di Silvana Bisogni *
E’ una tradizione ormai secolare, rivolgersi ai sacerdoti chiamandoli “padre”, riconoscendo nel loro servizio alla Chiesa e al suo popolo e alla loro missione una indiscussa “paternità spirituale”.
Ma episodi sempre più denunciati di pedofilia di cui sono accusati persone consacrate hanno squarciato il velo di silenzio anche su un altro fenomeno finora tabù e inquietante per la Chiesa Cattolica: il riconoscimento dell’esistenza di figli nati da relazioni sessuali di sacerdoti. Realtà sempre e costantemente negata dalla Chiesa, che ha fatto della castità e dell’astinenza sessuale dei consacrati una sua bandiera ormai millenaria di dedizione totale, anima e corpo, alla missione sacerdotale e religiosa.
Una premessa. Esiste una differenza sostanziale nella condizione dei vari operatori pastorali (vescovi, sacerdoti, diaconi permanenti, religiosi non sacerdoti professi e religiose): monaci e monache, al momento della professione dei voti, fanno voto di castità perpetua. I sacerdoti fanno voto di celibato, che in termini reali indica la rinuncia al matrimonio e alla convivenza.
In concreto, la questione è sempre stata presente: si sa con certezza che gli Apostoli erano sposati e con figli (tranne San Giovanni): di San Pietro in un testo viene ricordata la suocera. Ma fin dagli inizi della vita della Chiesa era valorizzata l’osservanza di una continenza totale anche nei riguardi delle proprie mogli, a partire dal Concilio di Elvira (306) che sancì, nel suo canone 33, che ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi era proibito avere relazioni sessuali con le proprie mogli e generare figli. Questa prassi è stata confermata anche in successivi Concili.
Eppure anche nella Chiesa antica l’astinenza sessuale non fu sempre rispettata. Risulta che S. Gregorio Nazianzieno (330-389) patriarca di Costantinopoli, era figlio di un vescovo. San Patrizio, il santo dell’Irlanda, era figlio di un diacono britannico, a sua volta figlio di un presbitero. Da molte iscrizioni tombali di presbiteri e di vescovi dei primi seicento anni di cristianesimo risulta che essi erano sposati con figli.
L’obbligo del celibato fu sancito definitivamente dal Concilio Lateranense I (1123) “Proibiamo nel modo più assoluto ai presbiteri, diaconi, suddiaconi di vivere con le concubine o con le mogli, e di coabitare con donne diverse da quelle con cui il concilio di Nicea (can. 3) ha permesso di vivere soltanto per ragioni di necessità, cioè: la madre, la sorella, la zia paterna o materna, o altre simili, sulle quali onestamente non possa sorgere alcun sospetto”.
Ma la realtà è stata profondamente diversa. Anche dopo il voto di castità e di celibato, molti consacrati hanno avuto relazioni sessuali e, di conseguenza, anche dei figli. Uno dei casi più famosi è quello di Alessandro VI, la cui fama di libertino fu notevole: ebbe molti figli, tra cui Lucrezia e Cesare Borgia, a loro volta molto famosi per la loro vita tumultuosa.
Nella sua storia millenaria, la Chiesa cattolica ha sempre opportunamente negato la pratica sessuale dei consacrati, divenuti poi padri o madri nel corso della loro vita religiosa: un velo ha sempre coperto i vari casi, con il richiamo sempre al voto di castità e alla dedizione unica e assoluta a Dio e alla Chiesa da parte di tutti i suoi figli consacrati.
Peraltro anche in tempi recenti i Pontefici hanno ribadito la loro posizione nei confronti della prassi del celibato e della castità: da Paolo VI (Enciclica Sacerdotalis caelibatus), a Giovanni Paolo II, a Benedetto XVI (Sacramentum Caritatis) fino a Papa Francesco, che di recente (28 gennaio 2019) ha sostenuto “Penso che il celibato dei preti sia un dono alla Chiesa” e non ci sarà un cambiamento per consentire ai sacerdoti di sposarsi, come già avviene nella Chiesa cattolica di rito orientale. “Io non lo farò, questo cambiamento, è chiaro”.
