di Gianluca Biggio *
Tutti i temi connessi con il lavoro riguardano direttamente o indirettamente l’identità lavorativa. E’stato così da sempre: quando siamo in un gruppo di persone nuove, spesso ci qualifichiamo per quello che facciamo: “Mi chiamo Giulio e sono avvocato, piacere io sono Paolo e sono medico pediatra…” e così via… Inoltre, alcune qualificazioni ci offrono uno status maggiore di altre; una volta (e in parte tuttora) esistevano le professioni nobili e i mestieri umili…oggi la società del profitto ha un po’ scombussolato questo ordine novecentesco: può esserci il nobile medico di base che salva le vite dalle distrazioni degli ospedali ma mestieri a bassa istruzione ed alto reddito come artigiani tuttofare con suv costosissimi… Chi ha più prestigio? Chissà! Ma in ogni caso il lavoro rimane un fattore identitario di primaria importanza.
Se ci concentriamo sul lavoro organizzato in azienda, però, notiamo la sofferenza individuale generata da un sistema che si sta sempre più rivelando iper-performante e richiedente tanto senza offrire in cambio quella attenzione alle motivazioni individuali tipica dei decenni passati. In questa condizione il benessere organizzativo tende drasticamente a diminuire, mentre aumenta l’aggressività del mobbing e il disagio del burn-out.
Con il lavoro precario e instabile l’incertezza potrebbe spostarsi all’interno dei nuclei familiari nei rapporti padri-figli o paradossalmente migliorare queste relazioni concedendo maggior tempo di convivenza familiare. Sappiamo che il maggiore disorientamento infantile nasce proprio dalla scarsità di contatto con le figure familiari e, dalla adolescenza in poi, dalla assenza del padre quale rappresentante, secondo la psicoanalisi, del principio di realtà e della norma-legge che aiuta l’adolescente ad appropriarsi della responsabilità di vivere e quindi della propria identità più intima.
L’incertezza e i bisogni individuali
Le organizzazioni sono sempre più orientate a vedere la persona soprattutto come high performer; si tende a trattare le persone come se fossero appartenenti al cerchio più intimo della struttura, senza però attivare le leve più ovvie per ottenere partecipazione ovvero quelle dell’identificazione e dell’appartenenza, dato che il mito dell’incertezza del mercato si dice che non lo permetterebbe. Chiedere identificazione offrendo incertezza appare piuttosto problematico oltre che incongruo, e genera stress.
Venendo ai bisogni individuali in relazione alla dimensione lavorativa, credo che si debbano incrociare due considerazioni di fondo su quella che possiamo definire la realtà psichica del lavoro. Una considerazione parte proprio dall’affermazione di Freud (1921) che l’uomo normale deve avere due fondamentali capacità: quella di amare e quella di lavorare. La capacità di lavorare è, secondo la psicologia dinamica, un processo interiore attraverso il quale eventi esterni vengono tradotti in affetti individuali che debbono avere un significato accettabile per di chi lavora. Ci si può allora domandare come le organizzazioni possano aiutare le persone a dare un senso accettabile — se non positivo — alla dimensione dominante dell’incertezza. Da questo punto di vista le organizzazioni sembrano avere uno sguardo prevalentemente rivolto all’immediato; le pressioni contrattuali ed economiche spingono sicuramente le persone ad accettare le condizioni d’incertezza quotidiane, ma quando si vuole chiedere alle risorse umane di identificarsi con la propria azienda promuovendone la cultura ci troviamo di fronte a un paradosso. I contributi di origine psicoanalitica e socioanalitica fornitici da Jaques (1955), da Bion (1955), Bleger et al. (1966) ci invitano a considerare l’importanza — per il nostro equilibrio psicologico — di appartenere a un gruppo e a una organizzazione “sani”. Non è un caso che uno dei concetti conclusivi dell’approccio socioanalitico di questi autori sia stato proprio quello della definizione di una organizzazione sufficientemente sana, ovvero l’idea che un ragionevole equilibrio di comportamento possa essere trovato solo se il gruppo in cui siamo inseriti abbia dei requisiti minimi di sanità nel suo comportamento organizzativo.
La tematica dell’incertezza fu anticipata cinquanta anni fa da vari socioanalisti, Oggi però si lavora in contesti più competitivi e sempre meno stabili; per le organizzazioni la tematica del produrre nell’incertezza è divenuta cruciale. Per la psicologia del lavoro, le modificazioni dell’ambiente socioeconomico spesso sintetizzate sono con la parola “globalizzazione” (Appadurai, 1996). Attualmente le aziende tendono a motivare una ristretta fascia “pregiata” di persone e a caricare di richieste i rimanenti, facendo leva sulla possibile perdita della sicurezza del lavoro, ovvero sulla paura.
