di Arnaldo Spallacci *
“Sebbene la maggior parte delle gente che compie violenza sia costituita da uomini, la maggior parte degli uomini è non violenta. La maggior parte degli uomini non stupra, non uccide e non picchia la gente. La differenziazione delle maschilità rappresenta qui un tema cruciale” (R. W. Connell, 2013).
“Ma a ben vedere non esiste nulla di meno ‘esilarante’ di una visione democratica della coppia, nulla di più lontano dalle attrazioni fatali… dalla totale anarchia degli amanti convinti che in nome dell’amore tutto è possibile” (E. Buchli, 2006)
Da alcuni anni a questa parte, nel discorso che riguarda legalità, violenza, giustizia e sanzioni con riferimento al maschile, è divenuta prassi operare una speciale distinzione, non comune nel sistema giuridico, che distingue fra atti illegali che un uomo come individuo compie verso qualsivoglia soggetto della società, e atti illegali segnatamente rivolti verso le donne, alcuni dei quali vengono ricondotti alla fattispecie definita “violenza di genere”.
La “violenza di genere”, che nella terminologia in uso a livello istituzionale non ricomprende la violenza agita da un soggetto di un genere (uomo o donna) contro un soggetto dell’altro genere (uomo o donna), ma solo quella agita dagli uomini contro le donne, è stata distinta, separata, “distillata” dal tema generale della violenza, intesa quest’ultima come “ ..uso sia della forza fisica sia di sevizie morali, minacce, ricatti, per recare danni ad altri nella persona o nei beni o diritti, o per obbligare altri ad agire o cedere contro la propria volontà” (Treccani, Enciclopedia on Line). Se un uomo è sessualmente aggredito o subisce in ogni caso qualche tipo di violenza da un altro uomo, o da una donna, tale atto non viene in senso stretto rubricato come “violenza di genere”. Lo stesso dicasi se la violenza avviene fra donne.
Quali connessioni esistono fra violenza (generale) e violenza (di genere)? Chi sono autori e vittime? Vanno esaminate e combattute separatamente? In queste pagine proponiamo una prima sintetica riflessione, e alcune proposte per aprire un confronto su un tema del quale molto si parla fra addetti ai lavori, ma di cui si conosce poco all’esterno al di là di ciò che appare nel sistema dei media.
Una questione maschile
Il discorso generale sulla criminalità, illegalità e violenza, si configura ancora oggi come un terreno di azione largamente maschile, seppure esistono aree dove anche comportamenti illegali e criminali femminili appaiono rilevanti, in crescita negli ultimi anni. E’ importante sottolineare – su questo non si soffermano gli studi scientifici, i media e le istituzioni – che nel contesto della criminalità gli uomini sono presenti ampiamente non solo come autori ma spesso ancor di più come vittime; ciò avviene per molti fra i reati principali: in Italia, nonostante il persistere del tragico fenomeno del “femminicidio”, gli uomini negli omicidi volontari rappresentano circa il 90% degli autori e ancora in media il 70% delle vittime.
La letteratura di genere, in particolare, stenta a riconoscere ciò; a partire dal discorso sulla “violenza di genere”, il passo verso l’estensione all’insieme degli uomini della figura del maschio violento, “insospettabile”,“normale” è stato breve, diventando il mainstream non solo di gruppi politici afferenti al femminismo e all’autocoscienza maschile, ma anche delle istituzioni pubbliche, in specie europee. In tale configurazione ideologica e politica, l’uomo è essenzialmente solo autore, mentre il ruolo di vittima, quantunque presente nell’esperienza storica, nella realtà sociale e testimoniato nei dati statistici assume una coloritura neutra, perde cioè i suoi connotati di genere.
Non tutti condividono questa opinione, se uno degli artefici più accreditati della corrente dei Men’s Studies, R. Connell, si spinge ad affermare la fondamentale verità secondo cui “La maggior parte degli uomini non stupra, non uccide e non picchia la gente” ponendo così in evidenza il tema della differenziazione delle maschilità (Connell, 2013, 13). Seppure i dati statistici mostrano il predominio della violenza maschile sulle donne, non è però assente il fenomeno della violenza (maschile e femminile) sugli uomini;“ Gli uomini e i ragazzi sono bersagli di violenza oltre che perpetratori” (Connell,2013, 13). La verità del doppio volto maschile nel discorso della criminalità riguarda anche l’Italia dove il “rischio vittimogeno” (ovvero la probabilità di restare vittima di reato) ammontava nel 2014 a 11,0 per gli uomini e a meno della metà, esattamente a 4,9, per le donne (Eures 2015, 5).
