di Ada Marseglia *
L’emergenza sanitaria ha radicalmente stravolto in poco tempo la nostra visione del mondo, modificando in modo profondo le nostre vite, in tutte le sue articolazioni, compresa la Giustizia, che ha raggiunto uno dei livelli più critici della storia repubblicana.
Ci siamo trovati di fronte ad una drammatica situazione di straordinaria eccezionalità, scandita dalla legislazione di emergenza, che ha inciso profondamente e drammaticamente sulle famiglie separate, sui genitori in conflitto, sugli accordi economici delle famiglie divise, sull’aumento della violenza domestica e non ha risparmiato nemmeno i soggetti più deboli del sistema, i minori… Tutto ciò ha costretto i cittadini a tante limitazioni di diritti e possibilità di agire, tra cui quella di celebrare le udienze per tutelare i propri diritti in giudizio.
Sono un avvocato che si occupa di diritto di famiglia e, soprattutto, della famiglia in crisi, e non posso fare a meno di riflettere e condividere la preoccupazione dell’Avvocatura specializzata in area persone, relazioni familiari e minorenni per la paralisi “persistente” della Giustizia, in conseguenza dell’emergenza sanitaria.
E’ veramente singolare che mentre tutto sia ripartito, siano ripresi tanti settori produttivi, culturali, ricreativi e sportivi, sia ancora bloccata la fase di ripresa dell’attività giudiziaria, settori così importanti per la vita del Paese e delle singole persone. Ci sono segnali per la riapertura, ma ancora non chiari.
Le separazioni, i divorzi, i provvedimenti sul mantenimento e sull’affidamento dei figli con le loro conseguenti esecuzioni, sono praticamente “sospesi”, nonostante si tratti di procedimenti che hanno da sempre la propria peculiarità e specificità, tant’è che proprio per loro natura e definizione sono considerati “processi urgenti”, tanto che le relative udienze possono essere trattate anche in periodo feriale. Tranne limitate eccezioni vi è uno stop forzato, intollerabile per il sistema giudiziario che è presidio di democrazia che riguarda tutti i cittadini e che, pertanto, non può essere meno importante dei bar e dei ristoranti. I giudici, gli avvocati, i processi, sono “il diritto” del Paese e far funzionare la Giustizia significa “avere cura” dei diritti dei cittadini. E invece i Palazzi sono vuoti, le udienze rinviate. C’è il silenzio della Giustizia…
In verità la Giustizia costituisce una funzione fondamentale di uno Stato democratico, che comunque dovrà poter essere efficiente in qualunque situazione, anche “in caso di guerra o di altro pericolo pubblico che minaccia la vita della nazione”, tant’è vero che non è stata ferma nemmeno durante i conflitti mondiali. Il diritto alla salute è senz’altro prioritario, dato che non possiamo considerare ancora superato il problema epidemiologico, ma “priorità” non significa “esclusione” degli altri diritti. Non solo, ma tutti i diritti fondamentali tutelati all’interno della Carta costituzionale si trovano in reciproco “bilanciamento” e non è possibile individuarne uno che abbia la prevalenza assoluta sugli altri.
La Corte Costituzionale, qualche anno addietro, con una importante sentenza (n.85 del 9 aprile 2013) sul caso ILVA, ha affermato che “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri”. I principi posti a fondamento di quella sentenza evidenziano che nella nostra Carta costituzionale vi è un equilibrio, un “bilanciamento” tra interessi e diritti costituzionali e che – soprattutto – nella nostra Costituzione non è prevista una precostituita gerarchia di valori.
La stessa Corte Costituzionale, nella persona della sua Presidente Cartabia, è intervenuta per ricordare in una intervista pubblicata il 29 aprile del 2020 sull’ Ansa che la Costituzione “non contempla un diritto speciale per i tempi eccezionali, e ciò per una scelta consapevole, ma offre la bussola anche per “navigare per l’alto mare aperto” nei tempi di crisi, a cominciare proprio dalla leale collaborazione fra le istituzioni, che è la proiezione istituzionale della solidarietà tra i cittadini”.
