di Gianluca Aresta*
La pandemia che tanto crudelmente e senza preavviso ha invaso il nostro Paese, paralizzato la nostra quotidianità, violentemente aggredito e intimamente cambiato (forse per sempre, forse “solo” per un prossimo lungo periodo) le nostre abitudini sociali e la nostra organizzazione di vita quotidiana, ha trascinato con sé una molteplicità di eterogenee problematiche che hanno impegnato i più attenti osservatori della realtà sociale e giuridica.
Particolarmente interessante (e, per certi versi, preoccupante) l’apparente conflitto fra diritti, originato dalla pretesa di una immediata e generalizzata applicazione, alle più diverse fattispecie, di norme e provvedimenti partoriti in quel contesto di ipertrofia normativa dell’emergenza, caratterizzata, a dire di qualcuno, anche da un eccesso di delega, così come dalla legittima esigenza di trovare, negli stessi provvedimenti del Governo, una risposta alle proprie domande di giustizia.
Conflitto, questo, che si è oltremodo (auto) alimentato con il rapido susseguirsi, accanto a provvedimenti emergenziali non sempre facilmente comprensibili, di pronunce giurisprudenziali di tenore assolutamente diverso fra loro, di dibattiti, anche di natura accademica, e di pareri, fra i più eterogenei, che di quei provvedimenti avrebbero dovuto essere l’ambita fonte chiarificatrice.
Fra le incolpevoli e inconsapevoli “vittime” di questa tanto inattesa, quanto imprevista e straordinaria deflagrazione sociale ci sono i protagonisti di quel delicato rapporto genitori-figli nel contesto della famiglia disgregata a seguito di una separazione personale dei coniugi.
Quando i genitori separati sono “legati” da una relazione conflittuale e da una comunicazione molto spesso interrotta, la quotidianità si complica in maniera inimmaginabile ed è quello che, purtroppo, è accaduto nel periodo dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo.
“Il problema più frequente nell’attuale contingenza epidemiologica, in cui il genitore collocatario ‘abusa’ dell’attuale normativa sul distanziamento, facendo ostruzionismo sul presupposto che il genitore non convivente col figlio, incontrandolo, potrebbe pregiudicare la sua salute e quindi gli vieta gli incontri, forte anche di pronunce giudiziali come quella del Tribunale di Bari” (Avv. Antonella Laganella, Giudice Onorario presso la Sezione Minori della Corte d’Appello di Campobasso, in “Coronavirus: il lockdown e le ripercussioni sui figli minori dei genitori separati”, in FIGLIOPADRE, appunti di viaggio di Cristiano Camera, 19/4/2020).
L’emergenza sanitaria ha originato, come detto, potenziali ed importanti conflitti (o, quanto meno, disequilibri nella coesistenza) fra diritti costituzionalmente garantiti e, per ovvia conseguenza, la forzata compressione di taluni diritti rispetto ad altri. In tale panorama non sono stati risparmiati, nel contesto delle famiglie separate, alla luce della primaria e generalizzata tutela del superiore diritto alla salute, i diritti dei figli minori, così come i diritti dei genitori non collocatari (è inutile negare che, in alta percentuale, si tratta di padri) a mantenere una frequentazione adeguata e regolare con i figli stessi.
All’alba di quella che è, ormai, comunemente definita la “Fase 2” del periodo di emergenza sanitaria che ha colpito il nostro Paese, sembra di particolare interesse attraversare l’impervio sentiero delle questioni che hanno riguardato la legittimità degli spostamenti dei genitori separati con figli minori, al fine appunto di garantire, anche nella stagione del Coronavirus, una frequentazione adeguata con entrambe le figure genitoriali.
I diversi provvedimenti normativi partoriti dal Governo nel momento della emergenza si sono prestati a molteplici difficoltà interpretative (o, forse, meglio, si sono prestati a diverse interpretazioni) originando, da un lato, un preoccupante acuirsi di situazioni conflittuali già esistenti, e, dall’altro, un proliferarsi di ricorsi ai Tribunali, costretti a pronunciarsi d’urgenza con provvedimenti inaudita altera parte.
