’opportunità per gli uomini di ascoltare le emozioni, identificarle, esprimerle e avvicinarsi sempre di più al mondo emotivo del propri figli.
* psicopedagogista. Bologna