E la politica deve avere la capacità di equilibrare le prescrizioni scientifiche con l’intero sistema, perché accanto ai valori della scienza vi sono altri valori da considerare, altri diritti che non spettano esclusivamente alla sfera cognitiva del mondo sanitario.
Le disposizioni emanate con i provvedimenti emergenziali hanno previsto una sovrapposizione infinita di atti normativi, per di più di non immediata chiarezza interpretativa. Il D.L. 8/03/2020, n.11 ha previsto la sospensione delle attività processuali dapprima sino al 22 marzo, il successivo d.l. 18/2000 ha sostituito il precedente, chiarendo alcuni dubbi interpretativi ed ha esteso il periodo di sospensione dell’attività giudiziaria sino al 15 aprile 2020. Il D.L. 23/2020 all’art.36 ha prorogato la sospensione dell’attività giudiziaria dal 15 aprile all’11 maggio 2020 e in data 23 aprile 2020 è stata approvata dal Parlamento la legge di conversione del d.l. 18/2020, cui sono state apportate rilevanti modifiche. Successivamente l’art.83 comma 3 lettera a) del D.L. 8/03/2020 ha previsto un rinvio generalizzato delle udienze con relativa eccezione dell’applicazione della sospensione dei termini processuali ad alcuni procedimenti familiari.
Diversi sono stati i punti controversi generati relativamente all’applicazione della norma relativa ai procedimenti esclusi dalla sospensione, in particolare per le “cause relative ad alimenti ed obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio e di affinità, (art.83 D.L. 18/2020”). I problemi sono stati aggravati anche relativamente alla distinzione tra la nozione di “alimenti” ed “obbligazioni alimentari” derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità.
A dirimere ogni difficoltà applicativa è intervenuta la relazione illustrativa al dl n.18 del 2020, che ha chiarito che il rinvio non si applica alle cause relative alle obbligazioni alimentari, secondo l’interpretazione di questo concetto fornita in sede comunitaria, per non limitare la trattazione alle controversie alimentari in senso restrittivo, ossia quelle afferenti ad uno stato di bisogno. Tale interpretazione, orientata dalla stessa relazione è stata ignorata, come del resto la stessa relazione, forse anche per il vertiginoso susseguirsi di atti normativi accentrati solo attorno ai dpcm, composti da innumerevoli pagine, spesso confuse e contraddittorie. In realtà anche secondo l’art. 1 del Regolamento n.4/2009 CE la nozione di “obbligazione alimentare” va intesa “inclusiva” dei diversi istituti della obbligazione di mantenimento e di quella di alimenti previsti nel nostro ordinamento e pertanto applicabile alle cause di separazione e divorzio ed alle modifiche delle condizioni di separazione e divorzio relative alla filiazione fuori dal matrimonio.
Successivamente la Legge di conversione 24/04/2020, n.27 del cit. D.L. 18/2020 Cura Italia, ha presentato un maxi-emendamento n.19/1000) che, al comma 3, lettera a) ha sostituito le parole “ai minori allontanati dalla famiglia e dalle situazioni di grave pregiudizio” con le parole “e ai minori allontanati dalla famiglia, quando dal ritardo può derivare un grave pregiudizio e, in genere, procedimenti in cui è urgente ed indifferibile la tutela dei diritti fondamentali della persona” aggiungendo successivamente le parole “per le cause relative ad alimenti o ad obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, matrimonio o affinità nei soli casi in cui vi sia pregiudizio per la tutela dei bisogni essenziali”.
Pertanto le udienze in materia familiare, in particolare quelle presidenziali relative all’adozione dei provvedimenti temporanei ed urgenti ex art. 708 cpc (assegnazione della casa, affidamento dei figli, la regolamentazione delle frequentazioni del genitore diritto di visita), ma anche quelle destinate alla modifica del contenuto di quell’ordinanza, ovvero l’adozione di provvedimenti che per loro natura hanno il carattere della urgenza e necessità, non dovrebbero rientrare in quelle sospese per l’emergenza sanitaria e quindi dovrebbero celebrarsi vertendo sui bisogni essenziali della vita delle persone. Abbiamo invece assistito ad un rinvio quasi generalizzato – salvi casi veramente eccezionali (es. Tribunale di Pisa) – e sono state individuate le “attività urgenti” con criteri molto discutibili, procurando lo slittamento di mesi – se non addirittura un anno – di omissione di ogni tutela. Vi è da aggiungere che la detta sospensione certamente costituisce violazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, riguardante il diritto alla vita familiare.