È evidente come, in questo contesto, non potesse trascurarsi, oltre al rischio di strumentalizzazione dell’epidemia, l’impatto sull’equilibrio psicofisico dei figli minori, già esposti al sacrificio e allo stress contingente, privati del sostegno di entrambi i genitori in un momento così drammatico.
Infatti, per quanto l’emergenza sanitaria potesse essere invocata, in alcuni casi, per giustificare il mancato esercizio di visita da parte del genitore non collocatario, è altrettanto vero che la stessa non poteva (e non doveva) costituire un pretesto per impedire a quest’ultimo di vedere i figli e ciò, soprattutto, in assenza di un provvedimento giudiziale eventualmente modificativo di quello già in essere; pari rilievo è sembrato avere la tutela dei genitori stessi da possibili sanzioni, in un quadro normativo apparso da subito poco chiaro. Ma è stato realmente così?
Il D.P.C.M. del 9/3/2020 estendeva restrizioni, prima riguardanti le c.d. zone rosse, a tutto il territorio nazionale, limitando gli spostamenti consentiti solo a quelli per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, nonché motivi di salute. Già questo primo provvedimento originava il dubbio sulla legittimità degli spostamenti dei genitori separati per esercitare il diritto-dovere di visita o, meglio, per garantire un’adeguata frequentazione dei figli con entrambi i genitori.
Purtuttavia, tale legittimo dubbio veniva fugato dal primo chiarimento espresso dal Governo nelle FAQ del 10/3/2020, al punto 13, laddove si specificava che: «gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal Giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio».
Già questo primo chiarimento conferiva primaria ed assoluta rilevanza al contenuto del provvedimento giudiziale già reso in ordine alle modalità di frequentazione di figli minori da parte di entrambi i genitori separati, così come sottolineato dalla statuizione del Tribunale di Milano dell’11/3/2020 (Presidente F.F. Dott.ssa Gasparini P. – proc. n. 30544/2019 R.G.), secondo la quale “nessuna chiusura di ambiti regionali può giustificare violazioni, in questo senso, di provvedimenti di separazione o divorzio vigenti”.
Il Tribunale di Milano con la prima statuizione sul punto – proprio facendo riferimento al contenuto del punto 13 delle FAQ diramate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 10/3/2020 e, quindi, al fatto che “gli spostamenti per raggiungere i figli minori presso l’altro genitore o presso l’affidatario sono sempre consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal Giudice con i provvedimenti già resi di separazione e divorzio” – non sospendeva, nel caso sottoposto al suo vaglio, le visite genitori-figli, che sarebbero proseguite con le modalità previste dai provvedimenti di separazione e divorzio già resi.
Ovviamente le modalità di esercizio del diritto di visita avrebbero dovuto coniugarsi con le disposizioni generali ed essere interpretate, soprattutto, alla luce del buon senso: evitare gli spostamenti con mezzi pubblici, evitare di mettere in contatto i minori con situazioni potenzialmente a rischio, evitare il contatto tra i minori e i nonni o con altri soggetti maggiormente esposti al rischio di contrarre il Covid-19.
Ma quello che appariva scontato, anche con il conforto di questa prima statuizione del Tribunale di Milano, in realtà non lo era e di lì a poco si sarebbe scatenata una “confusione” giurisprudenziale che se, da un lato, impegnava i professionisti su tutto il territorio nazionale, dall’altro gettava nello sconforto gli attori di questo difficile copione.
Pur fermo, allora, il principio dettato dal Tribunale di Milano, restava, in ogni caso, la difficoltà di regolamentare e giustificare gli spostamenti in assenza di un provvedimento del Giudice, ad esempio per i genitori in attesa di udienza presidenziale o, diversamente, nel caso in cui l’accordo di separazione consensuale fosse ancora in fase di definizione o, ancora, per i figli nati da convivenze more uxorio.
Il susseguirsi degli interventi governativi di restrizione, tuttavia, sollevava nuovi e ulteriori problemi interpretativi, visto che il D.P.C.M. del 22/3/2020 vietava gli spostamenti da Comune a Comune, limitandoli ai soli motivi di lavoro, salute e assoluta urgenza, di fatto sopprimendo le “situazioni di necessità” e, quindi, seppur affidandosi ad una interpretazione restrittiva, i trasferimenti fuori dal Comune per prelevare o riportare i figli o anche per far loro visita presso il genitore collocatario dovevano considerarsi vietati.
