di Maria Sole Lupi
Il seguente articolo trae spunto da una tesi di laurea magistrale con la quale l’autrice si è laureata in Relazioni Internazionali presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Roma Tre. Titolo dell’elaborato: I genitori detenuti e i loro bambini. Un’analisi sociologica e giuridica sui diritti e le forme di tutela in Italia. Copia della tesi è stata gentilmente inviata dalla dott.ssa Lupi all’I.S.P., che la inserirà nella sua Biblioteca, con una lettera di accompagnamento nella quale si formulano complimenti per lo studio Paternità senza sbarre (2016) svolto dall’Istituto (e inserito nell’elaborato). La Dott.ssa Lupi osserva tra l’altro, nella sua lettera: “Essere padri in carcere è una questione purtroppo sottostimata rispetto ai numeri e rispetto alla trattazione della maternità non solo dalle singole amministrazioni carcerarie ma anche dalla stessa dalla ricerca scientifica. Il vostro studio ha invece fatto emergere come la paternità sia un diritto fondamentale del detenuto ancora lontano dall’essere reso esigibile”.
La famiglia continua ad assolvere un ruolo di primo piano all’interno della complessa società contemporanea, nonostante siano da ritenere rilevanti le continue trasformazioni che in epoca recente la investono come gruppo sociale ed istituzione. Il sociologo Pierpaolo Donati definisce la famiglia come un «fatto primordiale» o a-temporale che si auto-genera nell’individuo proprio per il carattere relazionale che essa ha all’origine. È il primo modello sociale di riferimento per l’individuo. Un ambiente socioeducativo in cui il soggetto sperimenta la prima forma di legame sociale e di convivenza civile. Il nucleo familiare è da intendere come portatore sano del riscatto e della dignità dell’individuo, al pari del lavoro e dell’istruzione. A tal riguardo, si ritiene giusta la preservazione dei legami familiari nei contesti di privazione della libertà personale come il difficile contesto carcerario, sia dal punto di vista della loro rilevanza empirica che socio-istituzionale. La famiglia rappresenta nei contesti di detenzione un ponte tra il reo e la società.
Studi recenti hanno, infatti, rilevato l’importanza del mantenimento dei legami familiari per chi sconta una pena detentiva al fine della riduzione della recidiva e quindi nell’ottica del reinserimento sociale (G Gwyneth Boswell e Peter Wedge, 2002). In particolare, numerosi studi inglesi – compiuti negli ultimi venti anni – hanno osservato che le visite dei familiari durante la detenzione mirano a stabilizzare e a rafforzare i legami di supporto sociale alla persona detenuta con la creazione di una identità sociale (pro-social identity) che negli anni di reclusione può invece subire enormi modifiche o addirittura erodersi. Tuttavia, è da riconoscere il significativo ritardo che riguarda la trattazione del tema in ambito sociologico ed anche normativo, giunto a cavallo della metà degli anni ’70 del Novecento e dei primi anni Duemila e che ha, dunque, relegato per troppo tempo le famiglie dei detenuti allo stato di “vittime nascoste” e “vittime dimenticate” del sistema giustizia (Joseph Murray).
La questione delle famiglie rientra in un dato di fatto ben più ampio. Le condizioni di detenzione sono state per lunghi decenni non disciplinate in maniera conforme rispetto ai principi costituzionali e sovranazionali sanciti nel secondo dopo guerra. Si guardi al contenuto della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo (1948) delle Nazioni Unite, la quale sancisce: «La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato» (art. 16 comma 3); all’articolo 8 comma 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (CEDU) del 1950 sul “diritto dell’individuo al rispetto della vita privata e familiare”. Nella Costituzione della Repubblica italiana all’art.2 in cui «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali (i luoghi di pena) in cui svolge la sua personalità». All’art. 3 Cost. si legge il riferimento alla “pari dignità sociale e l’eguaglianza di tutti cittadini davanti alla legge” e dunque, idealmente, anche delle persone sottoposte a condanna penale o privati della libertà personale.