In una emergenza storica come quella attuale ogni ufficio giudiziario ha continuato a funzionare a macchia di leopardo, c’è chi ha riaperto, chi ha proceduto a singhiozzo e chi si affida esclusivamente ai mezzi telematici, con scarso risultato. Ciò perché la disciplina circa le modalità con cui sono state regolate le attività nella cosiddetta “fase 2” è stata lasciata in misura eccessiva alla discrezionalità dei singoli Capi degli Uffici Giudiziari e della Magistratura più in generale, con il risultato di centinaia protocolli e linee guida.
I tempi della Giustizia sono ancora imbrigliati in una miriade di linee guida – circa 500 – diverse per ogni singolo ufficio (o anche all’interno dello stesso ufficio) che molto spesso hanno interferito con le garanzie assicurate alle parti e alla loro difesa dalla disciplina processuale derivante dalla legge primaria e che hanno certamente contribuito a creare disordine istituzionale intorno ai palazzi di Giustizia chiusi per Covid.
E’ stata veramente “infelice” la scelta di lasciare all’autonomia dei singoli capi degli Uffici la facoltà di disporre protocolli/linee guida che, predisposti con l’intento di elaborare principi di carattere organizzativo, di fatto hanno comportato una “disomogeneità” delle regole, rischiando di creare differenti modalità di gestione del sistema giustizia nei vari Fori, che dovrebbe invece essere unitario, riguardando sia l’esercizio del diritto di difesa, che la funzione giurisdizionale! Molte delle linee guida emesse hanno precisato che la sospensione dei termini si applica anche ai procedimenti familiari (tranne che in una situazione dedotta o rilevata di pregiudizio), ma è pur vero che le stesse linee guida non possono essere considerate “norme” a tutti gli effetti e ciò ha sollevato molte preoccupazioni negli avvocati familiaristi, timorosi della eventuale responsabilità professionale derivante dal mancato rispetto dei termini processuali originariamente previsti.
La Corte di Cassazione, con una Relazione del 1 aprile 2020 (Procedimento civile- Emergenza epidemiologica da Covid-19- Misure urgenti per il contrasto- Decreto Legge n.18 del 2020) di fronte all’ “alluvionale” legislazione urgente dei mesi di febbraio e marzo dettata dall’emergenza epidemiologica da Covid-19, ha affermato “in definitiva aderendo ad una interpretazione conforme alla relazione illustrativa, che occorrerebbe ricomprendere nelle materie sottratte (alla sospensione)tutte le cause – e non sono certo un numero trascurabile – di separazione o divorzio, nelle quali si controverte sull’assegno di mantenimento in favore dei figli, dove l’aspetto assistenziale è in re ipsa, ovvero anche sulle pretese economiche del solo coniuge o dell’ex coniuge, quando questo onere abbia profili esclusivamente alimentari”
La materia familiare e minorile non è suscettibile di sospensione processuale, poiché rappresenta la forza dello Stato a tutela soprattutto dei più deboli e poiché interferisce con i diritti della persona e, in particolar modo con i diritti delle persone fragili. Anche la Cedu si è espressa in tal senso. Il caso in questione riguarda il tentativo di separazione di due coniugi, dal quale dipendeva anche il futuro di un figlio minore. In realtà Strasburgo ha intimato allo Stato italiano di discutere quanto prima una causa che era già stata rinviata a diversi mesi. Peraltro, per introdurre restrizioni straordinarie la CEDU prevede una clausola di deroga alla garanzia del rispetto di alcuni dei diritti garantiti dalla stessa.
Alcuni Paesi hanno presentato istanza di deroga, perché l’Italia non ha ritenuto di notificare la dichiarazione dello stato di emergenza al Segretario Generale del Consiglio d’Europa e chiedere deroghe alla CEDU? Forse si renderà necessario l’intervento delle Corti nazionali o internazionali per stabilire se non siano verificati abusi e violazioni che, troppo a lungo, hanno omesso di garantire una tutela giurisdizionale adeguata ed effettiva. Anche l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha ammonito i Paesi a rispettare lo stato di diritto, limitando nel tempo le misure eccezionali.
