di Maurizio Quilici *
Non è la prima volta – e temo non sarà l’ultima – che l’operato dei servizi sociali mirato a tutelare minori in situazioni di grave disagio e a stilare relazioni per i giudici che dovranno decidere dell’eventuale affidamento, o adozione, dei minori stessi viene messo sotto accusa e tacciato di superficialità, imperizia se non addirittura interessi biecamente economici. Mi riferisco ai fatti di Bibbiano e della Val d’Enza, in provincia di Reggio Emilia, che hanno tenuto banco sulle pagine dei giornali questa estate: un’indagine della Procura di Reggio Emilia, denominata “Angeli e demoni”, dopo segnalazioni del Tribunale di Bologna che aveva rilevato alcune anomalie nelle pratiche di minori sottratti alle loro famiglie e dati in affidamento.
In parole povere, i servizi sociali – assistenti sociali, psicologi, “esperti” di vario genere – sono sospettati di perizie superficiali o addirittura false per “pilotare” l’assegnazione dei minori a coppie affidatarie. Sono sospetti molto gravi, che di tanto in tanto sfiorano i servizi sociali in materia di affidamenti e adombrano persino, se non una connivenza, un laissez-faire in qualche Tribunale per i minorenni, ritenuto poco attivo nell’accertare la veridicità di certe relazioni. In questi casi c’è sempre qualcuno che parla di “commercio di minori”.
Se parliamo di adozioni, è noto che intorno ad esse ruotano non solo intense spinte emotive e sentimentali ma anche interessi di tutt’altro genere. Accade sempre così, temo, quando una macchina inevitabilmente complessa deve gestire e organizzare insieme forti sentimenti e forti somme di denaro. D’altro canto, non per questo si abolisce l’istituto della adozione.
Vorrei fare un paragone con un tema molto attuale: quello degli immigrati. Nessuno nega che l’accoglienza, la solidarietà e l’integrazione (che non si attuano senza impegno economico) possano attirare sfruttamento, corruzione, speculazione. Forse, però, si possono combattere le infiltrazioni di tipo camorristico o mafioso e si può ottenere trasparenza nella gestione dei fondi (per esempio con l’obbligo di una meticolosa rendicontazione) anziché chiudere i porti, smantellare gli SPRAR, sgomberare i centri di accoglienza. Quando c’è movimento di denaro, opportunità di guadagno, un margine di corruzione va dato per scontato. E naturalmente combattuto. Un altro esempio? Quando è apparso evidente che il business delle energie alternative, in particolare quella dell’energia eolica, attirava gruppi imprenditoriali legati alla mafia e alla camorra, magistratura e forze di polizia hanno fatto il loro lavoro. Certo non si è pensato, per risolvere il problema, di eliminare le pale eoliche.
Diverso è però il discorso dell’affidamento speciale, che consiste nell’affidamento temporaneo di un minore nella cui famiglia siano state riscontate situazioni familiari di estremo degrado – ambientale, igienico-sanitario, economico, morale, di violenza, di abusi sessuali… – In questo caso il cui prodest è d’obbligo. Che interesse ha una famiglia ad accollarsi – con precisi obblighi di legge – un minore che esce da una situazione fortemente problematica e porterà probabilmente con sé gran parte di quei problemi? Il contributo economico elargito a chi accoglie in casa un minore in affidamento varia da 300 a 600 euro. Una somma che non giustifica il gravoso impegno di una famiglia affidataria. Mi pare quindi che le sole motivazioni valide possano essere quelle altruistiche. E allora? Leggo che le false attestazioni di abusi, anche sessuali, avrebbero mirato a far ottenere l’affidamento a coppie “amiche” che a loro volta sarebbero state seguite da psicologi privati con evidente beneficio economico di questi ultimi (ma certo non delle coppie affidatarie…).
Non ho una conoscenza giudiziaria dei fatti che mi consenta di azzardare opinioni. Devo limitarmi a ciò che leggo sugli organi di informazione e a fare qualche osservazione, esprimere qualche perplessità. Perplessità che non sono solo mie. Melita Cavallo, per molti anni Presidente del Tribunale per i minorenni di Roma, esprime dubbi sulla vicenda. Osserva che, dopo tutte le segnalazioni, da parte di numerosi soggetti compresi i servizi sociali, di disagi e di possibili abusi “è il Tribunale che, sentiti bambini e genitori, decide”. Giustamente rifiuta di incolpare un’intera categoria (gli operatori “non sono mica delinquenti”) e auspica corsi di formazione e aggiornamento per una migliore professionalità. Concordo: non è giusto generalizzare gettando la croce addosso agli operatori sociali (ne conosco di molto preparati e scrupolosi) ma forse il percorso di studi per gli assistenti sociali e il loro inserimento nel lavoro andrebbero rivisti.
