di Gianluca Aresta *
L’ascolto del minore nel processo è un tema particolarmente delicato che recenti pronunce della Suprema Corte di Cassazione hanno, ancora una volta, sottoposto alla attenzione del giurista e del lettore interessato e che merita una attenta disamina per comprenderne i profili più marcati e le problematiche più interessanti allo stesso sottese.
L’attuale referente normativo da cui si deve muovere è, fuor di dubbio, l’art. 315 bis cod. civ. – rubricato “Diritti e doveri del figlio” – che, al comma 4, statuisce che: “Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”.
La stessa Carta Costituzionale, all’art. 21, comma 1, recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”; in tal caso, pur mancando un espresso riferimento alla persona del minore, appare ovvio che il termine “tutti” non possa non comprendere anche la persona minore. Il minore, infatti, suo malgrado, può essere protagonista (anzi, ormai, nei fatti lo è) nelle aule di giustizia e il suo “ascolto” non deve essere limitato ad una mera audizione, ma deve concretizzarsi nel dovere di chi lo ascolta di considerare le sue opinioni e ogni segnale che provenga da lui con puntuale attenzione e sensibilità. L’art. 31 della Costituzione, poi, recita: “La Repubblica protegge l’infanzia e la gioventù favorendo istituti necessari a tale scopo”.
Nell’ascolto, la “voce” del minore si manifesta in tutta la sua libertà e spontaneità dinanzi all’Organo giudicante, senza i filtri dei suoi rappresentanti o difensori, che, ex art. 336 bis cod. civ., possono essere presenti al colloquio, ma non possono sostituirsi al minore nella sua esposizione. Già dal momento della emanazione della Convenzione di New York del 1989 sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (ratificata nel nostro Paese con L. 191/1976) la persona minore di età, forse in virtù di una vera e propria rivoluzione culturale, non viene più considerata oggetto di protezione, ma soggetto titolare di diritti. Il principio che emerge in tutta la sua imponenza è che il minore, un tempo visto come destinatario passivo di diritti, diviene un nuovo soggetto titolare dei diritti stessi, che va ascoltato, informato e rispettato, sempre nell’ottica della salvaguardia del principio fondamentale del best interest of the child.
In questo nuovo contesto, ruolo nevralgico assume proprio il suo diritto all’ascolto in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano; diritto, questo, che, come vedremo in seguito, è stato affermato in numerose convenzioni di diritto internazionale e che, dalla Convenzione di New York, ha avuto, nel nostro ordinamento, una sempre maggiore consacrazione negli ultimi trenta anni. Norma di riferimento in materia è l’art. 12 della Convenzione citata che, coerentemente con la concezione del minore come protagonista e partecipe delle scelte che riguardano la sua vita, prevede espressamente l’obbligo per gli Stati parti di:
– garantire al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa;
– fornire, in particolare, al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo riguarda, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato;
– tenere conto delle opinioni espresse dal bambino in relazione alla sua età e al suo grado di maturità.
L’art. 16 protegge la privacy, l’onore e la reputazione del minore: “Nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione. Il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti”. Comunque, la norma si preoccupa di precisare che le affermazioni del minore in sede di ascolto devono essere “considerate tenendo conto dell’età e del grado di maturità del soggetto che le ha formulate”.
La necessità di garantire la massima partecipazione del minore nella determinazione delle decisioni che hanno riflessi sulla sua esistenza è affermata anche nella Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, nata a Strasburgo il 25/2/1996 e ratificata dal nostro Paese con L. n. 77 del 20/3/2003, nell’ambito della quale vengono proclamati come diritti del bambino, capace di sufficiente discernimento, tanto quello di ricevere informazioni adeguate (si parla espressamente di “ascolto informato”), quanto quello di esprimere le proprie opinioni; opinioni che devono essere tenute in debito conto dai soggetti deputati a prendere decisioni in ordine alla vita del minore stesso (art. 3 Convenzione ONU). Le disposizioni di tale Convenzione, infatti, sono primariamente finalizzate a garantire che i minori possano sempre partecipare, adeguatamente informati, ai procedimenti giudiziari che li riguardano e, in tal senso, prevedono che il bambino ha il diritto di chiedere, personalmente o tramite altre persone od organismi, la designazione di un rappresentante speciale nei procedimenti giudiziari che lo riguardano, quando la legge nazionale priva i detentori della responsabilità genitoriale della facoltà di rappresentarlo a causa di un conflitto di interessi (art. 4).
Un “ascolto informato” del minore significa garantirgli il diritto di ricevere tutte le informazioni, essere consultato ed esprimere la propria opinione nel corso della procedura, nonché il diritto di essere informato sulle possibili conseguenze delle aspirazioni da lui manifestate e delle sue decisioni (art. 3). L’obbligo informativo trova oggi fondamento giuridico esplicito nella formulazione normativa dell’art. 336 bis, comma 3, cod. civ.: “Prima di procedere all’ascolto, il Giudice informa il minorenne della natura del procedimento e degli effetti dell’ascolto”; il minorenne viene informato principalmente dai genitori/familiari, dal CTU, dall’assistente sociale, dal curatore/tutore se nominato, dallo psicologo infantile.
