di Silvana Bisogni *
E’ entrata nel linguaggio comune la definizione “dolce attesa” per indicare le donne in stato di gravidanza, in attesa della nascita di un figlio. Ma per ogni madre in attesa, c’è anche un padre in dolce attesa, condizione questa generalmente poco considerata, anche se negli ultimi anni varie ricerche hanno dimostrato il ruolo fondamentale del papà durante la gravidanza, durante il parto e nel periodo immediatamente successivo.
Il tema di questo articolo prende spunto dall’avvio del progetto transnazionale PARENT (Promotion, Awareness Raising and Engagement of men in Nurture Transformations – Promozione, sensibilizzazione e coinvolgimento degli uomini in processi di trasformazione delle pratiche di accudimento) finanziato dal Programma Rights, Equality and Citizenship della Commissione Europea, di notevole importanza per la valorizzazione del ruolo paterno durante la gravidanza, il parto e nel percorso nascita. L’informazione sui media (compresi i social) su questo progetto è stata del tutto assente. Il progetto, della durata di due anni, viene realizzato in Austria, Italia, Lituania e Portogallo, ed è coordinato dal Centro de Estudos Sociais (CES) dell’Università di Coimbra. In Italia l’Istituto Superiore di Sanità collabora con Il Cerchio degli Uomini di Torino, l’associazione che coordina il progetto in Italia[1]
Nella presentazione del progetto sul sito di EPICENTRO, l’idea alla base di PARENT è che promuovendo la parità di genere e un’equa condivisione tra uomini e donne dei carichi di lavoro familiare non retribuito, è possibile contribuire a produrre un cambiamento culturale di fondo della società, creando i presupposti per la fine di ogni tipo di discriminazione, sfruttamento e violenza verso le donne. Gli obiettivi specifici sono:
- promuovere un cambiamento, nelle pratiche e nella cultura, sui ruoli di genere nella cura
- ridurre i divari fra i Paesi dell’UE nel coinvolgimento dei padri nelle cure paterne e i congedi, in una ottica di co-parenting
- migliorare la percezione dell’importanza del coinvolgimento degli uomini nelle strategie per combattere la violenza maschile
- promuovere la paternità partecipe
- sensibilizzare sui temi della violenza contro le donne e i/le bambini/e.
Il percorso formativo è strutturato in 4 moduli teorico-pratici della durata di 4 ore ciascuno. Il primo modulo introduttivo ha l’obiettivo di promuovere i contenuti-chiave e costruire un linguaggio comune relativamente alla funzione paterna, al ruolo del padre per lo sviluppo del bambino e alla prevenzione della violenza maschile. I tre moduli successivi, pratici ed esperienziali, sono finalizzati alla promozione di riflessioni sulla pratica professionale e di modalità operative per il coinvolgimento attivo dei padri, la prevenzione e il riconoscimento della violenza maschile nelle diverse fasi del percorso nascita (gravidanza, nascita e la nuova famiglia).
La premessa dedicata al progetto PARENT consente di centrare il tema di questo articolo: il ruolo del partner/padre, durante il delicatissimo periodo della gravidanza e dell’accompagnamento al percorso della nascita, soprattutto se si tratta del primo figlio. Esiste una vastissima letteratura scientifica sul ruolo del padre “dopo” la nascita del figlio/a. E’ invece molto più ridotta la letteratura dedicata al coinvolgimento paterno: dalla partecipazione agli incontri di accompagnamento alla nascita e alle visite prenatali fino alla scoperta delle competenze fetali e neonatali, alla presenza, secondo i tempi e i modi desiderati dalla coppia, a tutte le fasi del travaglio, del parto e del post-parto.
Ma quanti sono i partner/padri che partecipano ai corsi di accompagnamento al parto e sono, poi, presenti alla nascita del figlio in sala parto? E’ opportuno richiamare la svolta epocale avvenuta nel percorso della nascita, almeno in Italia. Fino agli anni 60 le gravidanze e le nascite erano considerate a livello di “cose da donne”. I mariti/partner/padri seguivano da “lontano” l’evolversi delle gravidanze. I parti avvenivano generalmente in casa, alla presenza dell’ostetrica e solo in qualche caso di un medico, molto raramente in ospedale e solo in caso di difficoltà. I neo padri attendevano fuori della porta della stanza il primo vagito del figlio e riprendevano le proprie attività, senza alcuna differenza comportamentale nei vari ceti sociali.