Era evidente l’illegittimo ed ingiustificato paradosso giuridico determinato da una discriminazione tra i figli di genitori separati residenti nello stesso Comune e quelli di genitori residenti in Comuni diversi, magari distanti anche solo una manciata di chilometri.
Ancora una volta le FAQ diramate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 25/3/2020 chiarivano che: “Gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti anche da un Comune all’altro. Tali spostamenti dovranno in ogni caso avvenire scegliendo il tragitto più breve e nel rispetto di tutte le prescrizioni di tipo sanitario (persone in quarantena, positive, immunodepresse), nonché secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio o, in assenza di tali provvedimenti, secondo quanto concordato tra i genitori”.
Tutto chiaro allora? Sì, no, forse. Perché in realtà non è mai stata affermata chiaramente una sospensione in senso tecnico del diritto di visita, pur se, sorprendentemente, nella pratica poi si sono avvicendati una serie di provvedimenti che hanno, di fatto, espressamente sospeso il diritto di visita immolandolo sull’altare del diritto alla salute.
Infatti in un panorama di normazione dell’emergenza già poco limpido, proliferavano, su tutto il territorio nazionale, diversi provvedimenti giudiziali caratterizzati da una preoccupante disomogeneità, apparendo ispirati da principi tutt’altro che uniformi e certi.
Il Tribunale di Verona disciplinava, con Decreto del 10/3/2020 (G.R.: Dott. Bortolotti F. – n. 9689/2017 R.G.), la modalità di visita durante l’emergenza sanitaria COVID 19 tra genitori separati, residenti l’una (madre collocataria) in Veneto e l’altro (padre titolare del diritto di visita) in Emilia Romagna, ritenendo opportuno sospendere momentaneamente le visite tra le figlie minori e il padre, prevedendo la possibilità per quest’ultimo di sentire quotidianamente le figlie via skype, face time o altri sistemi audiovisivi nella disponibilità delle parti, nella fascia oraria fra le 20.00 e le 21.00, in modo da poter parlare liberamente con ciascuna delle figlie senza altrui interferenze (e qui comincia ad affacciarsi la previsione di videochiamate frequenti che, in uno stato di sospensione del diritto di visita, divengono il mezzo alternativo di tutela della bigenitorialità).
Sempre il Tribunale di Verona (G. est.: Dott. Marzocca), con la pronuncia del 27/3/2020, respingendo la richiesta di sospensione delle visite del genitore non collocatario, residente in Comune diverso, disponeva un collocamento alternato limitando, così, la frequenza degli spostamenti della minore che sarebbe rimasta alternativamente per quindici giorni presso ciascun genitore, onerando il padre di prelevare e riportare la figlia presso la madre, sprovvista di patente. Nei tempi di permanenza presso un genitore, l’altro avrebbe potuto contattare la figlia in videochiamata.
La pronuncia in questione metteva in luce come un’alternanza troppo frammentata non fosse compatibile con l’attuale situazione di emergenza, proponendo una soluzione pensata per minimizzare il rischio, trasformando un affidamento con genitore collocatario (in questo caso il padre) in un affidamento paritetico.
Il Tribunale di Napoli, con Decreto del 26/3/2020 (G. Est.: Dott. Imperiali) riteneva che, nell’attuale contesto di divieti alla circolazione imposti dalla normativa nazionale e regionale, la disciplina delle visite non potesse più prevedere gli spostamenti dei minori, né, di fatto, le frequentazioni presso il domicilio del genitore collocatario. Accogliendo, pertanto, l’istanza di sospensione avanzata dalla madre collocataria, il Tribunale partenopeo disponeva che la frequentazione genitori-figli fosse assicurata con colloqui da remoto mediante videochiamata.
