di Silvana Bisogni *
L’ISTAT, nel suo Censimento permanente delle Istituzioni non profit, pubblicato il 9 ottobre 2020[1], traccia un profilo, ricco di dati e di valutazioni, sulla struttura del settore non profit attivo in Italia, riportando i dati relativi al 2018.
Ne emerge una realtà composita, molto articolata per caratteristiche e ambiti di intervento, che spesso sfugge all’attenzione della pubblica opinione e a cui i media dedicano uno spazio non adeguato alla sua importanza sociale e culturale, nonché anche economica, come vedremo in seguito.
Le istituzioni non profit attive in Italia sono 359.574 e, complessivamente, impiegano 853.476 dipendenti, che sono attivi per il 58% in cooperative sociali, per il 19,2% nelle associazioni riconosciute e non riconosciute, il 15% in organismi di varia natura giuridica e il 12,2% nelle Fondazioni. Quanto alla loro forma giuridica, l’85% è costituito da associazioni riconosciute e non riconosciute, il 4,4% da cooperative sociali, il 2,2% da Fondazioni e l’8,4% da organismi di altra forma giuridica.
A livello territoriale la diffusione degli Enti non profit si modula secondo la seguente ripartizione:
Regioni/Province
autonome e Ripartizioni |
Istituzioni | ||
v. a. | Per 10.000 abitanti | Var. % 2018/2017 | |
Piemonte | 30.090 | 69,1 | 1,5 |
Valle d’Aosta / Vallée D’Aoste | 1.410 | 112,2 | 2,0 |
Lombardia | 57.710 | 57,4 | 2,2 |
Liguria | 11.165 | 72,0 | 2,4 |
Nord-Ovest | 100.375 | 62,4 | 2,0 |
Bolzano / Bozen | 5.607 | 105,6 | 0,3 |
Trento | 6.456 | 119,3 | 3,0 |
Trentino-Alto Adige / Südtirol | 12.063 | 112,5 | 1,8 |
Veneto | 31.035 | 63,3 | 1,4 |
Friuli Venezia Giulia | 11.004 | 90,6 | 2,6 |
Emilia-Romagna | 27.819 | 62,4 | 1,7 |
Nord-Est | 81.921 | 70,3 | 1,7 |
Toscana | 27.802 | 74,5 | 1,0 |
Umbria | 7.098 | 80,5 | 3,2 |
Marche | 11.555 | 75,8 | 0,9 |
Lazio | 33.325 | 56,7 | 3,4 |
Centro | 79.780 | 66,4 | 2,2 |
Abruzzo | 8.221 | 62,7 | 2,2 |
Molise | 1.971 | 64,5 | -4,4 |
Campania | 21.315 | 36,7 | 1,6 |
Puglia | 18.485 | 45,9 | 7,8 |
Basilicata | 3.807 | 67,6 | 3,8 |
Calabria | 10.010 | 51,4 | 6,8 |
Sud | 63.809 | 45,7 | 4,1 |
Sicilia | 22.420 | 44,8 | 2,4 |
Sardegna | 11.269 | 22,5 | 8,9 |
Isole | 33.689 | 50,7 | 4,5 |
ITALIA | 359.574 | 59,6 | 2,6 |
Contrariamente a quanto accade in altri settori produttivi, in cui la crisi economica ha assunto un peso decisamente negativo, con una forte incidenza a livello di imprese e di occupazione, le istituzioni non profit continuano ad aumentare con tassi di crescita di circa il 2% (livello medio annuo).
Dai dati riportati emerge chiaramente che le attività degli organismi non profit, pur con le dovute eccezioni, sono svolte in assoluta prevalenza dai volontari. In Italia, secondo l’ISTAT, si stima che le persone che svolgono attività gratuite a beneficio di altri o della comunità siano 6,63 milioni, impegnati presso gruppi o organizzazioni di volontariato (attività formale), e come volontariato individuale (attività informale).
Di loro si parla poco, solo in alcune occasioni particolari: terremoti, calamità naturali, emergenze sanitarie, interventi a favore di immigrati. Solo per citare alcuni Enti di cui è noto l’intervento dei volontari: la Protezione Civile, che raccoglie più di 800 mila volontari riuniti in 57 Associazioni nazionali, con le proprie sezioni locali, o Organizzazioni di particolare rilievo e interesse a livello nazionale; la Croce Rossa Italiana con i suoi 155.494 volontari suddivisi in 672 Comitati, la Comunità di Sant’Egidio 60.000 volontari. Ma la realtà è molto più articolata, ricca di sfaccettature per identità e genere, per tipologia di partecipazione, per tipologia di attività e settori in cui operano.
Dunque, i volontari, questi sconosciuti. Svolgono un’attività fortemente connotata da valori quali la solidarietà, la giustizia sociale per difendere i diritti di tutti, la non violenza, la difesa della legalità, con il rispetto della leggi da parte di tutti, la qualità della vita, servizi più efficienti, città più vivibili e sicure, la crescita e la disponibilità di beni comuni, sia simbolici che materiali per tutti i cittadini.