Poi dagli anni ’70 la situazione si è totalmente capovolta: soprattutto le nascite sono divenute un “fatto pubblico”, con la scelta di partorire in strutture sanitarie, pubbliche o private, che potessero garantire non solo una assistenza adeguata, ma anche la prevenzione dalla mortalità infantile e/o materna. Tutto ciò ha comportato un sensibile miglioramento delle condizioni dell’assistenza, una reale diminuzione della mortalità, un maggiore adeguamento alle esigenze delle madri anche nelle fasi post-partum. Di contro, si è verificata una medicalizzazione del parto, che ha cambiato anche l’approccio delle strutture sanitarie all’accompagnamento alla nascita, con una conseguente “riorganizzazione” interna, che ha provocato, tra l’altro, un aumento esponenziale dei parti cesarei, tutti programmabili anche quando non espressamente legati a problemi clinici. La percentuale di parti che si verificano con taglio cesareo è uno degli indicatori sulla Salute Riproduttiva adoperati a livello internazionale ed è inserita tra gli indicatori di efficacia ed appropriatezza selezionati dalla Direzione Generale della Programmazione Sanitaria del Ministero della Salute italiano[2].
Parallelamente a questo radicale cambiamento delle donne, si è verificato anche un altro cambiamento, egualmente radicale: quello dei partner/padri che hanno iniziato a seguire in modo molto più diretto il percorso della nascita del figlio. Mi riferisco in particolare alla partecipazione ai corsi di accompagnamento al parto (comunemente definiti “corsi pre-parto”) e alla presenza in sala parto per assistere alla nascita del figlio.
Non esistono dati certi sulla frequenza dei padri nei corsi di accompagnamento alla nascita. Eppure tali corsi sono numerosi e promossi da vari tipi di organizzazioni: reparti di Ostetricia di ospedali e case di cura private, Consultori familiari tramite gli IAN (Incontri di Accompagnamento alla Nascita), molte ASL, numerose associazioni e reti di associazioni, promossi in genere da ostetriche, con ginecologi, pediatri, psicologi, nutrizionisti e altre figure mediche. Gli Incontri di Accompagnamento alla Nascita rappresentano una preziosa opportunità per potenziare la prevenzione primaria in molteplici direzioni:
- favorire una cultura della nascita in sintonia con i ritmi naturali del parto e i bisogni affettivi della coppia e del bambino;
- ridurre il ricorso al taglio cesareo;
- promuovere condizioni di protezione rispetto agli incidenti domestici;
- diffondere la pratica dell’allattamento al seno;
- prevenire condizioni di vulnerabilità psico-sociale della coppia o del singolo;
- prevenire i disturbi della coppia;
- migliorare il benessere psico-affettivo del bambino, della neo-mamma e della coppia genitoriale.
In genere gli incontri sono organizzati a partire dalla ventesima settimana di gestazione, comunque durante il secondo trimestre della gravidanza. Il numero varia da cinque ad un massimo di dieci-dodici, con cadenza mensile e o bisettimanale. Vi partecipano gruppi più o meno numerosi di donne e i rispettivi partner (alcuni corsi privati a pagamento offrono invece un’organizzazione ad hoc e la possibilità, per l’ostetrica, di seguire ogni mamma one-to-one). Durante gli incontri sono svolte attività pratiche (esercizi corporei tra i partner, massaggi in previsione del travaglio oppure esercizi manuali per capire la posizione e la presentazione dei bimbi nel grembo materno) e, soprattutto, viene svolto un percorso educativo di informazione e di sostegno alle donne e ai loro partner che li porterà a diventare genitori: il corso preparto, infatti, risponde all’esigenza della coppia di ricevere informazioni riguardo alla gravidanza, al parto, all’allattamento e all’accudimento del bambino.
La proposta di questi corsi si adatta anche a specifiche esigenze, come ad es. la possibilità di seguire il corso anche in situazioni come quella dell’epidemia da COVID 19, soprattutto in presenza della sospensione dei corsi pubblici, sulla base delle disposizioni dell’ISS. Sono state numerose infatti le proposte di corsi preparatori on line da varie piattaforme web. È una modalità che, ovviando alla situazione problematica, consente alla coppia totale libertà di scelta per quanto riguarda giorni e orari di svolgimento.
