di Silvia Canali *
Il tema della sottrazione internazionale di minori è un fenomeno patologico del contenzioso familiare transfrontaliero in forte espansione come conseguenza della aumentata mobilità delle famiglie attraverso le frontiere.
E’ evidente che a fronte di un fenomeno che coinvolge almeno due diverse giurisdizioni la normativa unilaterale dei singoli Stati non può dare risposte adeguate ed efficienti. Solo meccanismi multilaterali di cooperazione giudiziaria tra Stati diversi, infatti, possono permettere di attuare l’obiettivo del rientro immediato del minore sottratto nello Stato d’origine.
Tale obiettivo è perseguito in primis dalla Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, ratificata e resa esecutiva in Italia con Legge 15 gennaio 1994 n. 64, le cui disposizioni sono rafforzate da quelle della convenzione dell’Aja del 1996 sulla tutela dei minori (l’Italia ha proceduto nel 2015 – ultima tra gli Stati membri – alla ratifica e all’esecuzione della Convenzione dell’ Aja del 19.10.1996 sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori). Su tale normativa internazionale si innestano, nei rapporti tra gli Stati membri dell’Unione, le norme del Reg. europeo n. 2201 del 2003 e il più recente Reg. n. 1111 del 2019 che entrerà in vigore in tutti i Paesi dell’Unione il 1° agosto 2022.
Il caso Eitan e la Convenzione dell’Aja del 1980
La dolorosa vicenda del piccolo Eitan, vittima prima del tragico incidente della funivia del Mottarone in cui ha perso i genitori e il fratellino, e poi dell’illecita quanto improvvida iniziativa del nonno materno che lo aveva portato con sé in Israele senza l’autorizzazione della zia paterna in quel momento affidataria in via provvisoria, consente di soffermarsi sinteticamente sul funzionamento dei meccanismi della Convenzione dell’Aja, connotata dal favor per il ritorno – nel più breve tempo possibile – del minore nel Paese dal quale è stato allontanato e nel quale aveva la residenza abituale, dovendo intendersi per questa il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza ha consolidato, consolida, ovvero, in caso di recente trasferimento, possa consolidare una rete di affetti e relazioni tali da assicurargli un armonico sviluppo psicofisico. La Convenzione dell’Aia del 1980 si applica nelle relazioni tra gli Stati che l’hanno firmata o vi hanno aderito, sempre che l’adesione sia stata accettata dagli altri Stati. La prospettiva della Convenzione dell’Aja è esclusivamente civilistica, escludendo espressamente norme punitive penali, anche se molte legislazioni nazionali prevedono il fatto come reato.
Il procedimento che si instaura ai sensi della convenzione dell’Aja, in caso di accoglimento della relativa domanda, porta all’emissione di un ordine di rientro avente natura “cautelare” e con oggetto il ripristino della situazione di fatto preesistente alla sottrazione, ma non integra anche una decisione sull’affidamento del minore. Le norme della convenzione mirano quindi a ricostruire, il più in fretta possibile e con il minor numero di ostacoli, lo status quo precedente alla sottrazione, per poi rimettere al giudice dello Stato da cui il minore è stato sottratto ogni decisione in merito alla responsabilità genitoriale sul minore stesso, alla sua collocazione e alla regolamentazione dei rapporti con ciascuno dei due genitori.
La Convenzione dell’Aja, pur ponendosi come obiettivo fondamentale il rientro immediato del minore sottratto, all’art. 13 stabilisce alcune eccezioni, ovvero il rientro potrà essere negato, in particolare, qualora chi si oppone al ritorno dimostri:
- a) che la persona, l’istituzione o l’ente cui era affidato il minore non esercitava effettivamente il diritto di affidamento al momento del trasferimento o del mancato rientro, o aveva consentito, anche successivamente, al trasferimento o al mancato ritorno, o:
- b) che sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile ovvero
- c) se si accerti che il minore si oppone al ritorno, e che ha raggiunto un’età ed un grado di maturità tali che sia opportuno tener conto del suo parere.
Sul piano operativo, il sistema della Convenzione dell’Aja si poggia sulle c.d. Autorità centrali (art. 6), che, in ogni Stato contraente, sono incaricate di adempiere agli obblighi imposti dalla convenzione e che collaborano tra loro per garantirne l’attuazione. L’intervento di tali Autorità consente, inoltre, di garantire la gratuità del procedimento per la parte “vittima” della sottrazione.
In base all’art. 16, dopo aver ricevuto notizia di un trasferimento illecito di un minore o del suo mancato ritorno ai sensi dell’art. 3, le autorità giudiziarie o amministrative dello Stato contraente nel quale il minore è stato trasferito o è trattenuto, non possono deliberare sul merito dei diritti di affidamento fino a quando non sia stabilito che le condizioni della convenzione, relativa al ritorno del minore sono soddisfatte. Ciò anche al fine di impedire, almeno temporaneamente, alle corti dello Stato in cui il minore è stato portato o è trattenuto di pronunciarsi sul merito del suo affidamento, frustrando così eventuali tentativi di “scelta del foro competente e sottrazione al giudice naturale” del genitore responsabile della sottrazione.