In modo assolutamente perentorio, la Corte d’Appello di Bari – Sez. Minori e Famiglia, con Decreto del 26/3/2020 (G. Est.: Dott. Labellarte), pronunciandosi tra l’altro in un caso di genitori residenti in Comuni diversi, riteneva il diritto-dovere dei genitori e dei figli di incontrarsi recessivo rispetto alle limitazioni alla circolazione delle persone, emanate a tutela del diritto alla salute della comunità, considerando che lo spostamento del minore potrebbe comportare un rischio sanitario per coloro che troverà al rientro presso l’abitazione del genitore collocatario: su tali (discutibili) premesse, accoglieva la richiesta di sospensione avanzata dalla madre collocataria, disponendo la sospensione delle visite del padre, lasciando come unico strumento per l’incontro fra il padre e la figlia la videochiamata.
Di pari orientamento il Tribunale di Terni, che con la pronuncia del 30/3/2020, ha rafforzato tale concetto estendendolo anche alle c.d. “visite protette”, che i servizi sociali hanno sospeso fino al perdurare dell’emergenza sanitaria. Anche il Tribunale di Terni ha ritenuto di aver posto in essere un bilanciamento degli interessi di pari rango costituzionale, quello alla tutela della bigenitorialità e quello alla tutela della salute, individuando una modalità di frequentazione genitore-figli che, pur assicurando il costante contatto, non metta a rischio la salute psicofisica dei minori.
Meritevole di segnalazione resta anche la pronuncia del Tribunale di Busto Arsizio, che, con Decreto del 3/4/2020, ribadiva che il diritto di visita dei figli di genitori separati e divorziati non aveva, comunque, subìto restrizioni a seguito della normativa emergenziale per fronteggiare il Coronavirus e, come tale, non poteva subire limitazioni.
Nel caso di specie, il Tribunale, invitando il Servizio Tutela Minori a riferire sulla sospensione delle frequentazioni padre/figli, evidenziava come tale sospensione non potesse essere giustificata tout court dalle problematiche legate all’emergenza sanitaria.
Nel solco già tracciato dalle Corti del Sud Italia si colloca la pronuncia del Tribunale di Vasto del 2/4/2020, con cui il diritto di visita del padre non collocatario – considerato recessivo rispetto alle esigenze di sicurezza e all’esigenza di limitare la libera circolazione – veniva circoscritto all’uso di strumenti informatici. Per completezza espositiva, però, si deve considerare, così come evidenziato nello stesso provvedimento giudiziale, che, nel caso di specie, il padre non collocatario proveniva da Milano, zona ad alto rischio epidemiologico, per cui, la difficoltà di verificare in concreto il rischio per la salute della minore ha fatto propendere per una sospensione delle frequentazioni.
Con il provvedimento del 7/4/2020, il Tribunale di La Spezia (G.I.: Dott.ssa Sebastiani L. – proc. n. 1148/2019 R.G.), nel ribadire fermamente che “il diritto alla bigenitorialità è un diritto costituzionalmente protetto sia dal punto di vista dei genitori (ed in particolare del genitore non collocatario), sia dal punto di vista del minore, rispondendo ad un suo incomprimibile interesse il mantenimento di un rapporto equilibrato e regolare con il genitore non convivente (e ciò a maggior ragione in situazioni eccezionali – quali quella in atto – in cui deve essere maggiormente salvaguardata la serenità del minore, anche attraverso il mantenimento costante e regolare di ogni rapporto affettivo secondo le modalità ed abitudini già da questo conosciute e praticate)” e che “l’attuale normativa volta a contrastare la situazione sanitaria emergenziale in atto non incide sul diritto del minore di frequentare il genitore non convivente e sul correlato diritto di visita da parte di quest’ultimo”, disponeva che le parti si attenessero ai provvedimenti presidenziali…ripristinando immediatamente gli incontri tra padre e figlia…”.
Analoga considerazione si rinviene anche nel Decreto del Tribunale di Roma del 7/4/2020, per cui, adottando tutte le cautele previste dalla normativa, nonché le misure igieniche richieste dall’emergenza sanitaria, non appare opportuno sospendere la frequentazione fra padre e figlia, evidenziando oltremodo come Roma, città di residenza del padre, fosse da considerare zona meno a rischio del Trentino Alto Adige, dove la minore si trovava con la madre.