Sempre in ambito internazionale, si deve sottolineare la rilevanza del Regolamento CE 2201/2003, in materia di competenza, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, secondo cui le decisioni relative alla responsabilità genitoriale non sono riconosciute, tra l’altro, quando, salvo i casi d’urgenza, la decisione viene resa senza che il minore abbia avuto la possibilità di essere ascoltato, in violazione dei principi fondamentali di procedura dello Stato membro richiesto (art. 23, lett. b). Successivamente il Regolamento UE 2019/1111 del 25/6/2019, che è andato a sostituire quello innanzi citato, ha statuito che i minorenni in grado di discernimento avranno la possibilità di essere ascoltati in tutti i procedimenti che li riguardano, sia in materia di responsabilità genitoriale, sia nei casi di sottrazione internazionale.
L’ascolto del minore è, altresì, espressamente previsto dalla Convenzione dell’Aja del 25/10/1980 (ratificata in Italia con L. 64/1994) che, all’art. 13, stabilisce che il Giudice può rifiutare il ritorno del minore nel Paese da cui è stato illegittimamente trasferito, nel caso in cui questi si opponga ed abbia “un’età e una maturità tali da rendere opportuno il fatto di tenere in considerazione il suo parere”. Anche la Carta Europea dei Diritti Fondamentali stabilisce, all’art. 24, che: “i bambini possono esprimere liberamente la loro opinione ed essa viene presa in considerazione per le questioni che li riguardano”.
La libertà di opinione del fanciullo è stata anche oggetto di tutela da parte della Carta di Nizza del 7/12/2000, che, all’art. 24 par. 1, prevede che “i bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere; essi possono esprimere liberamente la propria opinione”.
Da ultimo, merita di essere ricordato il primo testo internazionale in cui veniva affermato il diritto di ascolto, ossia le “Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile” (cd. Regole di Pechino, adottate con Risoluzione ONU 40/33 1985), approvate a New York il 29/11/1985. Queste regole “minime” riguardavano il sistema che doveva occuparsi della questione giovanile, sul presupposto che la giustizia minorile dovesse operare (secondo quanto disposto nell’art 1, Prospettive fondamentali) “in un quadro generale di giustizia sociale per tutti i giovani e contribuire alla protezione e mantenimento della pace e dell’ordine nella società”. Il documento prevedeva, inoltre, che occorreva assicurare ai giovani, tra gli altri diritti riconosciuti, anche “il diritto a non rispondere e il diritto all’appello” (art. 7 – Diritti dei giovani).
Nell’ordinamento italiano, il principio della Convenzione ONU ha dato origine a importanti provvedimenti legislativi e, in particolare, all’innanzi richiamato art. 315 bis cod. civ., introdotto dalla c.d. Riforma della filiazione (L. 219/2012 “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali” e dal D. Lgs. 154/2013) che prevede un generale diritto per il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Nel nostro ordinamento, il diritto all’ascolto del minore è previsto, inoltre, in molte altre disposizioni tra le quali quelle relative ai procedimenti de potestate (artt. 330 e 333 cod. civ.), alle azioni di status (artt. 250 e 269 cod. civ), al procedimento per l’attribuzione del cognome (art. 262 cod. civ.), al procedimento per la scelta del tutore (art. 348 cod. civ.), al procedimento per la rimozione di uno o di entrambi i genitori nell’amministrazione del patrimonio del minore (art. 334 cod. civ.).
Il minore ha anche diritto ad essere ascoltato ai sensi e per gli effetti dell’art. 371 cod. civ., qualora il Giudice tutelare, su proposta del tutore, debba deliberare, tra l’altro, sul luogo nel quale debba essere cresciuto ovvero sui suoi studi. In questo caso specifico, la legge ha lasciato il limite di dieci anni per l’ascolto, limite già più favorevole al minore che viene ritenuto in grado di esprimere un suo giudizio in merito a decisioni, quali quelle indicate, in grado di incidere notevolmente sulla sua vita quotidiana.
La normativa che, per la prima volta, ha previsto e disciplinato l’ascolto del minore è stata quella in materia di adozione nazionale e internazionale che stabiliva, già precedentemente alla riforma, che il minore dodicenne, e anche di età inferiore se ritenuto capace di discernimento, va ascoltato in relazione ai momenti più salienti della procedura, tra i quali l’affidamento (art. 4), la dichiarazione dello stato di adottabilità (art. 15), l’affidamento preadottivo in relazione alla coppia prescelta (art. 22), l’adozione, prima in generale, poi nei confronti della coppia prescelta (artt. 7 e 25), l’adozione in casi particolari (art. 45).
Fondamentale resta, inoltre, l’ascolto del minore nelle procedure in cui si decide del suo affidamento nell’ambito dello scioglimento della coppia genitoriale. L’obbligatorietà dell’ascolto in tali giudizi per il dodicenne, e anche per quello di età inferiore quando capace di discernimento, era già prevista dall’art. 155 sexies cod. civ. (nel testo inserito dalla L. 54/2006), trasposto, poi, nell’art. 337 octies cod. civ., applicabile ai giudizi di separazione, divorzio, annullamento, nullità del matrimonio o ai procedimenti per l’affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio. La disposizione prevede, comunque, che nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il Giudice non proceda all’ascolto se questo è in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo.