Per la sociologa Chiara Saraceno la vicenda “certamente presenta molte oscurità”; tuttavia ella ricorda che “le folle pronte a scendere in piazza per protestare ogni volta che un bambino viene tolto ai genitori per garantirgli protezione sono le stesse che puntano il dito quando per qualche motivo questo non è avvenuto e le cose sono finite male”. Assistenti sociali e psicologi che lavorano con bambini in situazioni di disagio dovrebbero lavorare – ritiene – “al riparo da intrusioni improprie, ma sotto supervisione”.
Dubbioso anche Stefano Cirillo, psicologo e terapeuta familiare, fondatore del Centro del Bambino Maltrattato” di Milano. Dopo aver ricordato, con ragione, che “le violenze in famiglia esistono” e che “se ci sono delle prove di abusi o di maltrattamenti i figli vanno allontanati”, Cirillo ipotizza per Bibbiano un furor curandi, ossia “terapeuti che hanno visto abusi dove forse non c’erano” e tende ad escludere interessi economici parlando di affido. Ma soprattutto dice una cosa sacrosanta, che ho poco sentito in questa vicenda: “Nessuno cura i genitori maltrattanti”. Questo mi ricorda quanta passione metteva il giurista Cesare Massimo Bianca, nelle sue lezioni di Master in Diritto minorile alla Sapienza, quando sottolineava che la soluzione ai problemi dei minori nelle famiglie economicamente disagiate (per le quali la legge sulle adozioni prevede “interventi di sostegno e di aiuto”) ma anche inadatte, maltrattanti, non consiste nel togliere i bambini alle famiglie (cosa che considerava ultima ratio) ma nel sostenere adeguatamente le famiglie per renderle idonee ai loro compiti.
Non è un caso che proprio la Legge-cardine sulla adozione, la n. 184/1983, all’art. 1, comma 1, reciti: “Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia”. Questa inequivocabile affermazione è stata ripetuta, identica, nella Legge 149/2001 che ha modificato la n. 184.
Poi ci sono le analisi di tipo sociologico, come quella di Ernesto Galli della Loggia che sul Corriere della Sera vede nella vicenda di Bibbiano “una malintesa e indebitamente estesa ‘psicologizzazione’ della vita”, ovvero “l’inclinazione a trovare se non prove almeno sintomi o spie di un problema psicologico in qualunque comportamento che appena appena si discosti dalla normalità”. Qui sta, per Galli della Loggia, “la vera esemplarità” di tutta questa storia.
Che qualcosa non torni nella vicenda degli affidi nella Val d’Enza mi pare evidente, se il Tribunale per i minorenni di Bologna ha stabilito il rientro in famiglia di quattro su sette minori oggetto dell’inchiesta e, in più, ha deciso di estendere i controlli a tutti i casi di affido – una quarantina – degli ultimi due anni. Anche il fatto che negli ultimi anni, in proporzione al numero di abitanti, l’area della Val d’Enza e di Bibbiano (Comune con poco più di 10 mila abitanti) abbia avuto il triplo degli affidamenti rispetto a Reggio Emilia suscita molte perplessità.
Ho detto all’inizio che questa non è la prima vicenda del genere e non sarà l’ultima. Tuttavia questa ha qualche particolarità. Mai una inchiesta similare è stata tanto strumentalizzata a fini politici. Destra e sinistra si sono attaccate a vicenda con la violenza che è di questi tempi politici. Il sindaco di Bibbiano, del PD, è tra i 29 indagati; lo è per abuso d’ufficio, per aver concesso senza rispettare le procedure di legge l’uso di alcune stanze per sedute terapeutiche alla associazione “Hansel e Gretel”, il cui direttore scientifico, Claudio Foti, è al centro delle polemiche, non per le (presunte) false perizie. Ma è bastato perché il PD venisse ritenuto responsabile e indicato come “il partito di Bibbiano”. Il ministro della Giustizia Bonafede (5 Stelle) lancia stoccate al PD, annuncia misure speciali per tutelare i minori e afferma minaccioso: “Tutti gli operatori dovranno sentire il fiato sul collo”. Il vicepremier e ministro dell’Interno, Salvini, si precipita a Bibbiano “nella veste di papà, prima che da ministro”, ricorda con sdegno che uno dei bambini era stato dato in affido “ad amiche delle amiche e non voglio dire altro…” (alludeva all’affidamento di un minore ad una coppia di donne). E siccome su questa vicenda tutti dicono la loro, lo fanno anche Laura Pausini e Nek che chiedono, guarda un po’, di accertare la verità. Salvini twitta un po’ enfaticamente “Onore a Nek e a Laura Pausini”. Un tempo l’onore si riservava ai caduti di guerra…
Forse ci sarebbe qualcosa da dire anche su Claudio Foti, anche lui oggetto di appassionate difese e attacchi denigratori; ma quando si parla di una persona in particolare è giusto andare con i piedi di piombo.