Le proroghe delle attuali restrizioni al 13 aprile 2020, poi successivamente al 3 maggio, hanno visto, contestualmente, un intervento, da molti auspicato, da parte del Governo. Nelle FAQ pubblicate sul sito istituzionale del Governo il 25/4/2020 si legge: «Gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti anche da un Comune all’altro. Tali spostamenti dovranno in ogni caso avvenire scegliendo il tragitto più breve e nel rispetto di tutte le prescrizioni di tipo sanitario (persone in quarantena, positive, immunodepresse), nonché secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio o, in assenza di tali provvedimenti, secondo quanto concordato tra i genitori».
Chiara, quindi, la legittimità degli spostamenti anche tra Comuni diversi, considerando anche equipollente al provvedimento del Giudice lo scambio di accordi tra genitori o tra i rispettivi legali.
In realtà, un primo segnale in tal senso era intuibile già con l’inserimento nell’ultimo modello di autodichiarazione, tra i vari motivi legittimanti gli spostamenti, degli “obblighi di affidamento di minori”.
Non può sottacersi che il diritto alla salute può considerarsi di pari rango rispetto ad altri diritti fondamentali, come quello alle relazioni familiari, tanto più in un momento che mette a dura prova anche l’equilibrio psicofisico dei figli minori. Ciò richiede probabilmente uno sforzo per superare precedenti automatismi nella regolazione del regime di frequentazione dei genitori, come dimostrano anche alcune delle recenti pronunce giurisprudenziali che si è cercato di “interpretare”.
Nel necessario bilanciamento di diritti resta in ogni caso centrale il principio del superiore interesse del minore: occorre trovare soluzioni fondate sul buon senso e sulla ragionevolezza, considerando le specificità del caso concreto, evitando di esporre i minori a situazioni potenzialmente di maggior rischio, così come contatti dei minori stessi con i nonni o con soggetti particolarmente vulnerabili, ma tutelando, al contempo, quel diritto alla bigenitorialità che prima di essere diritto dell’adulto è diritto del minore.
Il Tribunale di Bari, con ordinanza del 3 aprile scorso, fissando l’udienza per il giudizio di separazione dei coniugi, ha disposto l’affidamento condiviso dei figli minori con collocamento privilegiato presso la madre. Sottolineando però la particolare situazione emergenziale dovuta alla diffusione del Covid-19 e “pur nel difetto di formale istanza in tal senso” il Giudice ha sospeso gli incontri dei bambini con il padre fintanto che tale emergenza non sarà superata.
Nel provvedimento si legge che «nel bilanciamento tra due diritti di natura costituzionale, ovvero quello alla tutela delle relazioni familiari sub specie dell’esercizio del diritto di visita del padre, che risponde all’interesse primario della prole a conservare con lui significativi rapporti affettivi ma anche a quello speculare del padre a godere sia dell’affetto che della presenza dei suoi figli con sé (art. 29 e 30 Cost.), e quello a tutela della salute dei minori (art. 32 Cost.), almeno in questo peculiare momento storico deve ritenersi assolutamente prevalente il secondo».
In altre parole, dunque, il diritto paterno ad incontrare i figli viene considerato recessivo rispetto al primario interesse dei minori a non esporsi al rischio di contagio.
Il Decreto riconosce comunque al padre il diritto di tenersi in contatto con i bambini seppur a distanza mediante sistemi di comunicazione quali telefonate, videochiamate, contatti via skype o altri mezzi telematici anche più volte durante la giornata. La madre è chiamata a favorire tali contatti attraverso tutti gli strumenti tecnologici possibili.
In tal senso si è espresso, nell’ambito di un procedimento d’urgenza, anche il Tribunale di Cagliari con la pronuncia del 23/4/2020, statuendo – sulla scorta della considerazione che “…L’attività lavorativa svolta è tale da esporlo indubbiamente a situazioni di elevato rischio di contagio. Conseguentemente è necessario evitare potenziali situazioni di rischio per la salute dei minori e di tutti soggetti coinvolti nella vicenda” – la sospensione, su istanza dell’ex moglie, del diritto di visita di un medico ospedaliero nei confronti dei suoi figli minori, sino alla fine delle norme anti contagio decise dal governo nell’ambito dell’emergenza sanitaria da Covid-19, pur a dispetto del fatto che il reparto nel quale il medico padre non collocatario lavora non risulta essere in prima linea nell’emergenza. Per il Giudice il contatto tra padre e figli potrà essere “garantito” mediante quotidiane comunicazioni telefoniche e videochiamate.