Fra le pareti di casa: l’incerta fisionomia dell’uomo violento
Nel discorso particolare della violenza di genere, in tempi recenti l’attenzione si è spostata dalla generale violenza maschile contro le donne, agita dall’uomo indistinto, alla specifica violenza famigliare o di relazione, riferita a quegli atti che avvengono ad opera di partner o ex partner, all’interno di un rapporto amoroso-sessuale. Nell’ambito degli studi di genere è diffusa l’opinione di ridurre a prassi ordinaria la violenza maschile, in quanto essa troverebbe “..la sua origine nella normalità delle relazioni di genere e sessuali” (Magaraggia, Cherubini, 2013b, 298), innestandosi sulla diseguaglianza strutturale fra uomini e donne, sulla gerarchia di valori fra maschile e femminile (idem, 298). In un diverso terreno si collocano le teorie del conflitto che riconoscono nell’interazione il punto focale – sotto il profilo sociologico e psicosociologico – dell’insorgere dei fenomeni conflittuali in famiglia; i comportamenti (compresi quelli devianti e illegali) nascono su terreni sociali: variabili come lo status, i valori di riferimento, il contesto socioeconomico contribuiscono a spiegare i fenomeni dell’aggressività (Callà, 2011, 30).
Il paradigma della violenza di genere, e il quadro relativo delle ricerche e delle politiche, è stato oggetto di critiche, specie perché al suo interno si prefigura una gamma vastissima di atti, del tutto diversi come gravità (dall’aver subito uno stupro all’aver ricevuto una critica per come ci si veste), e che comprende non solo quelli che comportino sofferenza, ma anche quelli che è probabile la comportino, compresa la minaccia di tali atti. L’estensione del concetto di violenza di genere (specie quella psicologica) se da un lato non contribuisce a chiarire il quadro del fenomeno sotto il profilo quantitativo e qualitativo (Pellizzari 2009, 34), dall’altro produce la moltiplicazione (nei fatti la tendenziale universalizzazione) dell’esercito dei colpevoli, nella fattispecie gli uomini. Altro punto controverso, la raffigurazione dell’uomo normale come autore prevalente (se non esclusivo) delle violenze sessuali; una rappresentazione che non trova conferma sul piano empirico nelle indagini statistiche (Istat 2008; Istat 2015; FRA 2014), nelle quali l’uomo violentatore non appare affatto normale, considerando che egli al di là della famiglia e del rapporto con la partner, manifesta comportamenti problematici ed aggressivi anche fuori casa, mentre i partner non violenti (dei quali le ricerche non si curano in generale di tracciare una fisionomia) hanno comportamenti trasgressivi del tutto minori rispetto ai primi.
Molte risorse, quali risultati?
Un altro dei temi discussi sta nella percezione della violenza, e nelle azioni conseguenti attuate dalle donne, così come risulta dalle indagini; una quota considerevole, pari al 44% (Istat 2015, 7) di coloro che hanno subito violenza fisica e sessuale non percepisce tali atti come reato, ed un quota pari ad un quinto (Cit., 7) li giudica semplicemente come “qualcosa che è accaduto” – possibili, normali eventi all’interno della vita di coppia; più eclatante il dato della mancata denuncia da parte delle donne degli atti di violenza fisica e sessuale (hanno denunciato solo il 12,3%, Id, 7); altro dato significativo: solo una quota minima, pari al 3,4% (Id, 7), si è rivolto ad un Centro o sportello antiviolenza. Il terreno del conflitto intrafamigliare rivela punti comuni fra vittime maschili e femminili: risulta dalle poche indagini sulla violenza subita dagli uomini che i comportamenti degli intervistati riguardo all’occultamento dell’episodio e alla mancata denuncia sono molto simili, spesso praticamente identici, a quelli delle donne.
Nonostante la rilevanza del problema della violenza di genere e le risorse investite poco si sa della efficacia reale degli interventi di contrasto. In base ai dati disponibili, si riscontrano miglioramenti in Italia fra il 2006 e il 2014, testimoniati dalla diminuzione di alcuni tipi di violenza, e da una maggiore consapevolezza delle donne che il fatto costituisca un reato (Istat, 2015). Al di là di questi generici e limitati riscontri, le informazioni in proposito confermano che le variazioni avvenute in otto anni sono state nel complesso lievi, considerando la portata delle campagne politiche e comunicative pubbliche, le risorse impiegate, l’attenzione istituzionale.