Torniamo alla domanda precedente: quanti sono i padri che effettivamente partecipano ai corsi di accompagnamento alla nascita? I dati sono assolutamente carenti e si possono trovare indicazioni solo indirette. Un’indagine ISTAT (campionaria multiscopo, che ha compreso oltre 60 mila famiglie) e l’indagine conoscitiva sul percorso nascita realizzata all’Istituto Superiore di Sanità (ISS) in collaborazione con 60 Aziende Sanitarie Locali (ASL) di 15 regioni e in due province autonome italiane ha evidenziato differenze territoriali nell’accesso ai corsi di accompagnamento alla nascita (CAN).
I corsi sono prevalentemente frequentati da donne di età ≥30 anni, istruzione superiore, laureate (65,5%), assistite durante la gravidanza dal Consultorio familiare o dall’ostetrica, residenti nel Nord Italia e nel Centro (40%) mentre nell’Italia Meridionale e nelle Isole sono rispettivamente 12.7% e 14.9%. Fattori di minore partecipazione sono: condizione di casalinga, di pluripara, soprattutto con precedente esperienza di taglio cesareo, gravidanza patologica e residenza al Sud. Appare evidente che i CAN sono meno frequentati proprio da quei sottogruppi di popolazione che ne trarrebbero verosimilmente maggiori vantaggi, come la popolazione immigrata e quella con minore scolarizzazione.
Non emergono dati specifici della presenza dei partner/padri nei corsi di accompagnamento alla nascita. Anche sulla presenza dei padri in sala parto i dati sono molto limitati. Secondo il Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, nell’indagine “Multiscopo sulle famiglie: aspetti della vita quotidiana (Rapporto ISTISAN 12/39) in Italia le donne hanno accanto a sé al momento del parto (esclusi i cesarei) nel 92,7% dei casi il padre del bambino, nel 5,8% un familiare e nell’1,5% un’altra persona di fiducia. La presenza di una persona di fiducia piuttosto che di un’altra è influenzata da motivi culturali e dall’area geografica.
La carenza di dati su questi argomenti invita a riflettere sulla importanza e la validità di quanto proposto e realizzato nell’ambito del citato progetto PARENT. Il problema di un sostegno “educativo” e culturale per i padri è evidente, tale da richiamare l’attenzione per un effettivo ampliamento dell’esperienza in tutto il territorio nazionale, soprattutto nelle aree meridionali, in cui la partecipazione ai percorsi di nascita sono carenti anche per le donne.
E’ evidente che i padri vivono l’attesa del figlio e la gravidanza di riflesso: la percezione della gestazione è esclusivamente visiva e la consapevolezza di essere a tutti gli effetti un genitore avviene – notoriamente – nell’esatto istante in cui nasce il bambino/a. Per questo motivo il percorso nascita costituisce una reale esperienza di inclusione. Scoprendo i meccanismi della gravidanza, ascoltando informazioni su travaglio e parto e apprendendo i rudimenti sulla cura del figlio, i futuri padri hanno la possibilità di vivere in modo più diretto i nove mesi del percorso che li porterà poi a conoscere il proprio bambino. Incontro dopo incontro, un uomo riuscirà a maturare gradualmente la sua nuova identità di padre, abituandosi lentamente a farla propria. Sarà in tal modo e realmente “padre in dolce attesa”.
- Sociologa della famiglia. ISP Roma
[1] L’Associazione “Il Cerchio degli Uomini”, attiva da oltre 20 anni, promuove percorsi, servizi e iniziative per il cambiamento del maschile tramite il superamento del modello patriarcale maschilista. La sua mission è la costruzione di una società in cui uomini e donne possano vivere insieme nel reciproco rispetto, riconoscendo le proprie differenze ma con gli stessi diritti e gli stessi doveri, nella sfera pubblica come in quella privata.
[2] Secondo il Rapporto ISTAT (2014) negli ultimi venti anni la frequenza del parto cesareo è molto aumentata in Italia: si è passati da 11,2% nel 1980 a 33,2% nel 2000, 36,3% nel 2013, valore molto più elevato rispetto alla media europea (26,7%) e a quelli di altri Paesi europei (per esempio 21,5% in Inghilterra e Galles, 17,8% in Spagna, 15,9% in Francia) e del 10-15% rispetto a quanto raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Esiste, inoltre, una notevole variabilità regionale tra il 18,7% nella Provincia di Bolzano e un massimo di 53,4% in Campania nel 2000. I maggiori aumenti si sono osservati nell’Italia del Sud (da 8,5% del 1980 a 53,4% nel 2000 in Campania e da 7,1% a 37,6% in Calabria). Valori più elevati di ricorso al taglio cesarei e incrementi maggiori negli anni si sono riscontrati nelle cliniche private.