In Italia sono, dunque, trascorsi tre decenni affinché i princìpi sopra citati e i presupposti dell’art. 27 comma 3 della Costituzione («Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato») venissero tradotti all’interno di una Riforma dell’Ordinamento penitenziario con la legge n. 354/1975. Il nuovo volto più costituzionalmente orientato della pena fu a ridosso dell’approvazione delle Regole Penitenziarie Europee, adottate con la Risoluzione 73/5 del 19 gennaio 1973, i cui princìpi previdero anche una prima forma di tutela delle relazioni familiari nei sistemi penitenziari europei. Tra queste: l’obbligatorietà dei contatti delle persone detenute con le famiglie e il mondo esterno (art.43), la tutela al parto della detenuta (preferibilmente in un ospedale esterno) e la predisposizione di appositi asili nido con personale qualificato per i figli in istituto con le madri (art. 28). All’art. 65 del testo si raccomandarono gli stati membri del Consiglio d’Europa affinché il trattamento penitenziario fosse inteso a “ridurre al minimo gli effetti negativi della detenzione e le differenze tra la vita in carcere e quella in libertà”, invitando in tal modo i sistemi penitenziari a “mantenere e rafforzare i legami delle persone detenute con i familiari e la comunità esterna”. A tal proposito, già dal documento del ’73 veniva indicato che il programma trattamentale del detenuto dovesse rispondere al “principio di vicinanza della persona detenuta alla famiglia” (art. 68). Tuttavia, ancora molto spesso questo precetto in Italia manca dall’essere osservato. Quindici anni fa il Consiglio d’Europa con la Raccomandazione R (2006) 2 ha aggiunto all’interno delle Regole penitenziarie europee (ERP) la seguente disposizione: «Le modalità delle visite devono permettere ai detenuti di mantenere e sviluppare relazioni familiari il più normali possibile» (art 24 comma 4) sollecitando gli stati membri del Consiglio d’Europa all’applicazione delle stesse negli ordinamenti interni. Nell’ottica dell’accoglimento delle ERP, l’Ordinamento Penitenziario italiano riguardo ai rapporti dei detenuti con la famiglia all’art.28 dispone: «particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie».
Tra gli strumenti per il mantenimento delle relazioni familiari e che riguardano il caso di specie dei detenuti padri con figli minori, l’ordinamento prevede:
- I colloqui: per i detenuti comuni ampliati a 6 colloqui al mese dalla durata massima di due ore ciascuno salvo ricorrano particolari ragioni sanitarie o di sicurezza. Avvengono sotto il controllo a vista e non auditivo del personale di custodia e internamente ad apposite aree interne o esterne agli edifici così come disposto dal DPR 30 giugno 2000, n. 230 agli artt. 37 e 61 (al comma 2 introduce la possibilità di colloqui extra all’art.37 di durata più lunga con figli minori e in casi di fratture familiari);
- La Corrispondenza epistolare e telefonica: per i detenuti comuni le telefonate con la famiglia sono una a settimana e in occasione del rientro nell’istituto dal permesso o dalla licenza sebbene, così come disposto dal DPR 30 giugno 2000, n. 230 all’art. 39 comma 3 l’autorizzazione possa essere concessa in considerazione di motivi di urgenza o di particolare rilevanza, se la stessa si svolga con prole di età inferiore a dieci anni, nonché in caso di trasferimento del detenuto.
- Il sostegno economico alle famiglie: la Legge 230/2000 introduce due specifiche modalità. All’ Art.55 vengono disciplinati gli assegni per il nucleo familiare a carico dei detenuti e degli internati lavoratori. All’ Articolo 57 comma 2 si prevede che una parte del Fondo disponibile, o anche detto peculio, “può essere usato per invii ai familiari o conviventi, per acquisti autorizzati, per la corrispondenza, per spese inerenti alla difesa legale, al pagamento di multe, ammende o debiti e per tutti gli altri usi rispondenti a finalità trattamentali”.
- Permessi, permessi premio e detenzione domiciliare speciale:
Agli artt. 64 e 65 della Legge 230/2000 è disciplinata la particolare concessione dei Permessi e dei permessi premio, i quali sono concessi previa verifica della personalità del soggetto richiedente da parte dalla magistratura di sorveglianza o la competente autorità giudiziaria e sentito il parere della direzione. Il permesso, così come stabilito all’art. 30 dell’O.P., ha durata massima di 5 giorni e prevede la presenza della polizia penitenziaria per tutta la sua durata. Il permesso premio ha durata di più giorni e può essere eseguito presso il proprio domicilio o in altro luogo ospitante. La detenzione domiciliare speciale (in strutture adibite per detenute madri: ICAM e case-famiglia protette) è stata prevista con la legge n. 62 del 2011 con forme alternative di custodia delle detenute madri con prole inferiore ad anni 10 e con condanne inferiori ai 4 anni. All’art.47 quinquies comma 7 della Legge sull’ordinamento penitenziario n. 354/75 è previsto che anche al padre detenuto è possibile concedere la detenzione domiciliare speciale alle stesse condizioni previste per la madre, ma solo nei casi in cui “la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre”.