Gli avvocati familiaristi stanno vivendo un momento storico critico ed impegnativo in cui l’esercizio della professione è diventato veramente complesso. Oltre alla trattazione scritta e all’udienza a contatto, si sono dovute sperimentare nuove modalità di lavoro con la trattazione delle udienze mediante collegamento in videoconferenza sulla piattaforma Teams e Skipe e nuove diverse modalità di comunicazione, tramite dispositivi telematici e, tutto ciò, con molte difficoltà. Ovviamente, essendo le Linee guida diversificate per ogni Tribunale, il difensore innanzitutto ha necessità di reperire – per ogni contenzioso di cui si occupa – le Linee guida emanate dal Tribunale presso cui è pendente il procedimento, per poi correttamente applicarle! La farraginosità del meccanismo, i problemi di connessione, la garanzia della segretezza delle attività svolte in collegamento, l’impossibilità di certezze sul trattamento dei dati sensibili, l’assenza del contraddittorio reale, la smaterializzazione della camera di consiglio non possono essere considerati presupposti e modalità “garantiste”.
Gli operatori del diritto che lavorano in questo delicato e peculiare settore sanno bene che in materie come quelle del diritto di famiglia la presenza fisica davanti al giudice è imprescindibile, espressione concreta di quel principio di oralità del processo che assicura l’immediatezza del rapporto con il giudice e che contribuisce a formare il libero convincimento del giudice. Tutto questo non può avvenire con un’udienza da remoto, che è l’antitesi della “percezione diretta della realtà”.
Come è stato scritto molto efficacemente da un’autorevole magistrata, “L’interrogatorio libero delle parti ed il tentativo di conciliazione corrispondono in pieno alla descrizione di Antonio Tabucchi, al momento in cui il soffitto del planetario si apre e si ha un contatto, una percezione diretta della realtà, della vita che si svolge al di fuori e al di sopra dello scenario limitato del processo. Nell’interrogatorio libero tutti i protagonisti dismettono le proprie vesti di parti e giudice e diventano persone, non si parla di diritti, ma di bisogni, non si cercano sentenze, ma soluzioni ai problemi”.
Ecco perché i processi devono celebrarsi in Tribunale. Stiamo parlando di Giustizia e comunque dovrà essere garantito il diritto alla difesa attraverso la relazione della persona che non può o non è in grado di utilizzare strumenti telematici. La Giustizia è servizio pubblico, se ci sono strutture che non sono agibili, si attrezzino nuove aule, come si è fatto in tempo record per gli ospedali.
Certamente lo svolgimento del processo da remoto tutela la salute delle parti e può essere una modalità per eseguire adempimenti ordinari, ma la modalità a distanza non può sostituire il processo dal vivo, soprattutto nelle udienze aventi ad oggetto le relazioni familiari. L’eliminazione della fisicità del luogo d’udienza e delle relazioni tra i soggetti mina le fondamenta ed i principi costituzionali di garanzia e viola – per le modalità previste – le vigenti regole di protezione dei dati e di sicurezza informatica.
In realtà, è nell’ambito della udienza telematica che il ruolo ed i compiti dei protagonisti del processo – tra cui in particolare gli avvocati – sono più delicati e le responsabilità si ampliano. Ciò particolarmente per quanto concerne il processo familiare e minorile, ove il rapporto diretto fra il giudice e le parti private e tra il giudice ed il minore costituisce un aspetto del processo assolutamente “inderogabile”, avente fonte nella legge imperativa sanzionata con la nullità del processo in caso di violazione.
Venendo meno la presenza personale nelle aule di giustizia, gli attori del processo a distanza devono adottare misure organizzative di protezione dei dati personali riguardanti la controversia, che durante il collegamento telematico potrebbero – anche involontariamente – entrare nel contatto virtuale e quindi nella disponibilità di soggetti non legittimati. L’esigenza di garantire una tutela rigorosa al diritto alla riservatezza è ancora più incisiva e pregnante proprio nel diritto di famiglia, in cui la trattazione coinvolge informazioni sensibili (la salute, le origini, la sfera sessuale, la situazione reddituale). Ancora più incisiva se riguarda i minori, cosiddetti “soggetti deboli”, che purtroppo molto frequentemente non sono nemmeno considerati parti processuali.
