di Maurizio Quilici *
In sei casi su dieci l’uccisione di un figlio è opera della madre. Lo si rileva da un servizio ANSA trasmesso il 14 giugno scorso – con la firma di Lorenzo Attianese – secondo il quale negli ultimi 20 anni sono stati commessi 480 figlicidi (termine entrato in uso in analogia con “femminicidio”) e in sei casi su dieci il delitto è stato opera della madre. L’argomento è orribile e spesso, purtroppo, trattando questo notiziario prevalentemente di paternità, abbiamo dato notizia di padri che avevano ucciso i loro bambini. Ma il servizio ANSA ha un suo (amaro) interesse perché certamente nell’immaginario comune si è portati a pensare il contrario, ossia che l’uccisione dei propri figli sia opera piuttosto del padre che della madre. Ovvio pensarlo, dato che l’uccisione da parte di chi ha tenuto in grembo per nove mesi e poi dato alla luce il proprio figlio appare più innaturale e mostruosa che non un delitto paterno. E invece si tratta, con ogni evidenza, di uno stereotipo che fa sentire il suo peso. Probabilmente alimentato anche dal diverso risalto che i media danno, di solito, a questi terribili episodi e alla reazione diffusa che ne consegue, per esempio sui social. Non sarà sfuggito a nessuno che se il responsabile di tale orrendo delitto è il padre, le reazioni diffuse sono di rabbia e condanna, accompagnate da insulti e maledizioni. Se il figlicidio è opera della madre prevalgono la pena per la piccolo vittima (e qualche volta per la madre), il dolore, la tristezza, talora la giustificazione.
Il servisio ANSA ricorda i delitti materni più eclatanti che hanno turbato il nostro Paese: da quello di Cogne, responsabile Annamaria Franzoni (la donna ha sempre negato l’infanticidio) a quello recente di Mascalucia, in provincia di Catania, dove Martina Patti, di 23 anni, ha ucciso con undici coltellate la figlia Elena, di cinque anni. Poche settimane dopo la trasmissione del servizio ANSA, un nuovo orrore, questa volta a San Giuliano Milanese: Alessia Pifferi lascia sola in casa per una settimana Diana, la figlioletta di 18 mesi, che muore di inedia e di stenti.
Nel servizio di Agenzia si ricordano anche alcuni casi efferati di padri assassini, primo fra tutti quel Tullio Brigida che nel 1994 uccise a Civitavecchia i tre figli di 13, otto e due anni per vendicarsi della moglie che lo aveva lasciato.
Lo stereotipo di genere (intendendo per “genere” “il risultato di un processo di costruzione sociale e culturale delle identità sessuali”; Spallaccci 2012, 17) è uno dei più diffusi e colpisce sia i maschi che le femmine. Così esso vuole che certe professioni siano meno adatte alle donne (e il crescente numero di iscritti ad Ingegneria e ad altre facoltà scientifiche lo smentisce), o che un uomo non sia in grado di gestire da solo una abitazione (e il mondo è pieno di maschi single che sanno gestirsi benissimo) o ancora che la violenza sia quasi esclusivamente maschile (ma il fenomeno del bullismo femminile è in forte crescita e la violenza della donna sull’uomo – non solo psicologica – è un fenomeno strisciante e sommerso ma tutt’altro che irrilevante). Purtroppo, lo stereotipo non è solo un difetto di prospettiva, una distorta visione personale, ma spesso si traduce in atteggiamenti e comportamenti, con evidenti danni concreti. Così, solo per fare due esempi in campi diversi, lo stereotipo del femminile con minori doti manageriali e direttive penalizza la donna sul lavoro e rende più arduo il suo cammino professionale; e il principio della maternal preference, corollario di una vecchio stereotipo duro a morire secondo il quale la donna è decisamente più idonea a occuparsi dei figli, specie se piccoli, è tuttora più o meno subdolamente osservato in molte aule di Tribunale.
Nel servizio dell’ANSA si cita un Rapporto del 2019 dell’Eures, una società di ricerche economiche e sociali, secondo il quale dal 2002 al 2019 erano stati commessi 473 figlicidi. Un dato che, purtroppo, deve essere continuamente aggiornato.
* Presidente I.S.P.