di Arnaldo Spallacci *
L’indagine “Paternità e smart working” svolta dall’I.S.P. pone in relazione il tema della paternità, sempre attuale e dibattuto nella società di oggi, quello traumatico ed inaspettato della pandemia, più specificatamente il fenomeno dello smart working, e quello collegato del lockdown, della “chiusura” tanto necessaria quanto coatta della famiglia fra le mura domestiche.
Si è trattato, nei fatti, di una esperienza, di una sperimentazione “in vitro” probabilmente mai accaduta per un periodo tanto prolungato, in certa misura simile a quelle diffuse nelle scienze psico-sociali di rinchiudere gruppi di volontari per determinati periodi di tempo, senza scambi con l’esterno, per studiarne le reazioni, personali e relazionali. Seppure fra il lockdown e i gruppi sperimentali (dove si conducono esperienze dette di “dinamica di gruppo”) esistono differenze palesi: in un caso i partecipanti sono volontari ed in genere senza relazioni pregresse fra loro, nell’altro i protagonisti non sono per nulla volontari, bensì coattivamente ristretti, appartengono ad un micro-gruppo sociale come la famiglia nel quale non solo ci si conosce, ma si convive per larga parte della vita quotidiana; inoltre nel lockdown è concesso uscire dal gruppo e dal luogo fisico, sebbene solo per ragioni definite, scontando possibili controlli delle autorità, ed il rischio di sanzioni, contagi, riprovazioni.
Che cosa è successo durante una esperienza che senza esagerare può essere definita “unica” e probabilmente (si spera) “irripetibile” nelle relazioni fra padri, madri e figli, nonché tra i figli, e fra i genitori? Mai prima, probabilmente, padri e figli, e spesso anche le madri, hanno convissuto per diverse settimane una vita faccia a faccia, gomito a gomito, per periodi più lunghi e meno gratificanti di quello della vacanza (il tempo della libertà più che quello della costrizione) o del fine settimana (il tempo delle pulizie, ma anche dello shopping, dello svago, degli incontri con parenti o amici).
Soprattutto la lunga presenza a casa del padre ha costituito l’elemento di novità, specie per i padri molto occupati dal lavoro, con il rientro serale all’ora della cena, quando fra cibo, televisione in permanenza accesa, telefoni che squillano, rimane ben poco spazio per imbastire qualsivoglia discorso; e ciò vale anche per le madri, specie nelle regioni ad alta occupazione femminile, sebbene fra queste ultime siano più presenti che fra i padri la condizione di casalinga full-time, o lavoratrice a domicilio (es. traduttrice, redattrice); o di occupate in settori con orari che consentono maggiore presenza a casa (es. la scuola; un quinto delle partner dei nostri intervistati è insegnante).
Quindi al padre, almeno sotto il profilo della presenza fisica, per questo periodo “speciale” non possono attribuirsi tout-court i caratteri che ne hanno accompagnato l’esperienza negli ultimi 50 anni, declinando in diverso modo il profilo centrale del “padre assente”: dal padre “evaporato” a quello “invisibile”, dal padre “ombra” al padre “pallido” …). Questa icona di figura paterna nella indagine ha ceduto il posto, almeno nelle rappresentazioni che ne danno gli intervistati, ad una figura materialmente presente ed operante, attivo, nella famiglia, nelle relazioni, nella vita quotidiana, in cucina, davanti alla TV, in giardino, per h.24.
Giusta quindi l’iniziativa dell’ISP di non ignorare, ma anzi di scandagliare a fondo, seppure con le risorse limitate, un micro “campione” per verificare che cosa è successo in quel periodo difficile e indimenticabile, al di là di determinati e in certa misura prevedibili fenomeni (depressioni, violenza, conflitto, …). E come si è nel caso manifestato, trasformato, il ruolo paterno che ha costituito il perno dell’indagine intervistando padri maschi (data la mission dell’ISP) e non solo, ovviamente, perché uguale attenzione si è dedicata alla madre, e ai rapporti fra padre e madre, secondo il racconto dei padri.
I 50 padri intervistati sono appartenenti a nuclei familiari che ripropongono in genere le tendenze odierne delle coppie italiane adulte, fra i 40 e i 50 anni, di estrazione urbana, di medio e medio-alto livello di istruzione, con larga presenza di uno, più raramente di due figli.
Sebbene il nostro collettivo di intervistati non costituisca (principalmente per la sua scarsa dimensione quantitativa), un “campione” rappresentativo in senso statistico della popolazione italiana, egualmente al suo interno si ripropongono caratteri che è bene tenere presenti nella valutazione dei risultati; ad esempio nella distribuzione del lavoro famigliare (sia domestico che di cura). In generale, nelle statistiche sulla popolazione complessiva risulta che i padri occupati in professioni terziarie e con medio-alto livello di istruzione partecipano di più al lavoro famigliare dei padri con istruzione minore e operanti nella industria o nell’artigianato, in contesti non urbani. Anche i padri intervistati nella ricerca partecipano in misura discreta al lavoro famigliare, e l’impegno aumenta nel lockdown specie per il lavoro di cura, ma è importante notare che nell’insieme il lavoro famigliare della madre permane in ogni caso sempre maggiore del padre, sebbene in alcuni casi, in base alle dichiarazioni dei padri, le coppie sembrino avvicinarsi ad una condizione paritaria, ovvero alla cosiddetta “coppia simmetrica” così come viene definita nei dibattiti politici e sociologici.