I valori che animano i volontari sono modulati in modo alternativo rispetto alla ricerca del profitto o del guadagno, della competizione senza regole, del consumismo, dell’utilitarismo. Infatti agiscono disinteressatamente, privilegiano i beni relazionali che danno senso alla vita, promuovendo relazioni, l’incontro e lo scambio tra le persone. Il raggio d’azione del volontariato non consiste solo nella promozione dell’inclusione sociale o in interventi di emergenza, ma agisce con fini di prevenzione delle cause che creano disagio, ingiustizia sociale, diseguaglianza nelle opportunità, degrado ambientale, povertà culturale.
Chiaramente i volontari non sono in grado di farsi carico di tutti i bisogni delle persone, né possono gestire tutti servizi o sostituirsi agli Enti, pubblici e privati che ne hanno competenza. In realtà sono i mediatori tra i cittadini e le istituzioni, con la loro opera di sensibilizzazione sui bisogni e sui problemi e, quindi, agenti di cambiamento, intervenendo nei confronti di chi è in stato di bisogno attraverso attività di ascolto, orientamento, accompagnamento, prime risposte alle necessità materiali, di assistenza e relazionali. Possono persino offrire soluzioni del tutto innovative coordinandosi con organismi pubblici e privati: il loro intervento umanizza i servizi rendendoli a misura d’uomo. Se questi sono gli aspetti “valoriali” alla base del volontariato, può essere interessante avere anche un quadro quantitativamente significativo del fenomeno.
L’Eurostat nel 2017 ha pubblicato una ricerca[2] (Social participation and integration statistics) in cui sono riportati dati comparativi tra i vari Stati sull’attività di volontariato tra cittadini di età superiore ai 16 anni. Emerge che in Europa i cittadini coinvolti in attività formali di volontariato sono in media il 19,3% del totale, ma con differenze notevoli tra gli Stati membri, In testa ci sono i Paesi Bassi (40,3%), la: Danimarca (38,7%), Lussemburgo (36,7%), Svezia (35,5%) e Finlandia (34,1%). Pur con i suoi 6,6 milioni di volontari censiti dall’ISTAT[3], nella rilevazione EUROSTAT l’Italia si colloca al diciassettesimo posto su 28, anche se, secondo il CENSIS, negli ultimi anni i componenti del volontari sono aumentati del 19%[4]. Peraltro, la ricerca dell’ISTAT non è recentissima ma offre uno spaccato statistico significativo del fenomeno volontariato italiano.
Il tasso di volontariato, in Italia, viene valutato al 12,6% , che va suddiviso tra quanti (4,4 milioni di persone) svolgono attività nell’ambito di gruppi o organizzazioni e costituiscono la fascia di volontari più cospicua (54,3%) e tra coloro che sono impegnati in modo non organizzato (37,5%), ma occorre annoverare anche 530.000 persone che svolgono attività volontaria sia in modo formale che informale.
Quanto alla diffusione territoriale, il volontariato è più presente nel Nord-est (16%), con uno specifico contributo a livello di ripartizione territoriale del Trentino Alto-Adige (21,8%). Seguono Nord-ovest (13,9%) e Centro (13,4%). Le regioni meridionali presentano una minore adesione a tale tipo di partecipazione e impegno (8,6%).
Le organizzazioni con finalità religiose rappresentano il settore di maggiore adesione tra i volontari: il 23,2%, in prevalenza donne (29,7% contro il 17,5% degli uomini), residenti nel Sud (il 30% contro il 19% delle regioni del Nord e il 23,8% del Centro) e con un basso titolo di studio (il 32,1% tra chi ha la licenza elementare o nessun titolo). In particolare, è riscontrabile nelle classi di età dei giovani tra 14 e 24 anni e degli anziani di 75 anni e più, tra i quali il tasso di volontariato organizzato nel settore religioso raggiunge rispettivamente il 29,7% e il 30,5%.
Gli altri settori di maggiore adesione da parte dei volontari organizzati sono i settori:
- attività ricreative e culturali (17,4%),
- sanitario (16,4%) e
- assistenza sociale e protezione civile (14,2%),
- attività sportive dilettantistiche (8,9%, ma è del14% tra gli uomini),
- settore dell’ambiente (3,4%)
- istruzione e ricerca (3,1%).
Rispetto alla forma giuridica delle organizzazioni in cui i volontari svolgono la propria attività, il 41,3% opera in organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale e Onlus, il 24,3% organizzazioni religiose, il 15,8% presso associazioni culturali e sportive e il 9,2% nell’ambito dei comitati, movimenti e gruppi informali. Risultano meno attrattivi partiti e sindacati (3,2%), le associazioni non-profit (2,9%), le amministrazioni pubbliche per es. il comune o la scuola (2,8%), nelle imprese, tra cui le cooperative sociali (0,5%).
