di Livia Cacialli*
Relazione: dal lat. relatio –onis, der. di referre «riferire» «ritorno». Corrispondenza o connessione che intercorre, in modo essenziale o accidentale tra due enti. L’obiettivo base della relazione è poter entrare in contatto con l’altro. Quando il termine relazione viene accostato alla parola carcere, la sua definizione subisce dei cambiamenti. Tra un padre detenuto e un figlio la relazione, questa connessione e questo arricchimento che permette la crescita e il contesto di crescita del bambino, viene a modificarsi. La relazione deve adattarsi alla struttura contenitiva del carcere trovando nuove modalità per potersi esprimere. La definizione del ruolo paterno, in assenza di un contatto continuo, quotidiano e affettivo con il figlio, fa si che essere padre in carcere incontra una serie di ostacoli, alcune volte insormontabili.
Questa lontananza forzata, questa realtà non capita fino in fondo, questo allontanamento che tende ad ingigantire la figura del padre, può creare una forte ostilità da parte del bambino nei confronti del genitore, e gestire l’ostilità verso il proprio padre non è mai cosi semplice. Vi sono ragioni per odiare il proprio padre e ragioni per temere di odiarlo: di fronte tale ambivalenza il bambino, in cui l’ostilità è troppo forte per poter essere elaborata, due sono le possibilità per il bambino: non volere più avere legami e relazioni con il proprio padre oppure attivare meccanismi di difesa come la trasformazione dell’affetto, l’odio diventa idealizzazione, il padre detenuto potrebbe divenire un mito da difendere. E’ proprio in questo senso che si deve leggere la necessità di mantenere viva la relazione affettiva tra il genitore detenuto e il figlio, affinchè i meccanismi di difesa di idealizzazione nei confronti sia del padre che del figlio non divengano la chiave di accesso per la lettura della relazione.
Il mantenimento della relazione tra un genitore detenuto e un figlio è un elemento di primaria importanza per varie ragioni: sia perchè dare continuità a quelli che sono i legami familiari permette una possibilità di recidiva del detenuto tre volte minore rispetto alla rottura di tali legami, sia perchè è necessario prevenire i rischi psichici e comportamentali sul bambino che le lunghe separazioni carcerarie possono creare.
La relazione affettiva è possibilità di mantenere la propria identità genitoriale, è un diritto che deve essere riconosciuto poichè se il padre detenuto si sente riconosciuto come portatore di diritti questo stimolerà in lui la possibilità di riconoscersi anche come portatore di doveri.
Le modalità di intervento per il mantenimento della relazione tra figlio e genitore detenuto sono molto varie a livello internazionale e mostrano modi differenti di affrontare i problemi in base alla concezione di cos’è un carcere e quel è l’obiettivo di quest’ultimo, in base alla cultura, le realtà sociali, le risorse, le possibilità economiche.
Ciò che evince e che crea un obiettivo comune tra tutte queste ricerche è da una parte il diritto del bambino a mantenere un rapporto con il genitore detenuto, affinchè la relazione possa evolvere e non rimanere ferma al momento dell’allontanamento del padre per divenire spazio di incontro e confronto; dall’altra l’obiettivo è il diritto e il dovere del genitore detenuto a mantenere il proprio ruolo di responsabilità genitoriale e di crescita del bambino.
E’ possibile fare una panoramica generale rispetto alle iniziative di sostegno alla relazione genitoriale ed osservare le differenze e le affinità tra le esperienze in America, in Europa e nello specifico in Italia.
In America varie sono le organizzazioni che si occupano di creare programmi di sostegno alla genitorilità in carcere: ad esempio The Center for Children of Inacrcerated Parents, California, che si occupa di ricerca e formulazione di progetti a sostegno della relazione genitore detenuto e figlio e in particolar modo per rompere il ciclo di criminalità organizzata; in Canada sono state istituite dal Commisioner of the correctional service of Canada delle Visite private Familiari (PFV) in cui si da la possibilità alla famiglia e al detenuto di passare 72 ore ogni due mesi in una piccola struttura con due letti, bagno e cucina sempre all’interno dell’istituto penitenziario. Un progetto molto interessante però è stato proposto dall’organizzazione no profit Hope House, con base a Washington D.C., che lavora con le famiglie di detenuti nella regione degli Stati Uniti orientali. Questa organizzazione ha come obiettivo il mantenimento della relazione tra genitori detenuti e figli ed opera in 13 istituti penitenziari. Le attività che propone sono: teleconferenze bisettimanali padre-figlio, registrazione di libri audio ogni due mesi in cui il genitore detenuto registra se stesso mentre legge una favola e questa registrazione viene inviata a casa, eventi sociali genitore bambino. Un progetto molto interessante è stato quello del “campo estivo” in cui per 5 giorni le aule colloquio delle carceri sono state trasformate in aule di arte dedicate ai genitori detenuti e ai figli. La sera i figli alloggiano in un campeggio vicino al carcere. L’ attività più importante che viene proposta è quella dei murales. L’obiettivo è mantenere vivo quel rapporto genitoriale fatto anche di esperienza e crescita, di vicinanza e gioco proponendo attività quotidiane e ludiche, di un tempo diverso e continuo. Necessario è lavorare sul rafforzamento e mantenimento del legame nel qui ed ora affinchè sia di supporto alla storia del detenuto e del figlio.