Sul punto controverso si è espresso anche il Tribunale per i Minorenni di Roma, che ha avuto modo di rimarcare, in modo diametralmente opposto, come “Il padre separato ha diritto di vedere il figlio nonostante le restrizioni dovute al coronavirus”, statuendo il principio per cui “l’incontro padre-figlio costituisce misura attuativa del diritto del minore alla bigenitorialità, diritto che assume rilievo nell’ordinamento costituzionale interno e nell’ordinamento internazionale”.
Sulle montagne russe di questo percorso ad ostacoli che, strada facendo, ha seminato più dubbi che certezze, si inserisce la pronuncia resa dal Tribunale di Pescara in data 22/4/2020, con la quale i Giudici abruzzesi hanno riaffermato il principio secondo cui “alcuna chiusura di ambiti regionali può giustificare violazioni, …, di provvedimenti di separazione e divorzio vigenti”, sottolineando che “la prolungata sospensione di tali rapporti (ndr, padre-figlio) può compromettere la legittima aspirazione del minore di mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori e che, anche per la tenera età del minore (ndr, due anni) la relazione non può essere neppure mantenuta, in maniera virtuale, con l’utilizzo di supporti tecnologici”.
A differenza di altre statuizioni, il Tribunale di Pescara, ritenendo assolutamente possibile lo spostamento fra regioni diverse, nel momento in cui fa riferimento al permesso di rientrare presso la propria residenza o il domicilio e lo sfrutta per legittimare la possibilità di portare il figlio presso di sé, non fa altro che riconoscere che, in regime di affidamento condiviso, il figlio non ha una sola abitazione, quella del genitore “collocatario”, bensì due, ossia quelle di entrambi i genitori.
“Una conclusione che purtroppo gran parte del nostro sistema legale ancora non riesce ad accettare e fare sua”, come lucidamente sostenuto da Marino Maglietta, in “Genitori-figli: via libera alle visite cambiando regione”, su Studio Cataldi il Diritto Quotidiano, 29/4/2020.
La imbarazzante disomogeneità e difformità delle pronunce giurisdizionali rese dai Tribunali e dalle Corti del nostro Paese, da Nord a Sud, da Sud alle Isole, impone emotivamente un attimo di riflessione; lo impone all’uomo della strada che, magari, nell’ingrato ruolo di genitore non collocatario, gli effetti della poca chiarezza dei provvedimenti normativi dell’emergenza e di quelle pronunce ha subìto o patito; lo impone al professionista, che dal suo osservatorio privilegiato dovrebbe (o meglio, avrebbe dovuto, ove richiestogli dalla parte assistita) essere sempre in grado di offrire al Giudice, seppur in un momento di drammatica incertezza emergenziale – ed al di là di isteriche visioni di parte, egoisticamente legate al proprio ruolo professionale – una opportunità per comprendere una volta di più che “i genitori non dovrebbero reputare i figli come proprietà privata e comprendere che quello di intrattenere rapporti significativi con entrambi i genitori è innanzi tutto un diritto del proprio figlio e che le dinamiche oppositive degli adulti si riverberano innegabilmente sui minori, con effetti devastanti. … Il minore non è un caso giudiziario, ma una persona” (Avv. Antonella Laganella, Giudice Onorario presso la Sezione Minori della Corte d’Appello di Campobasso, in “Coronavirus: il lockdown e le ripercussioni sui figli minori dei genitori separati”, in FIGLIOPADRE, appunti di viaggio di Cristiano Camera, 19/4/2020).
Non possiamo sottacere che le limitazioni alla circolazione delle persone per la grave emergenza sanitaria, a tutela della salute personale e collettiva, in realtà non avrebbero potuto (e dovuto) incidere sulle disposizioni dei Tribunali riguardanti la frequentazione dei figli con il genitore non collocatario, così come sottolineato da taluni Tribunali, a garanzia di quel principio di rango costituzionale che è il diritto alla bigenitorialità, seppur nel rispetto delle misure di cautela richieste dalle singole fattispecie sottoposte a una tutela giudiziale.