Non è competenza di questo articolo fare riferimenti giuridici e teologici all’argomento, né evidenziare le differenze – che pure esistono – con le altre espressioni religiose nell’ambito del Cristianesimo (ad es. le Chiese cattoliche orientali), A noi interessa evidenziare l’entità di un fenomeno, che lentamente, ma costantemente sta emergendo, spesso con episodi inquietanti: la realtà della vita sessuale dei consacrati e le conseguenze derivanti dalla nascita di figli.
Il velo di silenzio sulla vita e sugli orientamenti sessuali del clero e dei consacrati ha iniziato a squarciarsi intorno agli anni ’70 del XX secolo, quando negli Stati Uniti furono presentate le prime denunce alle diocesi per i casi di pedofilia. Fino ad allora il fenomeno della pedofilia era sempre stato limitato alle denunce presentate ai vescovi, che in molte occasioni avevano poi provveduto a nascondere i fatti e a coprire i responsabili. Il fenomeno poi è cresciuto negli anni anche per la vasta eco mediatica e una considerevole attenzione da parte dell’opinione pubblica internazionale a partire dal 2002 e in particolare tra il 2009 e il 2010: la Chiesa ha dovuto prenderne atto e riconoscere i casi più eclatanti. Non solo: numerose diocesi sono state anche costrette a risarcire economicamente le vittime della pedofilia.
Altro problema emerso quasi contemporaneamente è stato quello della omosessualità di sacerdoti e consacrati: anche in questo caso è stata ampia l’eco mediatica, ma è risultata più contenuta e comunque più sfumata sia per la quasi totale assenza di denunce, sia perché il problema è meno soggetto a stime quantitative.
Ma torniamo al tema centrale dell’articolo: la questione delle paternità dei sacerdoti e dei consacrati.
Secondo l’Annuarium Statisticum Ecclesiae, in Italia attualmente sono attivi 47.560 sacerdoti, di cui 31.956 diocesani e 15.604 religiosi).
Quanti sono i sacerdoti che hanno abbandonato l’abito talare e sono tornati ad un ruolo “laico” nella società? Secondo l’Associazione “Vocatio”, nel mondo attualmente ci sono circa 100.000 tra ex-sacerdoti ed ex-religiosi sposati e 5.000 ex suore e consacrate. Per l’Italia si parla di una fascia di ex preti tra i 5.000 e i 7.000 soggetti, che hanno riacquistato una nuova vita, una nuova identità: 1.800 hanno ricevuto la riduzione allo stato laicale, ed hanno raggiunto lo stato coniugale (con matrimoni civili o matrimoni religiosi dopo la dispensa papale). Da questi matrimoni sono nati molti bambini, che possono godere a pieno del riconoscimento civile da parte del padre: ovviamente non è possibile dare un quadro quantitativo del fenomeno, perché non esistono dati certi. Altri si sono allontanati dal servizio sacerdotale senza giungere a situazioni di vita familiare e/o convivenze.
Ma, invece, quanti sono i bambini e ragazzi, figli di sacerdoti regolarmente attivi nel loro servizio, che non conoscono direttamente il padre biologico e ignorano totalmente la propria origine? Su questo aspetto non si hanno dati statistici: ci sono solo alcune stime, anche se si parla di molte migliaia di figli nel mondo.
La condizione dei figli dei sacerdoti presenta problematiche psicologiche di notevole entità. Non possono essere riconosciuti al momento della nascita, vivono esclusivamente con la madre, il che comporta una situazione di famiglia monoparentale con tutte le difficoltà del caso, ma soprattutto sono bambini e ragazzi privati della presenza della figura paterna così fondamentale per la loro vita affettiva, per la loro educazione. Non hanno ricordi, non hanno foto. Il padre è una figura-ombra, su cui la madre non rivela particolari. I figli vivono con tutta la nostalgia di una vita non vissuta insieme: non conoscono le espressioni del suo volto, la sua voce, il tocco di una carezza, le sue parole. Non vivono neanche le liti, le incomprensioni, i conflitti adolescenziali. Non ricordano perché quelle esperienze non le hanno vissute, mentre condividono il dolore, il silenzio, la solitudine della madre chiamata a sostituire nel suo ruolo un marito e padre, inesorabilmente assente.