Valorizzare le differenti maschilità
La parabola della normalità ed insospettabilità dell’uomo violento, della generalità quanto meno potenziale dell’atteggiamento dispotico degli uomini, la rinuncia a compiere distinzioni per circoscrivere limiti chiari del fenomeno non è priva di conseguenze nella visione e nelle prospettive dell’intero genere maschile, che appare così come un indefinito insieme di soggetti che per natura o cultura (ogni differenziazione fra i due termini perde in questa prospettiva di senso) possono agire violenza in quanto portatori di una sessualità e di una psiche sostanzialmente malate, da cui discende la necessità “politica” di educare, e in molti casi di curare se non la totalità certamente la maggioranza degli uomini (Badinter 2004; Spallacci 2012). Una sorta di “eugenetica” (culturale) del maschile sembra apparire talvolta fra le righe di alcune riflessioni, come soluzione auspicabile e in fin dei conti razionale, paradossalmente l’unica appropriata dati certi presupposti.
E’ quindi necessario indicare percorsi alternativi, sul piano della ricerca e della riflessione teorica, e delle proposte culturali. Si devono in primo luogo mobilitare risorse ed energie intellettuali per indagini approfondite mirate alla definizione e individuazione dei profili maschili violenti (anche nell’ottica delle politiche di prevenzione), e per una discussione politica sulle differenti maschilità – come sottolineato da Connell – fra le quali si trovano anche quelle degli uomini non violenti. Sul piano della ricerca empirica, nel campo della “vittimizzazione” , è essenziale affiancare alle attuali indagini sulla violenza contro le donne, condotte secondo l’approccio “socio-politico femminista” (Creazzo e Bianchi, 2009, 23), anche indagini basate sul modello del “conflitto intrafamiliare” (Callà, 2011), che raccolgano le testimonianze di uomini e donne, perché l’analisi e le proposte per ridurre il fenomeno non possono prescindere dall’esperienza, dai punti di vista, dai vissuti soggettivi e dalle percezioni di tutte le parti in campo.
Democrazia dei sentimenti e cultura del rispetto
L’intervento terapeutico e il terreno delle ricerca devono avere carattere solo accessorio rispetto al nucleo centrale su cui agire, che è quello culturale e delle relazioni interpersonali. Il tempo attuale, indipendentemente dagli accenti pessimistici e tenebrosi, specie riferiti al maschile, apre vaste possibilità di rinnovamento nelle relazioni di genere, per la democratizzazione dei rapporti interpersonali, come prefigurato da Giddens: “Almeno nella cultura occidentale, quello presente è il primo periodo in cui i maschi scoprono di essere tali, cioè di possedere una mascolinità conflittuale” (Giddens, tr. It. 1995, 69). Il cambiamento del maschile, nonostante sia accompagnato da crisi ed incertezze, rappresenta un terreno fertile in questo senso, probabilmente per la prima volta nella storia; così come sul lato femminile il nuovo potere di massa delle donne (non più prerogativa di élite ristrette), ed il fatto che queste ultime richiedano “etica dell’amore”, complicità con il maschio e protezione nella sfera dei sentimenti (Giddens, 1995). La trasformazione di donne e uomini apparsa a partire dal 900 è il piano d’incontro che permette la costruzione egualitaria di una democrazia dei sentimenti.
Il fatto che da parte maschile e femminile gli atti di violenza nelle relazioni di intimità vengano non raramente sottovalutati, come dimostrato dalle indagini sul tema, testimonia che l’approccio dominante, ovvero la colpevolizzazione–responsabilizzazione a priori di un genere, quello maschile, non è sufficiente ad incidere nelle pieghe profonde del nostro patrimonio culturale e comportamentale. L’approccio istituzionale riconosce nella priorità della lotta contro la violenza alle donne anche il veicolo per un discorso di contrasto generale alla violenza: l’obiettivo è di disgregare la violenza (generale) attraverso la riduzione della violenza (parziale) di genere; la scissione fra violenza e violenza di genere, operata negli ultimi anni a livello politico, torna qui pienamente all’ordine del giorno.
Non si nega la necessità di interventi specifici contro la violenza alle donne, indirizzati specie ad uomini abusanti. Ma non è questa la (sola) via fondamentale del cambiamento, che deve invece riappropriarsi delle categorie generali ed astratte, necessariamente “neutre”, della civiltà moderna e della democrazia: le regole della convivenza civile, che transitano attraverso la cultura del rispetto, reciproco, di tutti e tutte verso tutti e tutte. Si deve insegnare il rispetto: “è riconoscimento della dignità propria e altrui, il comportamento fondato su questo riconoscimento” (N. Abbagnano; Dizionario di Filosofia, Utet). Kant lo considera il solo sentimento morale e non patologico; “Il sentimento del rispetto è prodotto soltanto della ragione”.
