L’articolo di Silvana Bisogni Padri spirituali e padri biologici, pubblicato nel n. 2/2019 di Isp notizie, richiedeva, a nostro avviso, un seguito: la continuazione della riflessione attraverso l’opinione proprio di chi vive l’esperienza della paternità spirituale ponendosi domande. Su un tema così delicato non era facile trovare l’interlocutore adatto (c’era il rischio che i giudizi fossero scontati). Lo abbiamo chiesto a un religioso di cui conoscevamo l’apertura mentale e la disponibilità al confronto, per di più un sacerdote-educatore che quotidianamente opera con i giovani e con i loro problemi. Il suo contributo acquista un particolare valore e gliene siamo grati, scusandoci se, per motivi puramente grafici legati all’edizione on-line, abbiamo dovuto ridurre il testo delle note.
L’intervento di padre Antonio Consonni, di ampio respiro, sarà pubblicato in tre puntate consecutive.
di p. Antonio Consonni *
Tre cose sono per me così misteriose, che non le comprendo:
il percorso dell’aquila nell’aria,
il sentiero del serpente tra le rocce,
la rotta della nave in alto mare.
E ce n’è soprattutto una quarta
[ancora più misteriosa che non comprendo]:
la via dell’amore tra un uomo e una donna»
(dai Proverbi 30,18-19)
Quando Lei e Lui vengono per chiedermi di sposarsi il mio cuore gioisce per una nuova storia d’amore che comincia affondando le sue radici in Dio e librando il suo volo in cielo: a Lei e Lui scrivo una lettera in cui racconto alcune cose che ho imparato dell’amore e altre che ho raccolto da chi vive questa esperienza. Quella lettera porta sempre all’inizio il ‘proverbio’ (di rara bellezza!) che ho riportato anche all’inizio di questa mia riflessione. M’è venuto spontaneo pensare a quel ‘proverbio’ ragionando su «il cuore dei preti, l’amore, Gesù». In effetti ci sono cose misteriose, cioè piene di fascino e di magia, nell’aria-sulle rocce-nel mare, ma ce n’è una quarta che è la più misteriosa: «la via dell’amore tra un uomo e una donna». Io aggiungerei che ancora più misteriosa è: «la via dell’amore che Dio percorre per toccare il cuore di un uomo e/o di una donna». Con l’altro grosso mistero dell’innamoramento e dell’amore di un prete verso una donna, e la strada nuova che si apre.
Con lo stupore di avere ricevuto il dono, prezioso e fragilissimo, della fede, ma anche con la convinzione che la chiesa sul tema della sessualità in generale e degli affetti delle persone consacrate in particolare, debba aprire ancora di più la sua intelligenza e creatività, mi è venuto spontaneo pensare a quel ‘proverbio’ mentre leggevo l’interessante articolo «Padri spirituali e padri biologici» di Silvana Bisogni, sociologa dell’educazione[1]. Ella evidenzia come per un verso si sia affermata nella coscienza comune la figura positiva del ‘prete’ come «padre spirituale», percezione che continua a rimanere e a crescere anche a fronte, per l’altro verso, del dramma della pedofilia e delle altre perversioni affettive e sessuali ad opera di un esiguo numero di preti (e di suore). È terribile e doloroso che si verifichino abusi su bambini e sulla coscienza delle persone, ma per fortuna la Chiesa sta imparando a parlarne in modo più aperto e sincero[2].
L’articolo di Silvana Bisogni tematizza la questione degli affetti e della vita sessuale dei preti e presenta, in modo profondo, la situazione della paternità dei sacerdoti e dei consacrati. Nella sua analisi prospetta soluzioni in queste direzioni: ripensare radicalmente il rapporto Chiesa e sessualità; a fronte di un clero quantitativamente insufficiente per le esigenze delle chiese locali, costituire viri probati, cioè uomini di fede provata che, con famiglia e lavoro, si dedichino al servizio della parrocchia, proprio come accadeva nella Chiesa delle origini; assumere la responsabilità dei figli da parte di preti rimasti anonimi per uscire dall’ipocrisia di vita. A proposito di queste soluzioni possiamo anche osare augurarci che la Chiesa coinvolga in modo diverso i preti sposati, essendo il celibato non un dogma e non facendo parte della tradizione della Chiesa.
Queste considerazioni generali offrono spunto per condividere alcuni temi di fondo che possono illuminare la questione da una prospettiva più esperienziale e più cristologica, cioè legata alla figura di Gesù e della chiesa. Il nostro percorso pertanto partirà da alcune riflessioni sul «cuore dei preti» (1) riflessioni che collochiamo dentro la vita della Chiesa contemporanea, quale immagine di sé dovrebbe rivelare e verificare se ‘c’è ancora un nesso tra il destino delle nostre società e le vicende del cristianesimo per capire che futuro può avere una modernità che recida completamente il dialogo con la religione’ (Mauro Magatti) (2); per ritornare infine al fondamento, alle origini, cioè a «Gesù e l’amore» (3) che è sempre colui che -tra errori, ferite, drammi- ogni cristiano e ogni prete cerca di testimoniare[3].