Con Legge n. 112 del 12/7/2011, veniva istituita l’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, a tutela dei diritti e degli interessi di bambini ed adolescenti. Il compito principale attribuito all’Autorità garante è quello di rendere effettivo l’esercizio dei diritti riconosciuti, a tutti i livelli, ai minorenni, andando ad incidere sui temi della giustizia minorile e familiare, sulla risoluzione dei conflitti che coinvolgono persone minori.
In tema di filiazione, poi, la L. 219/2012 ha ribadito la centralità dell’ascolto del minore nei procedimenti che lo riguardano introducendo una disposizione, il già innanzi richiamato art. 315 bis cod. civ.; tale disposizione normativa non è altro che l’estensione e la generalizzazione di quanto a suo tempo previsto nell’art. 155 sexies cod. civ. introdotto dalla riforma del 2006. Così operando, il Legislatore ha dato attuazione a quanto previsto dalle Convenzioni internazionali, che, come detto, avevano ripetutamente sancito il diritto del minore ad essere ascoltato.
Ebbene, appare evidente come l’ascolto sia diventato un diritto soggettivo assoluto del minore, che ha mutato il suo ruolo da mero attore secondario a vero protagonista nei procedimenti civili aventi ad oggetto il diritto di famiglia: le sue esigenze vengono prima di ogni altra istanza. Del resto, anche recenti ricerche in ambito psicologico hanno rilevato che la persona minore ha un ruolo sempre più attivo; non è più solo bersaglio di eventi esterni, ma soggetto capace di comprendere gli accadimenti in cui rimane coinvolto, secondo una prospettiva personale e di rispondere ad essi con consapevolezza critica.
Nell’ambito del procedimento penale minorile, quando il minore entra a contatto con il sistema giudiziario, il minore autore del reato è un soggetto che, rispetto alla sua condotta illecita, deve recuperare il suo stato di devianza e deve essere tolto al più presto dal circuito penale. In questo ambito processuale non deve essere considerato adulto, ma deve avere le garanzie previste per l’adulto, ascoltato come persona giovane che cammina verso la maturità. Se, da una parte, il minore è soggetto dotato di piena soggettività processuale, dall’altra parte ha diritto ad un processo con tutte le garanzie previste per l’adulto: l’adolescenza eventualmente turbata dall’illecito va soccorsa e condotta verso la normalità.
Anche (se non soprattutto) per i diritti dei minori, quindi, può parlarsi di una concreta evoluzione. Ad oggi, a bambini e adolescenti sono stati riconosciuti i diritti economici sociali e parte dei diritti civili fondamentali, come il diritto alla salute, il diritto alla vita. I bambini sono tutelati non in quanto proprietà dei genitori, ma in quanto soggetti di diritti e, pertanto, la loro è una tutela intesa come protezione e, se necessario, una protezione anche dagli stessi familiari in caso di maltrattamenti, abbandono e abusi.
Nel complesso e articolato contesto normativo, nazionale e internazionale, che abbiamo delineato, anche la giurisprudenza ha ormai richiamato, in moltissime decisioni, con rigore e continuità, la funzione primaria che ha l’ascolto, in quel delicato processo di garanzia della effettività della tutela dei diritti del minore nei procedimenti che lo riguardano. Il principio è stato recentemente cristallizzato dalla Suprema Corte con la pronuncia n. 9691/2022, con cui i Giudici di legittimità hanno statuito che: “In tema di affidamento dei figli minori, l’ascolto del minore infradodicenne capace di discernimento costituisce adempimento previsto a pena di nullità, a tutela dei principi del contraddittorio e del giusto processo, finalizzato a raccogliere le sue opinioni ed a valutare i suoi bisogni, dovendosi ritenere del tutto irrilevante che il minore sia stato sentito in altri precedenti procedimenti pur riguardanti l’affidamento”. (Nel caso di specie, la S.C. ha cassato la decisione della Corte d’Appello che, nell’emettere un provvedimento di decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre, aveva omesso l’ascolto del minore limitandosi ad osservare come il bambino fosse stato già ascoltato dai giudici e dai c.t.u. in precedenti procedimenti aventi ad oggetto il suo affidamento) (in termini, Cass. Civ., Sez. I, n. 9691 del 24/3/2022; anche Cass. Civ., Sez. I, n. 7262 del 4/3/2022, che ha individuato il minore come parte sostanziale nel processo che lo riguarda, in quanto portatore di interessi diversi, a volte contrapposti, rispetto ai genitori e ha specificato come il mancato adempimento dell’ascolto integra violazione del principio del contraddittorio).
I Giudici di legittimità, già con la sentenza del 19/1/2015, n. 752 (che confermava la pronuncia della Corte d’Appello di Roma del 10/9/2009), avevano statuito che: “In tema di audizione del minore infradodicenne, il riscontro della sua capacità di discernimento in relazione alla sua età ed al suo grado di maturità, quale necessario presupposto, è devoluto al libero e prudente apprezzamento del Giudice e non necessita di specifico accertamento positivo, d’indole tecnica specialistica, anticipato rispetto al tempo dell’audizione. Ne consegue che tale capacità non può essere esclusa con mero riferimento al dato anagrafico del minore, se esso non sia, di per sé solo, univocamente indicativo in tale senso, mentre può presumersi, in genere, ricorrente, anche considerati temi e funzione dell’audizione, quando si tratti di minori, per età, soggetti ad obblighi scolastici e, quindi, normalmente in grado di comprendere l’oggetto del loro ascolto e di esprimersi consapevolmente”.