Sono molteplici le criticità riguardanti il mantenimento di regolari contatti familiari nei luoghi di pena e con particolare riguardo alla tutela del rapporto detenuto padre e figlio minore. Il primo e principale ostacolo consiste nella frammentarietà con la quale le diverse direzioni carcerarie attuano la norma, con il risultato di non venire applicata in maniera uniforme lungo tutto lo stivale. Dai risultati della ricerca svolta in Italia nel 2016 dall’Istituto di Studi sulla Paternità dal titolo “Paternità senza sbarre” emerge infatti un consistente divario tra gli istituti coinvolti con evidente disomogeneità nell’ organizzazione della vita penitenziaria e nell’approccio trattamentale. Riguardo le condizioni dei colloqui, dalla realtà carceraria emerge uno scarso rapporto dei detenuti intervistati con i figli. Il 41 % dei detenuti padri dichiara di vedere una volta al mese o addirittura meno i propri figli. Il 22% dichiara di non vederli mai. Il 50% si ritiene non soddisfatto delle modalità di come avvengono i colloqui (luogo e modo) con un gap di risposta che va da una soddisfazione pari dal 87% al 4%, a dimostrazione della diversità di condizione nelle carceri. In merito alla collaborazione di mogli o compagne sul favorire i colloqui dei figli minori con i padri non si rilevano grandi difficoltà. I padri separati o in via di separazione, invece, riferiscono di riscontrare maggiori difficoltà nel mantenere legami con i figli. Con la ricerca condotta dall’ISP si evidenzia un sostanziale gap rispetto alla norma.
Altri rilevanti risultati emersi dalla ricerca sulla “Paternità senza sbarre”[i] del 2016 riguardano la percezione delle corrispondenze telefoniche. Dal campione di detenuti-padri intervistati nelle carceri maschili italiane è stato rilevato come il telefono non sia uno strumento molto apprezzato per mantenere in vita gli affetti e in particolare il legame genitore-figlio. Infatti, il 43% dei detenuti padri sostiene che i 10 minuti di telefonata settimanale non sono sufficienti, utilizzando l’espressione “imbarazzante”. A ciò si aggiungono le difficoltà economiche di coloro che non riescono ad acquistare tutti i mesi schede telefoniche o pagare i servizi di posta elettronica (“la corrispondenza telefonica è effettuata a spese dell’interessato, anche mediante scheda telefonica prepagata”, art. 39 comma 8 legge 230/2000), rendendo impossibili maggiori occasioni di contatti telefonici familiari, laddove, soprattutto sussistano particolari necessità. Anche il sostegno economico alle famiglie si scontra con la realtà esigua dei detenuti, sia uomini che donne, impiegati in lavori alle dipendenze di soggetti privati esterni alle strutture carcerarie (circa il 3%, dati DAP) e dei lavoratori alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria (il 27% dei detenuti vi lavorano, dati DAP) che in totale costituiscono il 30% dei detenuti totali[ii].
Il secondo rilevante ostacolo al mantenimento del rapporto genitoriale durante la detenzione riguarda prettamente il riconoscimento della paternità in carcere. Il fenomeno della genitorialità in carcere, infatti, se si guarda al 95 % di componente maschile nelle carceri italiane rispetto all’esiguo 5% di componente femminile, interessa maggiormente la paternità. Paradossalmente, tuttavia, la paternità risulta molto meno tutelata rispetto al ruolo materno richiamato in numerose convenzioni internazionali (dalle Regole di Tokyo al Regolamento di Bangkok).
Riprendendo i dati della ricerca sopra menzionata, il 43% dei detenuti partecipanti allo studio dell’ISP si ritiene non soddisfatto di come il carcere favorisce il rapporto con i figli. Un numero consistente di padri in detenzione (70%) dichiara di non confidare regolarmente il proprio disagio collegato alla paternità con il personale educativo-trattamentale (specialmente educatrici e psicologhe). Ma la questione della paternità in carcere rientra in una problematica ben più generale delle carceri italiane che, come sostiene l’ex senatore Luigi Manconi, riguarda un sistema penitenziario estremamente gerarchico e infantilizzante in grado di ridurre il recluso “in una condizione di minorità e di minore età”[iii]. Si ritiene necessario, pertanto, partire da un cambio di ottica nell’opinione pubblica, nella politica e nelle istituzioni affinché si riconosca che il detenuto non è un individuo asessuato, bensì sensibile all’affettività. La paternità in carcere, così come la maternità, inoltre, va riconosciuta come parte del processo di responsabilizzazione che il reo ha nei confronti del reato, e che – come più volte ricordato- è la prima tappa verso il cambiamento, la rieducazione e il reinserimento nella società.
