di Anna Oliverio Ferraris *
Nello scorso numero di ISP notizie, nella Rubrica “Diritto… e rovescio”, abbiamo parlato di una questione nota a molti padri separati: quella del pernottamento del figlio minore nell’abitazione paterna. Lo abbiamo fatto da un punto di vista giuridico, ma il problema ha anche profondi risvolti di carattere psicologico. Per questo abbiamo voluto chiedere un’opinione alla Professoressa Anna Oliverio Ferraris, già professore ordinario di Psicologia dello sviluppo all’Università “La Sapienza” di Roma e autrice di numerosi saggi. Tra questi – di Anna Oliverio Ferraris, Paolo Sarti e Antonella Conti – Sarò padre (Giunti Editore, Firenze).
Un quesito che avvocati e magistrati si pongono spesso a proposito di bambini piccoli è se sia possibile il pernotto dal padre separato o divorziato o se sia meglio che essi continuino a pernottare soltanto con la madre fino all’età scolare. Per risponde a questo quesito serve partire da una riflessione sulla bigenitorialità nell’ottica dei figli.
Gli studi internazionali svolti su ampi campioni hanno dimostrato che la soluzione migliore per i figli, tranne casi particolari, è quella di poter portare avanti un rapporto continuativo e soddisfacente con entrambi i genitori separati, a partire dai primi anni di vita, realizzando così, dal punto di vista dei genitori, la cosiddetta bigenitorialità. Uno di questi studi, pubblicato nel 2012 su Children & Society condotto su 184.496 minori di 36 stati occidentali (Italia compresa), ha dimostrato che i bambini che vivono in sistemazione di Affido Materialmente Condiviso (con divisione approssimativamente paritaria dei tempi) riportano un più elevato livello di soddisfazione di vita (sono anche meno soggetti a nevrosi, insicurezze, consumo di droghe) rispetto ad ogni altra sistemazione di famiglia separata, solo 0,26 punti più basso della famiglie unite.
D’altro canto nella famiglia contemporanea il rapporto tra i coniugi/genitori è sempre meno complementare (con ruoli diversi all’interno della famiglia) e sempre più paritario (con ruoli intercambiabili e non più legati alle differenze di genere) come ampiamente testimoniato dai congedi parentali per i neo padri che in molti paesi europei possono durare varie settimane o anche mesi, allo scopo, appunto, di coinvolgerli nella vita dei figli fin dai primi giorni di vita.
In un altro studio che fa riferimento a indagini e osservazioni di numerosi pediatri e psicologi, pubblicato nel 2014 (Warshak R., Social science and parenting plans for young children: A consensus report. Psychology, Public Policy, and Law, 20(1), 46-67) si sostiene non solo che in condizioni normali l’alternanza dei pernottamenti di un bambino di età inferiore a 4 anni nelle abitazioni dell’uno e dell’altro genitore non creano disagi al minore, ma che sono auspicabili al fine di favorire la formazione di un legame di attaccamento e di fiducia del bambino nei confronti di entrambi i genitori fin dai primi mesi di vita. La formazione del legame di attaccamento, come noto, è un processo reciproco (figlio/genitore e genitore/figlio) che si forma nei primi 3-4 anni di vita.
Lo studio di Richard Warshak presta particolare attenzione alla figura del padre che, se tenuto ai margini della relazione e impedito a svolgere il suo ruolo, può essere indotto ad allontanarsi progressivamente dal figlio (e viceversa) oppure, in alternativa, assuefarsi alla condizione di padre ludico o padre della domenica: una condizione debole anche agli occhi dei figli, i quali invece hanno bisogno per la loro sicurezza, formazione identitaria e sviluppo di una personalità equilibrata di sentire che entrambi i genitori sono delle figure protettive “forti” e capaci di guidarli in un mondo complesso come quello in cui si trovano a vivere.
L’affido paritetico è stato oggetto di discussione anche in altri contesti. La Risoluzione del Consiglio d’Europa n.2079 del 2015, sottoscritta anche dall’Italia, dal titolo Equality and shared parental responsibility: The role of father invita all’adozione da parte degli Stati membri di misure in grado di assicurare una responsabilità genitoriale condivisa e una parità dei ruoli tra padri e madri anche nei procedimenti di separazione personale, evidenziando la gravità degli effetti derivanti dall’allontanamento di una figura genitoriale, tanto da suggerire la shared residence, ossia quella forma di affidamento in cui i figli della coppia separata trascorrano tempi più o meno uguali tra il padre e la madre.
Del resto, molta letteratura scientifica condivide attualmente il principio secondo cui entrambi i genitori necessitano di molto tempo trascorso con i propri figli per creare delle relazioni durature e consolidate; mentre è difficoltoso e non sempre possibile il recupero di rapporti compromessi dovuti alle assenze o allo scarso tempo trascorso insieme. Peraltro, laddove esigenze lavorative o di altro genere determinino distanze importanti tra le abitazioni, occorre ricordare che non viene meno il diritto del minore alla bigenitorialità. Questa è favorita dal fattore temporale ma anche da quello spaziale, ossia dal poter considerare come “la mia casa” sia la residenza materna che quella paterna. Si tratta, dunque, di trovare, caso per caso, soluzioni adeguate ed opportune che tutelino comunque il minore, nella consapevolezza che la tutela dei diritti e le migliori garanzie per una sana crescita psicofisica devono essere la bussola che orienta i genitori nelle statuazioni da assumere.
* Già professore ordinario di Psicologia dello sviluppo all’Università La Sapienza di Roma
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