È fuori di dubbio che la situazione cogente richieda la attenta e imparziale valutazione di ogni singola situazione familiare e della fondatezza della necessità di tutelare o meno i figli dal pericolo di contrarre il COVID 19, magari senza affidarsi a pericolose generalizzazioni che porterebbero (con il comodo ricorso a pronunce giurisprudenziali relative a situazioni familiari completamente diverse) ad un sacrificio del diritto alla frequentazione del figlio minore per il genitore non collocatario, in assenza di esigenze concrete, specifiche e, soprattutto, reali.
Si è parlato di un potenziale conflitto fra diritti di rango costituzionale (diritto alla salute e diritto alla bigenitorialità), ma, forse, sarebbe più corretto disquisire in ordine alla coesistenza, nel periodo di emergenza sanitaria del Paese, di diritti di pari rango costituzionale (ove, chiaramente, considerati tali) e al modus per disciplinare detta coesistenza, magari cercando, nel caso di specie, di garantire il diritto alla bigenitorialità del minore, pur senza sancirne formalmente la prevalenza sul diritto alla salute.
La espressa (e, forse, anche un po’ “violenta”) dichiarazione di recessività del diritto alla bigenitorialità rispetto al diritto alla salute adottata da talune Corti del territorio ha lasciato un po’ perplessi (con tutte le difficoltà umane ed emotive di chi ha dovuto “subire” questa impostazione, non difficili da immaginare nel periodo emergenziale che stiamo vivendo). Questo soprattutto in considerazione del fatto, sottolineato, come detto, da taluni Tribunali, che la nozione di “salute” del minore non può non comprendere anche quel profilo essenziale di benessere psico-fisico del minore che integra proprio quella legittima aspirazione dello stesso di mantenere, tanto più in un momento di profonda difficoltà e di profondi stravolgimenti nelle relazioni affettive e sociali, un rapporto stabile con entrambi i genitori, una pari frequentazione con entrambi i genitori, da intendersi come autentica e concreta partecipazione di tutte e due le figure genitoriali nel progetto di crescita, cura, educazione e assistenza del figlio, al fine di garantire allo stesso una sana crescita psico-fisica e una idonea maturazione affettivo-relazionale.
E, a tal proposito, non sono così convinto che gli incontri genitori-figli da remoto siano realmente idonei a preservare la continuità e la genuinità del rapporto fra genitore non collocatario e figlio, al fine di non ledere il diritto alla bigenitorialità intesa quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi. Così come deve prestarsi attenzione affinché questa “modalità alternativa” di rapporto genitore-figlio da misura strettamente emergenziale non diventi misura consuetudinaria e alternativa di un rapporto, quello genitore-figlio, che non può prescindere dal profilo umano ed emozionale, ancorché dall’incontro fisico.
Del resto, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 32 della Carta Costituzionale non può non evidenziare come ciascun individuo ha diritto alla salute, intesa non più ormai come assenza di malattie e/o infermità fisiche/psichiche, ma come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, così come modernamente definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Connesso alla tutela della salute è il miglioramento della qualità della vita, per cui si estende contro tutti gli elementi nocivi, ambientali o a causa di terzi, che possano ostacolarne il reale esercizio.
È pur vero che la nostra Costituzione prevede, per ragioni di salute, che siano possibili limitazioni di altri nostri diritti fondamentali. Limitazioni di una tale gravità che sarebbero, anzi che sono inammissibili in tutti i casi, salvo che per motivi di sanità e sicurezza. Se si considera un bilanciamento degli interessi coinvolti dal punto di vista costituzionale, ritorna alla mente la domanda da cui muove la nostra chiacchierata, ossia cosa necessita? Occorre far prevalere o bilanciare? Il diritto di visita, il diritto alla bigenitorialità? O il diritto alla salute? Il diritto alla salute di chi? Del minore o delle persone che partecipano alla vita dello stesso?
Da un punto di vista squisitamente giuridico, il diritto alla salute è diritto di rango costituzionale e il diritto di visita no, è stato obiettato da più parti, atteso che, secondo questa prospettazione, il diritto alla bigenitorialità troverebbe la sua consacrazione nelle Convenzioni, ratificate, nel nostro Paese, da una legge ordinaria, derivandone che le disposizioni della Convenzione avrebbero, nell’ordinamento italiano, la collocazione e la forza pari a quella della legge ordinaria.