Il Tribunale del riesame di Bologna, mutando gli arresti domiciliari nell’obbligo di dimora nel Comune di Pinerolo, ha definito il metodo usato da Foti “una tecnica invasiva e suggestiva”, “connotato da elementi di forte pressione e forzatura, nonché ingerenza nella vita privata dei minori” e ha ritenuto che lo psicoterapeuta non sia “dotato delle competenze professionali e scientifiche per esercitare l’attività di psicoterapeuta”. Certamente in quest’ultimo giudizio ha giocato il fatto che Foti non sia uno psicologo. Infatti è laureato in Lettere. A quanto pare, poteva esercitare la psicoterapia in base alla legge 56 del 1989 che regolarizzò situazioni fino ad allora incerte.
E qui mi tocca aprire una parentesi. Il fatto che si possa essere esperti riconosciuti e apprezzati in una materia senza avere una laurea specifica proprio in quella materia mi pare scontato, anche se una formazione universitaria di base non guasta mai. La storia – e la storia della psicologia in particolare – è ricca di questi casi. Frederick Burrhus Skinner, tra i più autorevoli esponenti del comportamentismo, era diplomato in lingua e letteratura inglese. Il russo Lev Vigotskij, autore del famoso Pensiero e linguaggio, era laureato in giurisprudenza. Jean Piaget, considerato il fondatore della moderna Psicologia dell’età evolutiva, era biologo. E William James (“il più venerato fra gli psicologi americani” secondo lo storico della Psicologia Legrenzi) era laureato in medicina. Se poi passiamo ad altre discipline, farò un solo esempio: Jane Goodall, famosa etologa nota in tutto il mondo per i suoi studi sugli scimpanzé, una laurea non l’ha mai presa (anche se, con procedura senz’altro anomala, conseguì un dottorato in etologia presso l’Università di Cambridge). Però per esercitare una psicoterapia si deve aver fatto un preciso percorso di studi e di pratica. Come per fare l’avvocato non basta essere esperto di Diritto. Marino Maglietta, noto a chi si occupa di paternità per essere fondatore e Presidente di “Crescere Insieme”, esprime una serie di competenze giuridiche con numerosi incarichi di rilievo: autorevoli consulenze, partecipazione a comitati scientifici in materia di diritto, docente di diritto di famiglia in corsi, master e scuole, collaboratore di riviste giuridiche e altro ancora. Maglietta è docente universitario di… Fisica, cosa per la quale di tanto in tanto incorre in polemiche con giuristi del Diritto di famiglia (ne ricordo una particolarmente vivace con Gian Ettore Gassani, avvocato, Presidente dell’AMI, Associazione Matrimonialisti Italiani) ma certo non esercita l’attività di avvocato (non potrebbe, ovviamente).
Comunque, non entro nel merito se Foti potesse esercitare la sua professione di psicoterapeuta, anche se suppongo di sì; quello che mi lascia, ancora una volta, perplesso, è leggere che Foti è indagato anche per maltrattamenti in famiglia, nei confronti della moglie e dei figli. Anche qui non entriamo nel merito: è un tipo di accusa spesso strumentale e se ci siano stati maltrattamenti lo deciderà la magistratura. Però è sorprendente quanto ha detto candidamente il suo avvocato: “Il mio cliente ha perso la pazienza in un paio di occasioni e ha rotto dei piatti”. “Perso la pazienza…?”, “rotto dei piatti…?”. Se l’avvocato pensava di sminuire la portata delle accuse non ha considerato che, così facendo, sminuiva anche l’immagine professionale del suo cliente.
- Presidente dell’I.S.P.