Nel caso di specie, nel corso di un procedimento instaurato dalla nonna materna, successivamente al decesso della figlia, al fine di ottenere il riconoscimento del suo diritto di visita della nipote (osteggiato dal genero), la minore aveva manifestato, in più occasioni, il desiderio (meglio, la volontà) di non voler rivedere la nonna materna, riferendo di “provare dolore al solo pensiero di sentirla telefonicamente”.
Con pronuncia confermata dalla Corte di Appello, il Tribunale per i minorenni aveva rigettato il ricorso della nonna, ritenendo meritevole di apprezzamento e di tutela il punto di vista della minore, che era dotata, a dire dei Giudice del gravame, della “capacità di discernimento necessaria a far ritenere attendibili le sue dichiarazioni, il cui contenuto non palesava forzature o suggestioni che la avessero indotta a riferire una volontà diversa da quella interiormente provata”. L’ascendente impugnava la sentenza di merito per violazione dell’art. 155 sexies cod. civ. e della Convenzione di New York del 1989, sul rilievo che l’audizione della minore infradodicenne avrebbe dovuto essere preceduta da un’indagine sulla sussistenza della sua capacità di discernimento, che non poteva trovare riscontro nella tenera età avuta all’epoca dell’ascolto (8 anni e tre mesi).
La Cassazione rigettava il motivo di ricorso della nonna, affermando il principio di diritto in base al quale il riscontro della capacità di discernimento del minore infradodicenne, quale presupposto necessario per la sua audizione, non necessita di specifico accertamento positivo di natura specialistica e non può essere esclusa con mero riferimento al dato anagrafico del minore, ben potendosi presumersi ricorrente, di contro, nell’ipotesi di minore di età soggetto ad obblighi scolastici.
In altre occasioni, invece, la Suprema Corte di Cassazione ha confermato la sentenza impugnata che, nell’ambito di procedimenti aventi ad oggetto la sottrazione internazionale di minori, non aveva proceduto all’audizione del minore, valutando la sua tenerissima età (appena tre anni e cinque mesi) e il suo grado di maturità (Cass. Civ., Sez. VI, n. 1807 del 28/1/2014), ovvero sulla base di una valutazione, ancorata ad un dato oggettivo come quello costituito dalla tenera età, circa l’insussistenza di una apprezzabile capacità di discernimento (Cass. Civ., Sez. I, n. 3540 del 14/2/2014; nella specie, il figlio della coppia aveva cinque anni).
Di particolare interesse rimane anche l’ordinanza n. 1474/2021 della Suprema Corte depositata il 25/1/2021. Nel caso esaminato dai Giudici di legittimità, il Tribunale di Pesaro aveva disposto l’affidamento di due minori, nati da una relazione more uxorio, congiuntamente ai genitori, con collocamento prevalente presso la madre, stabilendo modalità e tempi di permanenza dei minori presso il padre. Quest’ultimo proponeva reclamo, ma la Corte d’Appello confermava integralmente la decisione di prime cure, ritenendo di non procedere all’audizione dei due figli per contrasto con i loro interessi. La vicenda giungeva all’attenzione della Suprema Corte. Il padre contestava la violazione e falsa applicazione degli artt. 315 bis, 336 bis e 337 octies c.c., nonché dell’art. 12 della Convenzione di New York e dell’art. 6 della Cedu, per non aver la Corte territoriale disposto l’audizione almeno della figlia maggiore, di 11 anni di età, e quindi perfettamente in grado di esprimersi in ordine all’affidamento.
A dire dei Giudici di legittimità la doglianza risultava fondata, atteso che in tutti i procedimenti previsti dall’art. 337 bis cod. civ., in caso di assunzione di provvedimenti relativi alla convivenza dei figli con uno dei genitori, l’audizione del minore infradodicenne, capace di discernimento, costituisce adempimento a pena di nullità. Il Giudice deve, dunque, motivare in modo specifico e circostanziato la scelta di non disporre l’audizione, soprattutto quando l’età del minore si avvicina a quella dei dodici anni, oltre la quale sussiste l’obbligo legale dell’ascolto. Tale onere motivazionale ricorre, afferma la Suprema Corte, non solo quando il Giudice ritenga il minore incapace di discernimento o l’esame superfluo oppure in contrasto con l’interesse del minore, ma anche qualora, invece che procedere all’ascolto diretto, opti per un ascolto delegato, ossia effettuato nel corso di indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori del contesto relativo allo svolgimento di dette indagini. Nel caso di specie, il Giudice di merito non si atteneva a tali principi, escludendo l’audizione della figlia undicenne della coppia in assenza di adeguata motivazione sulla sua capacità di discernimento, limitandosi ad un laconico riferimento allo stato di estrema tensione dei rapporti tra le parti, contrapposizione ed elevata conflittualità, perpetrando, così, la violazione del principio secondo cui “il minore costituisce una parte sostanziale del procedimento diretto a stabilire le modalità di affidamento, per cui, essendo portatore di interessi contrapposti e diversi da quelli dei genitori, ha diritto di esporre le proprie ragioni nel corso del processo, a contatto diretto con l’organo giudicante”.