Nuove problematiche di gestione e sociali per i padri
La tematica dell’incertezza in mancanza della capacità di dare senso — nell’accezione di Weick (1995) — al contratto organizzativo può sconfinare nella tematica dell’ambiguità sia organizzativa che individuale. Oggi prevale una sorta di groviglio caotico di gusti, come è stato definito da Morin (1977). Il sociologo Bauman (2003) nella Intervista sull’identità mette a fuoco alcuni concetti utili a comprendere la tematica dell’incertezza dal punto di vista della soggettività individuale. L’incertezza e la molteplicità di stimoli producono una sorta di volatilità situazionalista nell’identità delle persone.
Ci si può però domandare se invece non sia possibile concepire nuovi strumenti attraverso i quali si offre sicurezza alle persone. In questo senso è interessante notare la costante attenzione che nel corso degli ultimi anni hanno avuto le formule di gestione basate sul supporto individuale diretto a gruppi focalizzati dentro le organizzazioni. Le tematiche dello empowerment e più recentemente del coaching o del counselling organizzativo (Biggio 2007) vanno in questa direzione.
La fine del boom economico occidentale e del mito della new economy tende spesso a far prevalere la logica dei costi contrapposta a quella del consenso; le aziende utilizzano la forza di pressione dell’incertezza economica per motivare gli individui alla flessibilità unilaterale della difesa produttiva.
Il mito dell’incertezza sembra essere utilizzato per decentrare versi i singoli lo stress delle operazioni di outsourcing avvenuto negli ultimi anni. Alcuni temi che sono divenuti cruciali e che producono disagio sotto forma di:
- a) Il fenomeno del mobbing.
b) Lo stress e il burn–out.
c) Il benessere organizzativo.
d) Le forme di supporto individuale. - e) La ricerca organizzativa.
Poche aziende lungimiranti cercano di compensare questo deterioramento del clima con il coaching di gruppo e il counselling organizzativo e la Formazione. Ma le persone sembrano rifugiarsi sempre più nel privato familiare (le ricerche dimostrano che dopo lo smart working forzato del covid la gran parte degli impiegati non voleva più rientrare in ufficio). Perché? Ci domandiamo.
Come dicevamo prima, i padri potrebbero trovarsi ad avere un maggiore contatto con la famiglia e i figli e questo rappresenterebbe un fenomeno positivo. D’altro canto la perdita di status del lavoro impiegatizio organizzato non giova alla autorevolezza del Padre come figura di autorità.
Forse è arrivato il momento di ridare alla cultura e alla affettività delle relazioni il ruolo più importante per la emancipazione di padri e figli, come ci dice saggiamente (controcorrente con le mode attuali) la psicoanalisi da decenni.
- Docente di Psicologia delle organizzazioni e della comunicazione all’Università della Tuscia e psicoterapeuta psicoanalitico.
Riferimenti bibliografici
-Appadurari A. (1996), Modernità in polvere. Dimensioni culturali della globalizzazione, trad. it.,
Roma, Meltemi, 2001.
-Bauman, Z. (2003), Intervista sull’identità, trad. it., Roma–Bari, Laterza 2003.
-Biggio, G. (2007), Il counselling organizzativo, Milano, Raffaello Cortina.
-Bion W. (1955), Esperienze nei gruppi e altri saggi, trad. it., Roma, Armando Editore, 1972.
ùBleger J., Cvik N., Grunfeld B.(1966 ), Perversioni, in Psicoigiene e psicologia istituzionale, trad. it., Loreto, Libreria Editrice Lauretana, 1989.
-Freud S. (1921), Psicologia delle masse e analisi dell’Io, OSF, 9.
-Jaques, E. (1955), Sistemi sociali come difesa contro l’ansia persecutoria e depres- siva.
Contributo allo studio psicoanalitico dei processi sociali, in Klein M., Money–Kyrle R. (a cura di),
Nuove vie della psicoanalisi, Milano, Il Saggiatore, 1966.
-Morin E. (1977), Il metodo, ordine disordine organizzazione, trad. it., Milano, Feltrinelli, 1988.
-Weick K.E. (1995), Senso e significato nell’organizzazione, Milano, Raffaello Cortina, 1997.