In Europa varie sono le associazione e i progetti di sostegno alla paternità detenuta. L’Eurochips è il comitato europeo per i bambini di genitori detenuti, è un associazione presente in 5 paesi europei (Francia, Gran Bretagna, Belgio, Italia, Olanda) che propone diverse attività di formazione, informazione e sostegno della relazione con il minore il carcere. In Europa vari sono gli esempi di progetti e attività per il mantenimento della relazione genitore figlio. Ad esempio in Danimarca il Department of Prison and Probation Service sostiene che tutti i detenuti debbano essere inseriti in istituti cosiddetti “open prison”, a custodia attenuata. Nel carcere di Jyderud si è adottato un “sistema aperto”, in cui largo spazio è stato dato alle visite familiari che possono essere svolte durante tutto l’arco del giorno anche nella stanza del detenuto, condividendo attività quotidiane come cucinare, mangiare, guardare la televisione e giocare con i figli anche in aree esterne accessibili. In Catalogna i detenuti hanno possibilità di avere degli incontri “vis a vis” con amici e familiari in una piccola struttura composta da alcune stanze, ognuna con porta di sicurezza, che riproducono un contesto maggiormente adeguato a mantenere e coltivare le relazioni. Tali incontri possono essere: vis a vis familiare, in cui in celle predisposte con tavolo, bagno e cucina si possono portare 4 familiari e una merenda da fare tutti insieme (durata 1 ora e mezza); vis a vis intima, un incontro con il proprio partner in celle simili a quella precedente (in cui al posto del tavolo viene predisposto un letto matrimoniale) con durata di un’ora e mezza una volta al mese; vis a vis convivenza, una giornata di 6 ore da passare con i bambini (al di sotto dei 10 anni).
L’Italia si è mossa molto per la creazione di progetti nuovi e diversi per il mantenimento della relazione. Nel 2016 nella Casa circondariale di Trieste è stato proposto da Auxilia il progetto
“Genitori detenuti: ti leggo una favola” che ha permesso, successivamente alla partecipazione del detenuto ad un laboratorio di lettura e public speaking, di registrare la lettura delle storie che sono stati successivamente pubblicati sul sito di auxilia e fruibili a tutti. Nel 2015 un progetto simile “Fiabe in libertà” è stato proposto e realizzato nella casa circondariale di Montacuto, provincia di Ancona, in cui alcuni detenuti padri hanno scritto un libro di favole di 80 pagine accompagnato da un DVD. Un progetto che permette di mantenere un filo sottile di legame con quella quotidianità che manca alla relazione, un rito, quello di raccontare le favole la sera, che si può ricreare e mantenere permettendo al bambino di sentire la presenza del genitore anche di fronte la sua assenza fisica.
Varie le carceri Italiane (tra cui le carceri di Milano, Monza, Roma, Bologna Reggio Emilia, Firenze, Massa Carrara, Prato, Pescara, Napoli e Palermo) che hanno predisposto delle sale ludoteca in alternativa alle sale colloquio. La ludoteca diviene uno spazio a misura di bambino, colorato e maggiormente accogliente e che ha l’obiettivo di ridurre l’impatto con la struttura penitenziaria.
Un altro progetto in favore del mantenimento e supporto della relazione genitore detenuto e figlio è stato il progetto Skype, anche questo attivo in più di 30 carceri italiane, che ha permesso al detenuto di creare maggiori scambi ed incontri con il figlio e la famiglia, oltre a quelli predisposti dal carcere. L’utilizzo di Skype sostiene una continuità del rapporto che facilita la relazione poichè crea un contatto visivo oltre che uditivo, come quello telefonico. La Casa Circondariale di Trieste e l’Istituto Comprensivo di Pavia di Udine, nel 2012, attraverso la realizzazione del progetto “Genitori detenuti e professori dei propri figli a colloquio attraverso Skype” hanno dato un segnale importante: è necessario mantenere viva la relazione genitore detenuto e figlio anche attraverso la partecipazione alla quotidianità del bambino da parte del padre.
Bambini senza sbarre, inserita dal 2001 nell’associazione europea Eurochips, propone da vari anni attività sia di accompagnamento del minore al colloquio con il genitore detenuto e sia gruppi di ascolto di padri detenuti e colloqui individuali di sostegno psicopedagogico per il genitore.
Da questa breve rassegna si osserva che sia ad un livello nazionale che internazionale ci si sta muovendo sempre più verso la reale attuazione di quella che la Costituzione definisce l’obiettivo primario del carcere: “La rieducazione del condannato”. Molto lavoro c’è ancora da fare ed è di primaria importanza prevedere una serie di interventi differenziati all’interno delle carceri (ad esempio dal sostegno psicologico del detenuto al sostegno della relazione genitore figlio, al sostegno della famiglia al di fuori del carcere). E’ necessario agire nel momento in cui il genitore fa l’entrata nel carcere per andare a prevenire o intervenire sui fattori di rischio che potrebbero essere dannosi per il figlio, il padre detenuto e la relazione. La detenzione non dovrebbe interrompere i legami affettivi con la famiglia ma creare le condizioni migliori affinchè il detenuto abbia la possibilità di recuperare e favorire il proprio ruolo genitoriale e affinchè il figlio non divenga vittima di un reato mai commesso.
* Psicologa clinica e Psicoterapeuta sistemico relazionale in formazione