Ad oggi, se non vi sono politiche adeguate a supporto dell’amministrazione penitenziaria in tal senso, è essenzialmente perché manca una responsabilità politica sul fronte del riconoscimento della dignità dell’individuo in condizione di privazione della libertà personale e nei confronti dei capisaldi sanciti all’art. 27 Cost. La Riforma dell’Ordinamento Penitenziario del 2018 (D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 123- 124), sebbene abbia tentato di trovare una quadra con gli alti intenti del Tavolo 6 degli Stati Generali sull’Esecuzione Penale 2016-2017 voluti dall’allora Ministro Orlando, con la seguente previsione: «I locali destinati ai colloqui con i familiari favoriscono, ove possibile, una dimensione riservata del colloquio e sono collocati preferibilmente in prossimità dell’ingresso dell’istituto. Particolare cura è dedicata ai colloqui con i minori di anni quattordici» (Art. 18 comma 2 dell’O.P). Tuttavia, l’eccessiva genericità della norma, voluta dal legislatore con le locuzioni “ove possibile” e “preferibilmente”, non determina in che maniera tali “spazi dell’affettività” possano essere collocati in prossimità dell’ingresso degli istituti, in particolar modo per quelle strutture penitenziarie che non dispongono di spazi sufficienti sia dal punto di vista architettonico e strutturale, sia per questioni di inagibilità. È evidente quanto l’ultima Riforma dell’ordinamento penitenziario abbia consistito in una ulteriore occasione persa in termini di tutela dei legami affettivo-familiari riguardanti la genitorialità e dunque anche la paternità in carcere.
Bibliografia:
Pierpaolo Donati, Manuale di sociologia della famiglia, Editori Laterza, 2006.
Gwyneth Boswell, Peter Wedge, Imprisoned Fathers and their Children, Jessica Kingsley Publishers, London, 2002.
Joseph Murray, “The effects of inprisonment on families and children of prisoners” in The effects of imprisonment, Cullompton, Devon, England, 2015.
Normativa:
Convenzione Europea sui diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: https://www.echr.coe.int/Documents/Guide_Art_8_ENG.pdf
Costituzione della Repubblica Italiana: https://www.senato.it/documenti/repository/istituzione/costituzione.pdf
Decreto del Presidente della Repubblica, Regolamento 230/2000: https://www.normattiva.it/urires/N2Ls?urn:nir:presidente.repubblica:decreto:2000;230
Legge 21 aprile 2011, n. 62: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2011/05/05/011G0105/sg
Rec(2006)2-rev of the Committee of Ministers to member States on the European Prison Rules: https://search.coe.int/cm/Pages/result_details.aspx?ObjectId=09000016809ee581
Regole Penitenziarie Europee (ERP) Risoluzione n (73) 5 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa: https://rm.coe.int/CoERMPublicCommonSearchServices/DisplayDCTMContent?documentId=09000016804fac9a
Riforma dell’Ordinamento Penitenziario, Legge n.354 del 1975: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1975/08/09/075U0354/sg
Riforma dell’ordinamento penitenziario, D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 123-124: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/10/26/18G00149/sg ; https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/10/26/18G00150/sg
[i] Paternità senza sbarre, Padri detenuti: una ricerca sul campo, Istituto di Studi sulla Paternità (I.S.P), marzo 2016. Link al pdf della ricerca: http://lnx.ispitalia.org/wp-content/uploads/paternit%C3%A0-senza-sbarre.-Relazione.pdf?fbclid=IwAR29PkTr4DEeswf03iX-HTwimefJNpwyRj8MVkNtZWF6lrXXLaAJPa4PIWo
[ii] Situazione aggiornata al 30 Giugno 2020. Dati forniti dalla sezione “statistiche” sul sito del DAP www.giustizia.it
[iii] Intervento dell’onorevole Luigi Manconi in occasione della presentazione della ricerca dell’Istituto sulla Paternità ad opera di Maurizio Quilici: Paternità senza sbarre. Essere padri in carcere: una ricerca sul campo. Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica. Roma, 17 maggio 2016. Evento registrato e disponibile sul sito di Radio Radicale: https://www.radioradicale.it/scheda/475542/paternita-senza-sbarre-essere-padri-in-carcere-una-ricerca-sul-campo?_escaped_fragment_=slide