Un dato culturale interessante sta nel fatto che gli uomini ammettono in notevole misura di essere stati pienamente consapevoli, anche prima della permanenza a casa dovuta al Covid, della gravosità del lavoro famigliare e ciò rappresenta una opinione diffusa nei padri di oggi, che tende ad esprimere maggiore consapevolezza del lavoro femminile e vicinanza alla partner. Un secondo aspetto culturalmente significativo sta nella convinzione – presente in un numero costante (circa un quinto) degli intervistati e in accordo con le interpretazioni “naturalistiche” delle disposizioni umane – che il lavoro domestico e di cura sia sempre stato diviso fra i coniugi secondo le loro “attitudini naturali”, pur senza approfondire il significato di tali affermazioni.
Sotto il profilo della tradizione dell’ISP, e del suo compito di studio e ricerca, appare centrale verificare attraverso l’indagine se nel corso della pandemia, e quindi essenzialmente a causa della presenza stabile del padre in famiglia, si sono registrati mutamenti nei ruoli paterni in relazione a quelli materni.
L’indagine offre importanti spunti, che sarebbe essenziale comprovare attraverso studi più approfonditi, sul fatto che il padre pare avere assunto un ruolo più centrale, “visibile”, collaborativo, affettivo, e non tanto di “autorità”, di “guida” secondo i canoni più tradizionali dell’immagine maschile. Ciò appare principalmente da alcune dichiarazioni fra le più spontanee espresse dagli intervistati.
Ad esempio durante il lockdown i figli in caso di bisogno si rivolgevano ai genitori in modo differenziato. Il genitore più ricercato (per la metà dei casi) in generale resta la madre, alla quale ci si rivolge per la socializzazione, per il supporto nei compiti, per bisogni alimentari, e nel caso dei figli più piccoli, per bisogni affettivi. Mentre ai padri si rivolgono per bisogni pratici, da quelli tecnici (informatica, telefono, computer…) a quelli fisico-sportivi (uscire, praticare sport). Parrebbe quindi che una certa “divisione del lavoro” si sia creata fra i genitori in base al sesso, secondo canoni discretamente tradizionali, e in tale senso la percepiscono i figli. Ma anche in questo campo qualcosa sta cambiando, come inizia ad essere evidente nell’esperienza di molte coppie: ad esempio la soddisfazione dell’esigenza relazionale-affettiva, che in genere i figli percepiscono in capo alla madre, in misura crescente, anche nel periodo della pandemia, si è poi spostata verso i padri. Infine, anche riguardo a ciò si sta tendendo ad una certa eguaglianza nella famiglia, nel senso che il 30% degli intervistati dichiara che i figli, in caso di qualunque tipo di bisogno, si rivolge – spesso in modo indifferenziato – nella stessa misura ad ambedue i genitori.
Infine, quale è stato il cambiamento che pare aver assunto il padre, in base a questa esperienza di “isolamento”, breve, ma intensa, “totale” per molti aspetti? A lockdown finito (almeno si spera) a volte pare che nulla sia cambiato, ma tutto semmai peggiorato, come recitano buona parte della stampa, parecchi maitre a penser, alcuni dati statistici, certe ricerche, ma avendo ben presente che tutto ciò, in verità, dovrà essere adeguatamente verificato nei tempi medio-lunghi, con adeguati strumenti di indagine.
Lasciamo perciò parlare i nostri padri intervistati, la metà dei quali ha affermato con sicurezza che è migliorata la loro conoscenza dei figli. La vita in comune per un periodo comunque lungo rispetto alla norma, ancorché molto faticosa e impegnativa, ha costituito un’abitudine alla quotidianità, un’opportunità nuova di osservazione degli altri nel vivere giorno per giorno, una necessità di condivisione, di confronto prima sconosciuta. Anche la affettività reciproca pare migliorata. La figura paterna, secondo molti intervistati, ne ha tratto vantaggio, ne è uscita valorizzata, ora i padri “vengono cercati”, perché si sono in famiglia finalmente accorti che “esiste il padre”; in tale senso, il padre “conta di più”.
Non sarebbe giusto tacere l’opinione di chi ha fornito risposte diverse, una quota minoritaria rispetto a quelli che hanno rilevato la positività dell’esperienza. Chi esprime critiche si riferisce alla fatica della convivenza “coatta”, alla “claustrofobia” emotiva e relazionale manifestata dai figli. Riguardo al rapporto con la coniuge, i limiti si riferiscono alla mancanza di momenti di autonomia, alla soppressione della intimità, alla tensione difficile da spegnere in alcuni momenti di stanchezzenerale per l’esperienza in corso.
L’apprezzamento per lo smart working viene espresso nella parte conclusiva dell’indagine da una parte considerevole di intervistati, pur non risparmiando alcune critiche (es. il rischio dell’isolamento sociale, i costi maggiori da sopportare a casa per tecnologie, energia elettrica, ecc.). La maggioranza si esprime per una forma di lavoro mista, parte in presenza, parte a casa in smart working, e fra i motivi di preferenza del lavoro a casa, oltre al tempo e ai costi di trasporto, sta anche la possibilità di dedicare maggio tempo ai figli.
Si apre una nuova era, inaspettata attraverso una esperienza scioccante, che condurrà ad un diverso ruolo dei padri in famiglia?
* Sociologo. ISP Bologna. E’ uno degli autori della ricerca “Paternità e smart working”.