di Maurizio Quilici *
Il 28 gennaio scorso si è svolto all’Università di Chieti un Convegno sulla famiglia, promosso dall’Arcidiocesi e dallo stesso ateneo. Al termine, l’arcivescovo Bruno Forte ha sintetizzato in sette istanze i contenuti dell’incontro, al quale aveva partecipato il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio, istanze che lo stesso Delrio ha presentato al Governo. La prima è di carattere generale e chiede al Governo che l’attenzione alla famiglia abbia “priorità assoluta”, quale che sia il credo religioso o l’opinione politica dei cittadini. Con la seconda si chiede, fra l’altro, di “garantire le condizioni necessarie alla formazione delle nuove famiglie”, cominciando da quelle “connesse alle urgenze abitative e al lavoro”. La terza sollecita il Governo a “favorire la natalità, incoraggiando le famiglie a fare figli”; la quarta lo invita a promuovere la “cultura della vita”, perché “la via dell’aborto è una sconfitta per tutti, credenti e non credenti”. La quinta istanza riguarda le famiglie numerose, invocando provvedimenti legislativi a loro favore (qualche precisazione si è resa necessaria alla luce di quanto affermato recentemente dal papa a proposito del “fare figli come conigli”). Si chiede poi di investire economia e capitale umano nell’educazione dei giovani con politiche a favore della scuola. Infine, l’ultima istanza auspica “politiche di avviamento al lavoro dei giovani non occupati”. Nel complesso, punti abbastanza scontati e condivisibili, almeno in parte, non solo dai credenti ma anche dai laici. Casa, lavoro, denatalità, aborto, giustizia fiscale, riforma della scuola… Mancava un tema, non secondario – anzi secondo noi imprescindibile – se si parla di famiglia: la separazione e il divorzio.
Ma questo della separazione, dell’affidamento dei figli e della paternità in genere è un argomento che non sembra interessare poi tanto la pubblica opinione, se si escludono i fatti clamorosi che accendono per un attimo i riflettori, come la vicenda del bimbi di Cittadella conteso a scuola da padre e madre o come i fatti di sangue che ciclicamente vengono a punteggiare separazioni profondamente “malate” (a volte nelle persone, più spesso nel sistema giudiziario). Difficile avere dati statistici sulla presenza dei “nostri” temi su stampa, radio, TV, social network; bisognerebbe ripetere una ricerca come quella che molti anni fa l’Unione Europea affidò all’I.S.P. per verificare quanto e come i temi di paternità/maternità, condivisione, lavoro di cura erano trattati sui quotidiani italiani. Devo solo basarmi su impressioni, sulla lettura personale di quotidiani e riviste, sulla attenzione a trasmissioni, convegni, iniziative varie che abbiano ad oggetto la paternità. O io sono diventato meno attento, o la sensibilità verso questi aspetti della famiglia sta calando.
Fino a qualche anno fa facevo fatica a tener dietro alle numerose pubblicazioni sul tema della paternità da recensire per questo notiziario, oggi non è più così. L’archivio ISP di ritagli stampa sulla materia era un compito faticoso, oggi riguarda soprattutto fatti di cronaca.
Nel corso degli anni l’Istituto di studi sulla paternità ha seguito numerosi studenti (oltre 250) che sono giunti da ogni parte d’Italia per consultare il nostro archivio e la nostra Biblioteca. Per la prima volta il 2014 è trascorso senza che vi fossero studenti (eppure la visibilità dell’Istituto, la sua presenza su Internet non è diminuita, semmai è aumentata).
E che dire dei dibattiti televisivi o radiofonici, dei convegni, delle conferenze…? Se ne fanno, qualche volta vi partecipo e tuttavia anche qui ho come l’impressione di una sorta di “stanca”. Vanno forte le trasmissioni su temi politici, molto meno quelle su argomenti sociali. Il nostro Istituto ha organizzato per anni periodiche conferenze con oratori di grande notorietà, competenza e cultura. Ma è stato inevitabile sospenderle: il progredire di una “stanchezza” diffusa a tutti i livelli, di una pigrizia (nella migliore delle ipotesi) dilagante era inversamente proporzionale alla presenza del pubblico. Ricorderete che il nostro notiziario ospitava spesso lettere, dalle quali trasparivano interrogativi, dubbi, sofferenze, ma anche voglia di cambiare. Le sofferenze sono certo rimaste, come i dubbi e le domande, ma pare che nessuno se la senta di esprimerle. E di lettere non ne arrivano.
Si possono dare molte spiegazioni a questo fenomeno (ammesso che la mia percezione sia giusta, s’intende), chiamando in causa sociologia e psicologia, politica ed economia. La crisi che ci trasciniamo ormai da un bel po’ di anni, con la profonda sfiducia nel futuro, ha suscitato più rassegnazione che rabbia, specie nei giovani (meno male, obietterà qualcuno, ricordando gli eccessi del ’68 e degli anni ’70, ma non so se di questo ci si debba davvero rallegrare). Ha portato con sé indifferenza, attenzione al proprio “particulare”, egoismo, svuotamento di valori e di intereressi. E una inevitabile attenzione, per molte fasce sociali, al bilancio personale e familiare. Una quota associativa, pur modesta, in certi momenti può essere scomoda, me ne rendo conto. Anche le associazioni hanno fatto le spese di tutto ciò, soprattutto quelle che operano su base volontaria e non inseguono profitti ma in compenso affrontano spese. Come la nostra, appunto.
Naturalmente, per quanto concerne noi dell’I.S.P., possono esserci anche cause “interne” all’Istituto, che cercheremo di individuare e di analizzare, adeguandoci ai tempi che corrono (ma senza snaturare lo spirito e gli obiettivi per i quali, 27 anni fa, nacque l’I.S.P.). La ricerca nelle carceri di cui si è appena conclusa la prima parte (come altri studi in progetto) rientra appieno nei fini statutari dell’Istituto, mentre la revisione dello Statuto e la prossima trasformazione in APS permetteranno di affrontare compiti più operativie e pragmatici come corsi di formazione e servizi di consulenza psicologica, pedagogica, legale.
Non ci abbandona la certezza che il tema che da tanti anni è per noi oggetto di studio e attività sia di fondamentale importanza per la famiglia, per i figli, per una società più equilibrata e meno conflittuale. Così continueremo ad occuparcene, fino a quando ce lo permetterà l’adesione dei nostri soci – unica forma di sostentamento, morale ed economica – e la stima di tanti operatori.
* presidente dell’ISP