I PRETI E IL LORO CUORE
Il mio cuore di prete. Credo necessario ribadirlo, anche se è una cosa scontata, forse banale: il prete ha un cuore[4]. Come le emozioni e gli affetti impregnano la vita di qualunque donna o uomo su questa terra, così la vita di un prete. Talvolta sembra di trovarsi come di fronte a un abisso, nel quale non ci si deve gettare in volo libero se non per misteriosa ispirazione. E per volare sull’abisso non esistono regole, ma soltanto la lealtà e la sincerità del cuore.
Nella mia esperienza di religioso – educatore e insegnante nella Scuola della nostra Congregazione che ha un carisma educativo ricevuto da una madre di famiglia – mi lascio portare dalla quotidiana creatività dell’esperienza con i figli affidati, le loro famiglie e gli insegnanti. C’è una fecondità, una generatività, una creatività nel celibato! E tuttavia so cosa significhi essere prete, e gestire affetti: la fisiologica attrazione per una donna, l’innamoramento, la passione. L’uomo che sta davanti a me, nel momento in cui è diventato ‘religioso’ ed è stato ordinato presbitero, si è impegnato di fronte a Dio di dedicarsi, letteralmente – anima e corpo – alla sua parola, alla dedizione agli altri, all’ascolto.
E ci sono fasi della vita in cui questo uomo chiede di essere ascoltato, di non essere lasciato solo in un momento in cui i sentimenti e le emozioni sembrano far vacillare le scelte e gli impegni un tempo solennemente assunti[5]. Lo stile di vita dei preti è davvero impegnativo e presuppone una profonda esperienza di fede, una comunità valida e forti personalità, ma soprattutto la vocazione a… non sposarsi. Forse non tutti gli uomini chiamati al sacerdozio possiedono questo… dono. Da noi la Chiesa dovrà escogitare modalità sempre più adeguate se si può vivere una vita celibataria, ma ancora più accompagnare l’affettività e la sessualità dei consacrati.
Il prete, alla fine, tra i cristiani, è colui che paga uno dei prezzi più alti della situazione un po’ dissociata fra eros e sesso, sentimenti e genitalità, creatività relazionale e una precettistica circostanziata e imbarazzante. Dal punto di vista psicologico il prete – almeno nella confessione cattolica romana – è il primo a sopportare i disagi, i turbamenti, le innaturalezze, le tensioni, le sofferenze, i paradossi di approcci alla vita e di modelli comportamentali in cui il porsi sulla difensiva sembra essere il modo prevalente – quando non unico – nel gestire le emozioni, il corpo, i contatti, i legami, le fantasie, i pensieri[6].
Mancano i preti e c’è il dramma degli abusi. Preti sposati, una soluzione? Uno dei problemi maggiori della chiesa di oggi, spesso sollevato con dolore e preoccupazione, è la carenza di preti! In diversi paesi per molti mesi non hanno possibilità di avere un prete per la celebrazione dell’eucarestia. In alcune comunità la Messa viene celebrata una volta all’anno, col rischio che neppure quella volta sia più possibile in un futuro non troppo lontano. I vescovi avanzano diverse proposte, tra le quali quella che, in modo generico e un po’ fuorviante, molta della nostra gente chiama dei “preti sposati”.
Innanzitutto, per “preti sposati” non si intende che vi sia allo studio la possibilità che un sacerdote possa contrarre matrimonio: almeno per ora, questa non rientra tra le ipotesi teologiche in gioco, anche perché il problema non si colloca qui! La questione riguarda invece la possibilità che un uomo sposato possa accedere agli ordini sacri, garantendo così la celebrazione dei sacramenti per i fedeli delle comunità cristiane, i “viri probati”[7].
È necessario ricordare che questo è quanto già accade per la Chiesa Cattolica di rito orientale, dove normalmente possono accedere al ministero ordinato uomini sposati: si tratterebbe dunque di estendere quella scelta anche alla Chiesa di rito latino, soprattutto per quelle zone dove la scarsità di clero sta divenendo drammatica (anche alcune zone dell’Europa sono in difficoltà su questo).
[1] Istituto Studi sulla Paternità 29/08/2019
[2] È stata istituita la Pontificia Commissione sulla tutela dei minori con la Lettera Apostolica in forma di «Motu proprio» del Sommo Pontefice Francesco “Vos estis lux mundi” (7 maggio 2019).
[3] cf CARLO MARIA MARTINI – GEORG SPORSCHILL, Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede, Mondadori, Milano 2008
[4] cf MARCO GARZONIO (ed.), Il cuore dei preti. L’educazione sentimentale ed affettiva dei sacerdoti, Prefazione C. M. Martini, San Paolo, Torino 2010. I contributi di questo libro si interrogano sulla vita affettiva del prete, celibe per il Regno.