La Corte Suprema ha, pertanto, più volte ribadito l’importanza delle opinioni di un minore e ha ritenuto che devono essere valutate attentamente proprio al fine di esprimere una serena decisione: “l’ascolto deve svolgersi nei modi tali da garantire l’esercizio effettivo del diritto di esprimere liberamente la propria opinione con tutte le cautele e le modalità atte ad evitare incertezze, turbamenti e condizionamenti ivi compresa la facoltà di vietare l’interlocuzione con i genitori e/o con i difensori, nonché di sentire il minore da solo” (in termini, Cass. Civ., Sez. I, del 5/3/2014, n. 5097).
Il diritto del minore all’ascolto, così delineato, costituisce uno dei quattro principi fondamentali della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e, in particolare, è intimamente connesso ad un altro principio, ossia quello secondo il quale in ogni procedura che lo riguarda e in ogni decisione relativa al minore va tenuto in preminente considerazione il suo superiore interesse (art. 3 Conv. ONU); assumere, infatti, una decisione nei riguardi del bambino che tenga conto di quello che è il suo superiore interesse presuppone necessariamente una conoscenza delle sue esigenze e, conseguentemente, un suo ascolto.
L’audizione del minore, o, meglio, il diritto del minore ad essere ascoltato, è, pertanto, lo strumento per fare partecipare, attraverso la manifestazione dei propri desideri, bisogni e la esternazione dei propri pensieri anche più intimi, la persona minore di età a quel procedimento destinato ad emettere una decisione che lo riguarda e che, a volte, potrà modificare radicalmente la sua vita: si tratta di un “potere” concesso al minore capace di discernimento di influire sulla formazione del convincimento del Giudice. In questo contesto, rileva sottolineare come l’art. 315 bis cod. civ., a differenza dell’abrogato art. 155 sexies cod. civ., che regolava l’ascolto del minore in relazione alla separazione dei coniugi, non disciplini il dovere del Giudice di ascoltare il minore, ma cristallizzi il diritto di quest’ultimo ad essere ascoltato dal Giudice, “così guardando al fanciullo non come semplice oggetto di protezione, ma come vero e proprio soggetto di diritto, a cui va data voce nel momento conflittuale della crisi familiare” (Tribunale di Varese del 24/1/2013). Essere ascoltato è, allora, un diritto del minore, dal quale non deriva necessariamente un freddo e distaccato “obbligo” del Giudice di procedervi, poiché, in ogni caso, occorre valutare, nei singoli casi, oltre all’età ed alla capacità di discernimento, anche l’eventualità che l’audizione possa nuocere, alla luce delle circostanze del caso concreto, al superiore interesse del minore.
Lo stretto ed indissolubile collegamento con tale principio cardine dei diritti del fanciullo impone, infatti, di non procedere all’ascolto del minore quando questo è contrario al suo interesse; sul punto, la Suprema Corte ha chiarito ripetutamente che: “L’audizione dei minori, nei procedimenti giurisdizionali che li riguardano, è un adempimento necessario salvo che il mancato ascolto non sia giustificato dal loro superiore interesse” (nella specie, relativa all’adottabilità di due minorenni, la Corte ha ritenuto pienamente giustificata la mancata audizione, in ragione dalla tenerissima età delle stesse – quattro e tre anni – e dal grado di maturità correlato all’età) (in termini, Cass. Civ., Sez. I, n. 21662 del 4/12/2012).
Questo sentiero interpretativo è quello percorso da tutti (e sono davvero molteplici) quei provvedimenti che sostengono che “il diniego di ascolto del minore può essere fondato sulla valutazione dell’età, delle condizioni e dei disagi già manifestati dallo stesso, quindi, sulla conclusiva, seppure implicita, attribuzione di prevalenza alle esigenze di tutela dell’interesse superiore del bambino, anche a non essere ulteriormente esposto al presumibile danno derivante dal suo coinvolgimento emotivo nella controversia che vede contrapposti i genitori” (in termini, ancora Cass. Civ., Sez. I, n. 6645 del 15/3/2013).
Sono i casi in cui i Giudici di legittimità hanno precisato che: “… l’audizione del minore, pur prevista dall’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e divenuta adempimento necessario, ai sensi degli artt. 3 e 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 (ratificata con la L. 20/3/2003, n. 77), non è prescritta in via assoluta, bensì rimessa alla predetta valutazione del Giudice, che può non ricorrervi, ove neghi, anche secondo il notorio, sufficiente maturità al minore stesso e privilegi l’interesse superiore di questi a non essere esposto al presumibile danno derivante dal coinvolgimento emotivo nella controversia che opponga i genitori (nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza di merito che aveva ritenuto la superfluità dell’ascolto del minore, avente solo otto anni, in funzione cognitiva, riferendo gli eventuali disagi essenzialmente alla pervicace condotta del genitore abductor, il padre, quale volta all’appannamento della figura materna)” (in termini, Cass. Civ., Sez. I, n. 13241 del 16/6/2011).