Dall’amore fatale all’amore civile
La violenza di genere viene frequentemente associata ad una forma deviata di amore, l’amore criminale, del quale si deve individuare l’origine lontana e profonda, ovvero il mito – diffusissimo fra uomini e donne – dell’amore fatale. La cultura del rispetto si fonde dialetticamente con l’idea di amore civile. E’ un tema centrale, solo apparentemente estraneo a quello che qui abbiamo trattato. L’amore civile è l’antidoto dell’amore fatale come relazione travolgente ed assoluta incapace di riconoscere l’autonomia dell’altro e dell’altra. Amore civile è convivenza, basata sui criteri della democrazia, del rispetto e del dialogo, è accoglienza delle diversità. Amore civile non è solo difesa “corporativa” di volta in volta delle singole “categorie”: omosessuali, donne, coppie di fatto, coppie sterili (Galli, 2009, 41-42; Buchli, 2006). E’ necessario un cambiamento di paradigma anche se non è “esaltante ”– per donne ed uomini – una visione democratica della coppia; nulla di più lontano dalle attrazioni fatali, dalla totale anarchia degli amanti convinti che in nome dell’amore tutto è possibile (Buchli, 2006): anche da qui nasce il frutto avvelenato della generazione-accettazione-sottovalutazione della violenza.
Se si deve andare oltre la guerra (fra i sessi), ed evitare che dopo la violenza si vada “a letto col nemico” (Zani, 2012), la sfida è l’insegnamento e la pratica del rispetto nella cornice dell’amore civile. In Italia vengono organizzati “Festival sulla Violenza”, con riferimento a quella di genere; la proposta è che al loro fianco si inizino a promuovere pubblici dibattiti (e in prospettiva si finanzino specifiche attività formative) sui temi del rispetto e dell’amore civile. Un “Festival del Rispetto” sarebbe una bella novità (ed una sfida). E’ utopia o possibile cammino nel futuro?
* Sociologo. ISP Bologna
Bibliografia
Abbagnano, N. (2001); Dizionario di Filosofia, Torino, Utet.
Badinter, E. (2004), La strada degli errori. Il pensiero femminista al bivio, Milano, Feltrinelli.
Buchli, E., (2006), Il mito dell’amore fatale, Milano, Baldini Castoldi Dalai.
Callà R.M.,(2011), Conflitto e violenza nella coppia, Milano, FrancoAngeli.
Connell, R. W. (2013), Uomini, maschilità e violenza di genere, in Magaraggia, S., Cherubini, D.(2013), Uomini contro le donne? Le radici della violenza maschile, Novara, De Agostini.
Creazzo, G, Bianchi, L. (2009), Uomini che maltrattano le donne, che fare? Roma, Carrocci
De Filippis,B. e Bilotta, F., (2009), Amore civile. Dal diritto della tradizione al diritto della ragione, Milano, Mimesis Edizioni.
Eures (2015), III Rapporto su caratteristiche, dinamiche e profili di rischio del femminicidio in Italia, EURES, Roma.
FRA, Violence against women; an EU wide survey; European Union Agency For Fundamental Rigts, (2014).
Galli, G., (2009), Il mito della famiglia naturale, la rivoluzione dell’amore civile, in De Filippis,B. e Bilotta, F., (2009), Amore civile. Dal diritto della tradizione al diritto della ragione, Milano, Mimesis Edizioni.
Giddens, A. (1995), La trasformazione dell’intimità. Sessualità, amore ed erotismo nelle società moderne, Bologna, Il Mulino
Istat, (2008), La violenza contro le donne, in”Informazioni”,n.7, Roma.
Istat (2015), La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia. Anno 2014. Roma.
Magaraggia, S., Cherubini, D.(2013)a, Uomini contro le donne? Le radici della violenza maschile, Novara, De Agostini.
Magaraggia, S., Cherubini, D.(2013)b, Maschilità e violenza: sviluppi nello studio e nel contrasto alla violenza di genere, in Magaraggia, S., Cherubini, D.(2013), Uomini contro le donne? Le radici della violenza maschile, Novara, De Agostini.
Pellizzari, E. (2009), La violenza femminile. Cos’è, come se ne parla, PSYCHOMEDIA Disagio familiare, Separazioni e Affido dei Minori; http://www.psychomedia.it
Spallacci, A., (2012), Maschi, Bologna, Il Mulino.
Zani, P. (2013), Storia dell’amore; Bologna, La Linea.