La convenzione non fornisce ulteriori dettagli sul procedimento da seguire nello Stato membro in cui si trova il minore ai fini della decisione sull’istanza di rientro. Essa si limita a stabilire che l’Autorità centrale dello Stato “di rifugio” debba prendere o fare prendere ogni adeguato provvedimento per assicurare la riconsegna volontaria del minore stesso (art. 10) e che il procedimento deve inoltre svolgersi in tempi rapidi.
La sottrazione internazionale di minori nell’Unione Europea e il Regolamento UE n. 2201/03
Il legislatore europeo, con il Regolamento n. 2201 del 2003 (Bruxelles II bis), ha introdotto disposizioni integrative e in parte modificative di quelle della Convenzione dell’Aja per le ipotesi di sottrazione da uno Stato membro ad un altro Stato membro, con meccanismi più rigorosi al fine di dare massima implementazione al principio del rientro automatico del minore nello Stato d’origine. Il regolamento Bruxelles II bis, in base al suo art. 59, nei rapporti tra gli Stati membri, si sostituisce a tutte le normative convenzionali già in vigore tra tali Stati prima della sua entrata in vigore e esso prevale anche su alcune importanti convenzioni multilaterali tra le quali la Convenzione dell’Aia del 25 ottobre 1980. Anche se, a ben vedere, il Regolamento n. 2201 non si sostituisce alla Convenzione del 1980, ma, semmai, la integra poiché in sostanza, l’obiettivo comune è quello di dissuadere le sottrazioni di minori tra Stati, e, in caso di sottrazione, come evidenziato dall’art. 1 della convenzione, di ottenere il ritorno immediato nello Stato di residenza abituale dei minori infra-sedicenni (art. 4) illecitamente trasferiti o trattenuti in qualsiasi Stato contraente nonché l’effettivo rispetto negli altri Stati contraenti dei diritti di affidamento e di visita previsti in uno Stato contraente.
Come la Convenzione, anche il regolamento n. 2201 esprime l’urgenza di decidere sull’istanza di rientro, affermando a sua volta che l’autorità giurisdizionale adita deve procedere al pronto trattamento della domanda, utilizzando le procedure più rapide previste nella legislazione nazionale: salve circostanze eccezionali, in effetti, il provvedimento dovrebbe essere emanato entro sei settimane. Ma il profilo più rilevante è che la normativa europea “supera” la convenzione del 1980, mirando ad escludere conflitti tra le decisioni emesse nello Stato di origine ed in quello di c.d. rifugio, attribuendo, a tal fine, prevalenza esclusiva ai provvedimenti sul rientro del minore emessi nel primo Stato ed escludendo che le corti dello Stato in cui si trova il minore possano neutralizzare tali provvedimenti con proprie decisioni di segno contrario. In caso di valutazioni divergenti tra il giudice della residenza abituale del minore e quello del luogo in cui egli è stato portato illegalmente, infatti, è previsto che sia il primo a decidere sul ritorno del minore stesso, senza interferenze da parte del secondo. In questo modo, si cerca di frustrare le aspettative di quei genitori che, dopo aver portato illecitamente un minore all’estero, ne chiedano poi l’affidamento alle autorità del paese ove questi è stato condotto, per ottenere una sorta di ratifica ex post del proprio operato. Ovviamente, tali norme comuni possono operare solo qualora lo Stato di origine e quello di “rifugio” del minore appartengano entrambi all’Unione. Esse, inoltre, vengono in rilievo solo in caso di applicazione dell’art. 13 della Convenzione del 1980.
Le innovazioni del regolamento UE n. 1111 del 2019
Le norme appena esaminate sono destinate ad essere superate a breve da una nuova disciplina uniforme europea. Dal 1°agosto 2022, infatti, il regolamento n. 2201 sarà sostituito dal regolamento (UE) n. 2019/1111. Sebbene il regolamento Bruxelles II bis sia considerato, globalmente, uno strumento efficace, l’esperienza applicativa ha messo in evidenza alcuni problemi che il legislatore europeo ha inteso affrontare con una revisione di tale regolamento, in particolare al fine di dare migliore protezione all’interesse superiore del minore.
Il nuovo regolamento Bruxelles II ter ha introdotto importanti novità come, ad esempio, le nuove norme in materia di sottrazione di minori che consentono al giudice dello Stato di rifugio di disporre i provvedimenti cautelari più opportuni per garantire il ritorno sicuro del minore. Queste dovrebbero ridurre i casi in cui si giustifica il diniego di ordinare il ritorno stesso oppure le revisioni introdotte in caso di diniego di ritorno, laddove si prevede lo svolgimento, nello Stato d’origine, di un procedimento sulla responsabilità genitoriale e non un mero riesame della decisione straniera di diniego, anche se ciò di per sé potrebbe ostacolarne l’“automatica” esecuzione.
Non è questa la sede per compiere una più approfondita disamina del nuovo Regolamento europeo ma si potrà tornare utilmente sull’argomento alla luce delle applicazioni pratiche successive alla sua entrata in vigore. Tuttavia si può anticipare l’impressione che le nuove disposizioni, con la migliore intenzione di ottimizzare l’efficacia esecutiva delle decisioni degli Stati membri, nel tentativo di bilanciare opposte esigenze, possano portare al risultato opposto, con l’aggravante che già adesso in questo contesto specifico si avverte il problema dell’ineffettività dei provvedimenti attraverso le frontiere, con il rischio concreto di mandare in corto circuito il sistema se le corti nazionali non sapranno operare con maturità e in modo collaborativo.
* Avvocato. ISP Roma