Si pensi, ancora, al caso di un bambino affetto da patologie o per il quale la vicenda in cui è coinvolto è causa di gravi conseguenze psicologiche: in tutti queste ipotesi l’audizione potrebbe risolversi, con ragionevole certezza, in un danno per il minore e per la sua serenità. È evidente, d’altro canto, come il Giudice debba, comunque, fornire adeguata motivazione in relazione alle ragioni, “da indicarsi specificamente” (Cass. Civ., Sez. I, n. 3319 del 8/2/2017) che lo hanno indotto a non procedere all’audizione, come prescrive il dettato normativo di cui all’art. 336 bis cod. civ. .
Anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha avuto occasione di intervenire in materia; infatti, in relazione al mancato ascolto del minore, la Corte ha ricordato che, secondo consolidati principi, “affermare che i tribunali interni sono sempre tenuti ad ascoltare un minore durante un’udienza nella quale è in gioco il suo affidamento significherebbe andare troppo lontano”. La Corte Europea, infatti, ha ricordato come spetti al Giudice valutare se sia opportuno procedere all’audizione, tenendo sempre in considerazione le particolari circostanze del singolo caso, l’età e la maturità del minore interessato (CEDU, Sez. II, B./Italia, 15/5/2007, Ricorso n. 38972/06).
Del resto, è lo stesso dettato normativo dell’art. 336 bis cod. civ., a tenore del quale quando l’ascolto è in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo il Giudice non procederà all’adempimento dandone atto con provvedimento motivato, a percorrere il medesimo sentiero della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Così come, allo stesso modo e in relazione al coinvolgimento dei minori del giudizio relativo allo scioglimento della coppia genitoriale, l’art. 337 octies cod. civ. stabilisce che, nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il Giudice non procede all’ascolto se in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo.
È assolutamente evidente, infatti, che un ascolto superfluo, perché vertente su circostanze acclarate o non contestate, possa ritenersi dannoso per la serenità e l’equilibrio del minore. Il bambino pertanto, come sostenuto anche dai Giudici di legittimità, non deve essere necessariamente coinvolto nel giudizio instaurato tra i genitori (Cass. Civ., Sez. I, n. 6645 del 15/3/2013). Del resto, è appena il caso di sottolineare che proprio perché l’ascolto è un diritto del minore, potrebbe essere il minore stesso, una volta adeguatamente informato, a non voler essere ascoltato. Essenziale e imprescindibile è, infatti, il profilo della volontarietà dell’ascolto del minore, che può liberamente scegliere di non sottoporvisi: il diritto di scegliere di non essere ascoltato.
La legge, sia in generale all’art. 315 bis cod. civ., sia, nello specifico, nelle diverse disposizioni normative in materia, distingue tra il minore che ha compiuto i dodici anni e quello più piccolo. Il primo si presume capace di discernimento e quindi ha, di regola, diritto ad essere ascoltato, in relazione al secondo invece la scelta se procedere o meno all’audizione viene affidata al prudente apprezzamento del Giudice, il quale deve tener conto dell’età, della capacità di discernimento e del grado di maturità del minore stesso. In tal senso, la giurisprudenza ha chiarito che il riscontro di tale capacità è devoluto al libero e prudente apprezzamento del Giudice e non necessita di specifico accertamento positivo di natura tecnica specialistica, anticipato rispetto al tempo dell’audizione. Tale capacità, peraltro, non può essere esclusa con mero riferimento al dato anagrafico del minore, se esso non sia di per sé solo univocamente indicativo in tale senso, mentre può presumersi in genere ricorrente, anche considerati temi e funzione dell’audizione, quando si tratti di minori per età soggetti ad obblighi scolastici e, quindi, normalmente in grado di comprendere l’oggetto del loro ascolto e di esprimersi consapevolmente.
L’età in cui i bambini, nei vari casi sottoposti alla giurisprudenza, sono stati coinvolti nel processo diventa presupposto fondamentale per questa analisi ad opera del giudicante: la casistica giurisprudenziale, infatti, permette di individuare decisioni in cui il bambino che non è stato ascoltato dal Giudice aveva quattro anni (Cass. Civ. 19544/2003, in cui la Suprema Corte valorizza “… il raggiungimento da parte di questi di una certa età, al di sotto della quale, secondo nozioni di comune esperienza, riservate all’apprezzamento del Giudice del merito, è sconsigliabile dare peso alla sua opinione, se contrastante con la presunzione del prevalente interesse del minore a ritornare presso l’affidatario al quale è stato sottratto”), sei anni (Cass. Civ. 4246/2019), sette anni (Cass. 9501/1998; Cass. Civ., SS.UU. 19664/2014); dieci anni (Cass. Civ. 11328/1997) e persino undici (Cass. Civ. 16753/2007). In altri casi, invece, l’ascolto è stato ritenuto necessario e si trattava di minori di otto e dodici anni (Cass. Civ. 12293/2010) e dieci anni (Cass. Civ. 18864/2016).