Del resto, anche lo stesso Regolamento UE 2016/679 (GDPR) dispone che ciascun soggetto processuale, anche nella trattazione delle udienze da remoto, garantisca l’inviolabilità del luogo da cui viene effettuato il collegamento telematico con l’assenza di qualunque condizionamento esterno a tutela del diritto alla riservatezza e del corretto funzionamento della giustizia. Le tecnologie, in realtà, non sono state d’aiuto, innanzitutto perché i cancellieri non hanno facoltà di accedere ai fascicoli da remoto, ma anche per la mancanza di personale tecnico qualificato.
C’è la paura dilagante che si intendano stabilizzare alcune delle misure processuali sperimentate in questo periodo emergenziale, come appunto il processo da remoto! Ma proprio in questo momento di crisi “l’umanità non deve perdere la sua umanità”. E il concetto di “umanità” è inscindibilmente legato a quello dei diritti umani, che ci differenziano dal resto degli esseri viventi. Vi è il rischio di “disumanizzazione” del processo, perché come diceva Piero Calamandrei “Il rispetto della giustizia sta sempre in una maggiore umanità e in una sempre maggiore vicinanza umana tra avvocati e giudici nella lotta contro il dolore”. Di dolore nelle controversie familiari ce n’è tanto e non può trovare certo un ostacolo nello schermo di un pc.
Alla mancanza di coordinamento degli uffici giudiziari e all’applicazione diversificata della normativa emergenziale il Consiglio Superiore della Magistratura e il Consiglio Nazionale Forense hanno elaborato alcune direttrici lungo le quali si muovono le Linee guida, “cercando un equilibrio fra due esigenze: da un lato la sospensione ed il rinvio dell’attività processuale per azzerare il rischio contagio, dall’altro la neutralizzazione degli effetti negativi sulla tutela dei diritti”(dichiarazione del V.P. CSM David Ermini).
Partendo dal presupposto che tutti i procedimenti in materia di famiglia sono intrinsecamente connotati da urgenza, il CNF ha individuato modalità per procedere laddove non sia possibile celebrare l’udienza in presenza in Tribunale, ma non sia neppure possibile rinviarla. Nello specifico sono state predisposte specifiche linee guida per i procedimenti di natura consensuale, procedimenti di natura contenziosa, ricalendarizzazione delle udienze fissate nel periodo di sospensione e negoziazioni assistite.
Si è ritenuto opportuno contemperare la tutela di due diritti costituzionali fondamentali, ovvero, da un lato le esigenze di tutela della salute pubblica (art. 32 della Costituzione) e dall’altro quelle della tutela della famiglia (art, 29 e 30 della Costituzione).
Nella crisi sono aumentati i conflitti e sono emerse nuove questioni giuridiche e in tempi in cui le famiglie sono diventate fragili, le coppie instabili e costrette a una convivenza forzata, le case luogo di conflitti permanenti, se non di trattamenti disumani dovuti all’incremento della violenza domestica, è imprescindibile che la Giustizia risponda efficacemente, a pieno regime.
Ci auguriamo un auspicabile ritorno graduale verso regole processuali ordinarie nel pieno rispetto dei principi costituzionali del diritto di azione, del diritto di difesa, del contraddittorio, nel principio dell’oralità del processo. Si osservino tutte le misure di protezione, si osservino tutti i distanziamenti necessari, ma siamo in un campo molto serio della democrazia per poter aggiungere discussioni interpretative su come e se andare avanti, argomenti drammatici che minano la credibilità del mondo giudiziario.
Se non vogliamo che il valore della Giustizia nella società contemporanea esca mutato da questa crisi dell’umanità, si deve agire. E anche subito… Questa crisi non può essere fronteggiata sacrificando diritti che ci è costato conseguire.
* Avvocatessa. ISP Bari.