Sono state rilevate anche differenze demografiche tra i volontari. Nella fascia di età compresa tra i 55 e i 64 anni costituiscono il 15,9%, ma poi tra i 65-74enni scendono al 13,1%. I volontari tra i 35e i 44enni sono il13,7%.
Ulteriori elementi di valutazione: appare evidente la relazione diretta dell’impegno volontario con il titolo di studio e con l’attività professionale. La percentuale di chi presta attività volontarie cresce quanto più è elevato il grado di istruzione ed è massimo tra i laureati (22,1%), mentre è minimo tra coloro che hanno la licenza elementare o nessun titolo (6,1%). Egualmente, a livello di impegno professionale, i più attivi risultano gli occupati (14,8%) e gli studenti (12,9%).
Un altro significativo elemento di valutazione: è riscontrabile una differenza di genere nella partecipazione alle attività e alle tipologie di contributo de volontariato. Gli uomini sono più attivi delle donne (13,3% contro 11,9%), per via di una maggiore presenza maschile nel volontariato organizzato e sono preponderanti nei ruoli dirigenziali (l’8,8% dei volontari uomini, contro il 3,7% delle donne).
Tra i volontari (organizzati e non) il 7% svolge attività di volontariato di natura intellettuale, scientifica e di elevata specializzazione: sono medici, veterinari, professori, avvocati, giornalisti, ma anche musicisti e cantanti. Ma la percentuale più alta dei volontari (il 32,3% dei volontari organizzati e il 16% dei volontari individuali) è attiva nei servizi sociali (assistenti sociali, mediatori culturali, catechisti, ecc.), nei servizi tecnici delle attività turistiche, ricettive ed assimilate (animatori, guide, ecc.) e degli istruttori di discipline sportive. La parte restante dei volontari che svolgono attività di tipo tecnico si divide tra infermieri, personale gestionale/amministrativo e contabili. Infine, il 5,9% dei volontari organizzati e il 5,5% dei volontari individuali svolgono attività tipiche del lavoro d’ufficio, segreteria di gruppi/organizzazioni, dell’amministrazione, disbrigo di pratiche burocratiche.
Riprendiamo il tema della differenza di genere nella divisione degli incarichi. Alcune indagini, un po’ datate ma significative nel delineare una tendenza, hanno interessato alcune tra le più conosciute Associazioni italiane di dimensione medio-grandi (con esclusione delle associazioni che si occupano solo di problematiche femminili), e si basano su dati raccolti dalla Fondazione Volontariato e Partecipazione e dal Centro Nazionale per il Volontariato e dal Centro interuniversitario di sociologia politica dell’Università di Firenze, sulla base della composizione degli organigrammi di organizzazioni associative.
Ebbene emerge che nella divisione degli incarichi nelle associazioni si ricalcano i ruoli familiari tradizionali per cui le volontarie assumono un ruolo “tipicamente femminile”, mentre nelle cariche dirigenziali si registra un’assoluta prevalenza maschile: solo il 33,7% delle volontarie presiede un’associazione di volontariato contro il 66% degli uomini.
Questi dati sono confermati anche da una indagine interna svolta nell’ambito delle Associazione AUSER, costituitasi in origine all’interno del gruppo dei pensionati aderenti alla CGIL, L’Associazione ha raggiunto i 300.000 soci e vi collaborano 46.000 volontari divisi tra le 1545 sedi tra strutture e affiliazioni in tutta il territorio nazionale, in cui le donne sono il 47,3%. Anche nel mondo AUSER i livelli di responsabilità sono ricoperti in modo preponderante da uomini: a ricoprire ruoli dirigenziali sono soltanto il 29,7% delle donne, in contrasto con l’obiettivo dell’equilibrio di genere posto dalla disposizione antidiscriminatoria, contenuta nello statuto di Auser.
Tra le cause di questa differenza nei ruoli all’interno delle Associazioni sono da annoverare sicuramente la tendenza femminile a non assumere ruoli che potrebbero interferire sul tempo da dedicare all’ambito familiare, nonché fattori di carattere culturale, soprattutto tra le persone più anziane. Ma vanno considerati anche altri elementi, quali ad esempio, il meccanismo della cooptazione adottato molto spesso per la selezione dei dirigenti, anche in presenza di regolari elezioni in ambito assembleare, allorché le proposte di designazione vengono generalmente fatte da chi è già in carica, innestando un ricambio molto lento ai vertici.
* Sociologa dell’educazione – ISP Roma
[1] ISTAT, Istituzioni non profit: strutture e profili del settore, 2020
[2] Social participation and integration statistics, 2017.
[3]Prima rilevazione sul lavoro volontario, frutto della convenzione stipulata tra Istat, CSVnet (rete dei Centri di Servizio per il Volontariato) e Fondazione Volontariato e Partecipazione (Report, Attività gratuite a beneficio di altri, 2014).
[4] Rapporto CENSIS, 2019.