Ebbene, come già abbiamo sottolineato, incombe sul Giudice un “obbligo di specifica e circostanziata motivazione”, tanto più necessaria quanto più l’età del minore si approssima a quella dei dodici anni, come statuito dalla Suprema Corte nella parte motiva della sentenza 10774/2019, allorquando ha ribadito che: “… secondo questa Corte (Sez. 1, Ordinanza n. 12957 del 24/5/2018), in tema di separazione personale tra coniugi, ove si assumano provvedimenti in ordine alla convivenza dei figli con uno dei genitori, l’audizione del minore infradodicenne, capace di discernimento, costituisce adempimento previsto a pena di nullità, in relazione al quale incombe sul Giudice un obbligo di specifica e circostanziata motivazione – tanto più necessaria quanto più l’età del minore si approssima a quella dei dodici anni, oltre la quale subentra l’obbligo legale dell’ascolto – non solo se ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento ovvero l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore, ma anche qualora il Giudice opti, in luogo dell’ascolto diretto, per un ascolto effettuato nel corso di indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori di detto incarico, atteso che l’ascolto diretto del Giudice dà spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda, mentre la consulenza è indagine che prende in considerazione una serie di fattori quali, in primo luogo, la personalità, la capacità di accudimento e di educazione dei genitori, la relazione in essere con il figlio. …” (in termini, Cass. Civ., Sez. I, n. 10774 del 17/4/2019).
Secondo un certo orientamento della giurisprudenza, la valutazione del Giudice può anche non coincidere con quanto espresso dal minore in sede di ascolto. Anche in tal caso è imposto un preciso onere di motivazione sulle ragioni che inducono a discostarsi dal punto di vista espresso dal minore (Cass. Civ., Sez. I, n. 12957 del 24/5/2018); in materia di affidamento, il Giudice, pur non vincolato alle indicazioni che il minore ha dato in sede di ascolto, qualora intenda disattenderle deve motivare sul perché abbia individuato il genitore affidatario o collocatario in contrasto con la volontà espressa dal minore (Cass. Civ., Sez. I, n. 6129 del 26/3/2015).
L’esame della evoluzione legislativa e giurisprudenziale della materia evidenzia come l’ascolto del minore di almeno dodici anni, e anche di età minore ove capace di discernimento, costituisca una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse e questo è testimoniato dall’attenzione prestata all’argomento (anche) dalle istituzioni.
L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti di Firenze, ha pubblicato (aprile 2020) un rapporto su “Il diritto all’ascolto delle persone di minore età in sede giurisdizionale”. Si tratta di un’indagine su come il diritto previsto dalla Convenzione ONU viene attuato in Italia dai Tribunali per i minorenni, dai Tribunali ordinari e dalle relative Procure della Repubblica. Ebbene, a dispetto del fatto che il nostro ordinamento ha avvertito l’esigenza di assicurare al minore la possibilità di esprimere le proprie idee e di far sentire la propria voce nel processo, la legge non ne disciplina nel dettaglio le modalità. Si sono, così, consolidate una serie di prassi nell’ascolto dei minori all’interno degli uffici giudiziari: “La non omogeneità di tali prassi ha così fatto emergere la necessità di scattare una fotografia sulle modalità operative del diritto all’ascolto sul territorio nazionale” spiegava nel 2020 la Garante Dott.ssa Filomena Albano.
L’indagine, con un profilo sia quantitativo, sia qualitativo, è stata svolta attraverso la compilazione di un questionario che ha cercato di far emergere tutti gli aspetti del diritto all’ascolto: dalla preparazione del minore di età, fino alla restituzione di quanto emerso, coinvolgendo i ventinove Tribunali per i Minorenni italiani e le relative Procure e un campione di ventidue tra Tribunali ordinari e Procure della Repubblica. La ricerca che ne è scaturita restituisce una serie di dati sui procedimenti, sulla valutazione delle capacità di discernimento del minorenne, sulle motivazioni dei provvedimenti, sull’informazione data ai minori di età, sulle nomine di curatori speciali, sull’ascolto diretto e indiretto, sull’omesso ascolto e sulle audizioni protette, attraverso la raccolta di Protocolli e linee guida stipulati tra Tribunali e altri soggetti coinvolti.
È emerso come l’ascolto del minore nel processo sia oramai un diritto generalmente garantito, attuato tenendo in particolare considerazione la capacità di discernimento del minore e cercando di salvaguardare in ogni modo il suo equilibrio psichico, sebbene manchino spesso gli strumenti per realizzare questi obiettivi (ad esempio, le stanze adibite all’ascolto). In generale, poi, l’indagine ha rilevato una mancanza di unitarietà a livello di modalità operative nei vari Tribunali, il che oggettivamente crea una preoccupante incertezza e lascia spazio alla discrezionalità in un settore particolarmente critico e delicato.
Attenzione alla problematica è testimoniata dai diversi Protocolli e linee guida stilati da alcuni Tribunali per i minorenni e da alcuni Tribunali ordinari volti a regolamentare l’ascolto nei vari procedimenti, prevedendone, tra l’altro, le modalità (proprio in assenza di una esplicita previsione legislativa sul punto), la presenza delle parti, i criteri per valutare la capacità di discernimento dell’infradodicenne e, in alcuni casi, anche l’orario migliore per l’audizione.