“Da questa esperienza emergenziale è scaturita chiaramente una regola giuridico-costituzionale, ossia che il valore costituzionale (art. 32, co. 1 Cost.) ‘salute-ambiente’ prevale su ogni altro valore costituzionale. Pertanto, è più corretto parlare non di bilanciamento di interessi costituzionali, ma di prevalenza del diritto alla salute su tutti gli altri. E questo perché è naturalmente connesso con il diritto alla vita che è il bene supremo” (così, Avv. Valeria Cianciolo, “Le libertà costituzionali ai tempi del CoVid-19. Prevalenza del diritto alla salute o bilanciamento dei diritti?”, in Diritto 24, 2/4/2020).
La intima convinzione di chi scrive è proprio nel segno diverso da quella innanzi prospettata, ossia nel senso della necessità di un bilanciamento degli interessi e dei diritti costituzionali, seppur in un momento emergenziale come quello che stiamo vivendo, anche affermando la possibilità di continuare a vivere concretamente la bigenitorialità laddove non sussistano ragioni di insormontabile serietà. Quel diritto alla bigenitorialità (presupposto essenziale del diritto di visita) che in taluni casi è stato, senza appello, giudizialmente dichiarato “recessivo” rispetto al diritto alla salute trova tanto umile quanto incontestabile fondamento, ancor prima che nelle Convenzioni che certamente lo hanno ratificato come validamente richiamate dall’Avv. Cianciolo, nell’art. 30 della Carta Costituzionale, e, in quanto tale, avrebbe meritato, in taluni casi, diversa considerazione da parte degli Organi giudicanti, forse anche un po’ più di “rispetto”.
Sicuramente quello che è richiesto in questo momento di grave emergenza sanitaria che ha cambiato la socialità del nostro Paese è il ricorso al buon senso e a quel senso di responsabilità genitoriale quanto mai necessario per garantire, pur con modalità diverse, il rispetto del principio della bigenitorialità (così come espressamente sottolineato dal Tribunale di Brescia nell’Ordinanza del 31/3/2020, Giudice: Dott.ssa Canzi M. – proc. 16662/2017 R.G.).
Con l’ultimo DPCM del 26/4/2020 alcune ricorrenti problematiche potrebbero ritenersi in qualche modo superate, anche se rimangono molteplici motivi di riflessione e diverse questioni sul terreno della quotidianità che avrebbero meritato risposte più “convincenti”.
Mai, è vero, si sarebbe potuto pretendere dalla decretazione d’urgenza una normativizzazione di tutte le situazioni più diverse che si sarebbero potute verificare nella realtà, però sicuramente legittima rimane una forte richiesta di omogeneità normativa e giurisprudenziale che, sia consentito dirlo, non ha avuto adeguato ascolto in questa esperienza emergenziale.
Sono certo che se i genitori, da affidatari di pari livello dei propri figli quali sono effettivamente nella realtà, al di là di provvedimenti giudiziali o accordi consensuali, avessero dimostrato di saper adottare congiuntamente, dando prova di grande maturità, determinazioni che tenessero conto, al netto di inopportuni egoismi personali, dell’esclusivo interesse dei propri figli, da un lato non avrebbero servito ai Tribunali la possibilità di sbizzarrirsi con provvedimenti eterogenei e fuorvianti (mettendo ancora una volta in risalto profili di incoerente criticità del sistema) e, dall’altro, avrebbero dimostrato che, in una situazione di emergenza, si può (e si deve) essere genitori (seppur separati) “insieme”, nell’interesse esclusivo di un figlio, come ha sottolineato l’Avv. Laganella: “Adesso i genitori dovrebbero sforzarsi di elaborare insieme un calendario organizzativo ‘mitigato’ nei tempi e nelle modalità di permanenza del figlio, adattandolo con margini di elasticità e disponibilità reciproci” (in “Coronavirus: il lockdown e le ripercussioni sui figli minori dei genitori separati”, in FIGLIOPADRE appunti di viaggio di Cristiano Camera, 19/4/2020). Ma evidentemente così non è stato!
* Avvocato, ISP Bari