Il fenomeno deve essere di notevoli proporzioni se la Chiesa cattolica ha di recente preso posizioni ufficiali, tramite linee guida generali che hanno direttamente interessato Conferenze Episcopali nazionali ed alcune interviste rilasciate da alti prelati.
Già nel 2009 il card. Claudio Hummes aveva presentato il problema a Benedetto XVI il problema di sacerdoti non ancora quarantenni con prole. Altre iniziative sono state prese anche dalle Conferenze Episcopali in Francia e in Irlanda.
Nel 2017 si era diffusa la notizia di un documento interno, impropriamente definito segreto, comunque non pubblicato, che la Congregazione per il Clero aveva stilato riguardante la protezione dei figli nati da relazioni sessuali di sacerdoti. L’esistenza di tale documento è stata poi confermata dal Direttore ad interim pro tempore della Sala Stampa della Santa Sede, Alessandro Gisotti.
Nel febbraio di quest’anno, in una intervista ad Andrea Tornielli, vaticanista del quotidiano “La Stampa” e direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, rilasciata dal card. Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione del Clero, in cui ha parlato apertamente del documento. L’attenzione del documento è centrata sulla necessità di salvaguardare il diritto dei bambini ad avere accanto a sé un padre oltre che una madre, al suo affetto, a ricevere un’adeguata educazione, oltre che il sostentamento economico.
La presenza dei figli rende praticamente “automatica” la presentazione del caso al Santo Padre per la concessione della dispensa nel più breve tempo possibile – un paio di mesi – in modo che il prete possa rendersi disponibile accanto alla madre nel seguire la prole. Una situazione di questo genere è considerata “irreversibile” e richiede che il sacerdote abbandoni lo stato clericale anche qualora egli si ritenga idoneo al ministero. Il card. Stella ha indicato nell’80% dei casi la presenza di prole, anche se spesso concepita dopo l’abbandono del ministero stesso.
Tuttavia, non tutti i sacerdoti-padri intendono chiedere la dispensa, anche di fronte alla presenza di figli, soprattutto quando è cessata la relazione affettiva con la loro madre. Il rapporto con i figli resta di natura prevalentemente economica, ma il sacerdote continua ad esercitare il ministero.
Quando la notizia di queste paternità perviene ai Vescovi o al/alla Superiore/a il caso viene presentato alla Congregazione per la dimissione del consacrato dallo stato clericale: la responsabilità genitoriale crea una serie di obblighi permanenti che nella legislazione della Chiesa latina non prevedono l’esercizio del ministero sacerdotale.
Pertanto è garantita la tutela del bambino da parte del padre ex-consacrato, che perde ogni legame con il precedente ruolo (non si parla ovviamente della fede).
La chiusura della Chiesa di fronte ad ogni possibile inserimento dell’ex consacrato al proprio interno con ruoli diversi è evidente e irreversibile.
Tuttavia sarà interessante seguire, a ottobre, il Sinodo sull’Amazzonia, in Vaticano. All’ordine del giorno, tra i tanti previsti anche il tema dei viri probati: si tratta della possibilità di reintrodurre, come accadeva nella Chiesa dei primi secoli, un secondo tipo di prete, vale a dire un uomo di fede provata che, avendo famiglia e lavoro, si dedichi part time ai servizi religiosi della parrocchia. Tale proposta è particolarmente sentita dalle chiese in ampi territori soprattutto dell’America Latina e in Africa, in cui il clero attivo e tradizionale è quantitativamente insufficiente per le esigenze delle chiese locali.
Sarà questa una prima soluzione per far uscire dall’ombra i tanti bambini che sono dolorosamente definiti “i figli del silenzio”?
* Sociologa dell’educazione. Roma