[5] FULVIO SCAPARRO, “Chi dice donna dice danno?”, pagine 49-57, in MARCO GARZONIO (ed.), Il cuore dei preti. L’educazione sentimentale ed affettiva dei sacerdoti, San Paolo, Torino 2010.
«Ho letto da qualche parte che la visione laica mal sopporta la “diversità” del prete e non tiene conto del fatto che «il celibato sacerdotale è una continua pro-vocazione, un continuo ricordare che dietro quell’uomo, apparentemente solo, c’è qualcun Altro!». E, poco cristianamente, quella stessa fonte aggiunge: «È dura per uno schiavo [l’uomo laico] vedere un uomo libero [il sacerdote]». Ma nella mia stanza non si confrontano uno schiavo (io) e un uomo libero (lui). Per me e per lui vale forse quello che diceva Albert Schweitzer: «La coscienza tranquilla è un’invenzione del diavolo». Né io né lui siamo liberi, ma aneliamo alla libertà; né io né lui siamo schiavi, ma abbiamo orrore della schiavitù. Si può lottare e morire per la libertà ma non mi risulta che qualcuno abbia messo a repentaglio la propria vita per essere schiavo. Ed essere liberi o schiavi non è questione di matrimonio o celibato e forse nemmeno di essere credenti o non credenti». Scaparro, p. 50.
[6] Ma la realtà è complessa «attiene ai perché dell’opzione iniziale e la gestione successiva della scelta. Un buon scandaglio interiore dovrebbe far capire se un giovane ha deciso di farsi prete perché si è identificato con quelle paure, è fuggito e ha trovato nell’obbligo del celibato una corrispondenza al viver quieto. E un buon aiuto a un sacerdote che avesse all’origine tale motivazione ‘di comodo’ dovrebbe suggerire che la rimozione rappresenta uno stato provvisorio e di sostanziale instabilità della psiche. Può durare anche a lungo, ma il rimosso torna sempre, magari sotto forme diverse, impensabili e imprevedibili, spesso difficili da riconoscere e da ricondurre allo spunto originario.
I contenuti non elaborati sono come nuclei in-digeriti, veri pesi sullo stomaco che ci rendono intrattabili o ipocondriaci e che possiamo espellere con dolore, ma che qualche volta producono o vissuti nevrotici o comportamenti devianti.
I primi – cioè i vissuti nevrotici – nelle persone di tendenza introversa, predisposte alla timidezza e al ritiro, vanno dall’infelicità agli atteggiamenti di conformismo, ritualità ossessiva, riserva mentale o diffidenza nei rapporti interpersonali e, nello specifico, con donne. Oppure, nei più estroversi, conducono a modalità superficiali, immature, da eterni ragazzi affetti da cameratismo.
I secondi – cioè i comportamenti devianti – possono giungere a gravi patologie e a perversioni. Si pensi agli odiosi fenomeni di pedofilia o anche ad agiti di ordine sessuale, di cui capita che esponenti ecclesiastici vengono accusati e su cui i media speculano, come spinti da un moto collettivo inconscio.
L’AGGANCIO SCATENANTE? La rivalsa dell’opinione pubblica corrente contro certe modalità della Chiesa, nella quale prese di posizioni e giudizi pur autorevoli danno l’impressione di confondere l’annuncio evangelico di liberazione e di salvezza con un prontuario di morale sessuale […].
Condizione opposta all’identificazione con le paure -attrazione/repulsione verso il grembo della donna /// repulsione al tabù delle mestruazioni – del ciclo femminile /// celibato come corazza alla paura della donna- è fare i conti con l’universo degli impulsi, dal più immediato riferito al soddisfacimento sessuale, sino a quello coniugale e procreativo, nel riconoscere e accettare quelle energie e pensare, se si resta celibi, a come trasformarle, secondo il riferimento all’ “energetica psichica” GARZONIO, 95.
[7] Nel recente Sinodo dell’Amazzonia la proposta dei viri probati è passata, ma per pochissimo, ed è stata quella su cui si sono soffermati tutti i media trascurando il complessivo messaggio sociale e politico del Sinodo. Il quorum necessario per l’approvazione era quello dei due terzi del Sinodo, cioè 124 voti. La proposta è stata approvata con 128 voti e 41 contrari. Ciò significa che non avrà vita facile se i vescovi che l’hanno proposta non si impegneranno a fondo. Essa prevede che il vir probatus debba seguire un corso di formazione, debba prima essere ordinato diacono e che sia espressione della comunità in cui vive; per fortuna non è previsto che sia anziano. Inoltre, naturalmente, deve essere l’ “autorità competente” a dare il nulla osta. A logica questo benestare dovrebbe essere del vescovo (appunto “autorità competente”) ma l’espressione ambigua potrebbe essere usata dalla Curia, fortemente ostile, per cercare di frenare, dopo che avrà cercato di premere per un no di papa Francesco, che però, allo stato attuale delle cose, è ben difficile che non dia il via libera.
* Religioso, educatore della Congregazione della Sacra Famiglia. Martinengo (Bergamo)