L’ascolto del minore è stato anche oggetto delle raccomandazioni che, all’inizio del 2019, il Comitato ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza ha rivolto all’Italia. In particolare, il Comitato ha accolto con favore l’introduzione nella legislazione italiana del diritto del bambino di essere ascoltato in contesti selezionati e ha raccomandato di promuovere la partecipazione significativa e autorizzata di tutti i bambini all’interno della famiglia, delle comunità e delle scuole e di includerli nel processo decisionale in tutte le questioni che li riguardano, anche in materia ambientale.
Pur di fronte a tali “progressi”, non può non sottolinearsi come sussistano ancora profonde (e, per certi versi, inspiegabili) lacune del sistema, fra cui emerge la mancanza della previsione dell’ascolto del minore all’interno del procedimento di negoziazione assistita. In tal caso, è evidente che la voce del minore è affidata, in via esclusiva, ai genitori: non esiste una previsione normativa che disciplini la valutazione della aderenza dell’accordo di negoziazione assistita alla specifica volontà dei figli di quella coppia genitoriale. In assenza di ragioni giuridiche apprezzabili idonee a giustificare una siffatta scelta, deve semplicemente concludersi che il legislatore si sia dimenticato non solo della necessità che i minori siano sentiti in tutti i procedimenti che li riguardano (o che afferiscono a loro interessi), ma abbia, altresì, espressamente omesso di prevedere un organo deputato a verificare che la loro audizione sia manifestamente superflua: dimenticanza, o forse più probabilmente, mancanza di coordinamento con istituti giuridici esistenti?.
Diversamente argomentando dovrebbe ritenersi che “la natura sostanzialmente amministrativa (degiurisdizionalizzata) del procedimento sia sufficiente ad escludere la necessarietà della audizione della prole minore (e, quindi, della valutazione della volontà e dei desideri dei soggetti minori coinvolti dall’accordo): la valutazione, anche in termini di superfluità, dell’audizione sarebbe integralmente assorbita nella certificazione (rimessa ai difensori delle parti) di non contrarietà alle norme imperative e all’ordine pubblico dell’accordo raggiunto dagli assistiti e ciò con tutte le implicazioni che, per il difensore, tale certificazione (rafforzata con la verifica qui implicitamente ipotizzata) assume, ma anche con la conseguenza di una certificazione non conforme alle norme imperative, laddove tra le stesse venisse ricompresa l’obbligatorietà dell’audizione del minore (o la valutazione della sua manifesta superfluità). … La legge sulla negoziazione assistita non contempla e non lascia spazio all’audizione dei minori: pare che il legislatore se ne sia dimenticato sia dal punto di vista sostanziale sia dal punto di vista formale. Allorchè sia stata una scelta consapevole, difficile risulta la comprensione delle ragioni alla stessa sottese. Il procedimento, pur degiurisdizionalizzato, coinvolge in via primaria e immediata diritti ed interessi dei minori: interessi incomprimibili di rango primario in tutto analoghi a quelli valutati ed apprezzati dall’autorità giudiziaria nei procedimenti giudiziali. La natura amministrativa del procedimento non modifica la natura dei diritti coinvolti e con essa disciplinati e impone di riflettere su soluzioni – anche de iure condendo – che prevedano l’apprezzamento negli accordi della volontà e dei desideri dei minori coinvolti in quel procedimento” (da “L’ascolto del minore nella negoziazione assistita”, in “ilFamiliarista” Giuffrè Francis Lefebvre del 26/10/2015, di Dott.ssa Cosmai Laura Maria, Giudice del Tribunale Ordinario di Milano).
Ed è di immediata evidenza come tale vuoto legislativo crei una marcata disuguaglianza tra quei minori che possono partecipare e far sentire la propria “voce” nel giudizio relativo alla separazione tra i loro genitori quando questa è regolamentata in sede giurisdizionale e quelli che, invece, ne sono esclusi perché la questione è risolta al di fuori delle aule giudiziarie.
Restano, allora, ancora irrisolte diverse questioni in ordine a profili eterogenei della problematica in questione per poterne affermare, oggi, la completa normazione nell’alveo di una disciplina uniforme e coerente, che sottragga agli umori giurisprudenziali la affermazione di principi cardine in una materia assolutamente delicata, come tutte quelle che coinvolgono la persona del minore di età e che richiedono l’imprescindibile apporto della sensibilità di tutti i protagonisti del procedimento. Mai come questa volta, però, non può non rilevarsi come ruolo nevralgico e fondamentale sia quello rimesso al Giudice, cui viene richiesta una spiccata sensibilità nella valutazione – prodromica all’ascolto del minore – di taluni profili fondamentali (come l’accertamento della capacità di discernimento dell’infradodicenne, la superfluità dell’ascolto, l’impatto emotivo dell’ascolto sul minore), proprio al fine di evitare che l’obbligo o l’indiscriminato dovere di ascolto da parte del Magistrato possa diventare incauto veicolo per un pregiudizio psichico, psicologico, personale ed emotivo in danno del minore stesso.
* Avvocato. ISP Bari.