di Gianluca Aresta*
Nel ripercorrere l’evoluzione giurisprudenziale enucleatasi nella materia degli accordi prematrimoniali non può non rimarcarsi una radicata intransigenza della Corte Suprema nei confronti di detti accordi. Con la sentenza n. 3777 dell’11/6/1981, i Giudici di legittimità sancivano la nullità dei patti prematrimoniali per illiceità della causa. Tali accordi erano, a dire della Suprema Corte, incompatibili con l’indisponibilità dello status di coniuge e con il diritto all’assegno divorzile, in considerazione della sua natura assistenziale.
Dall’anno 2000, poi, i Giudici della Suprema Corte, con diverse pronunce assolutamente significative ai fini dell’analisi della evoluzione del problema (si possono ricordare Cass. Civ., Sez. I, del 14/6/2000, n. 8109; Cass. Civ., Sez. I, del 10/3/2006, n. 5302; Cass. Civ., Sez. I, del 10/8/2007, n. 17634), iniziavano a considerare gli accordi prematrimoniali che quantificano preventivamente l’assegno divorzile affetti da nullità non più assoluta, ma relativa, così precludendo al solo coniuge economicamente più forte di invocarne la nullità.
Con la pronuncia n. 23713 del 21/12/2012, i Giudici di legittimità sembravano aprire timidamente uno spiraglio alla validità degli accordi in esame, laddove la Corte confermava la liceità di un accordo stipulato prima del matrimonio, in cui si prevedeva che, in caso di fallimento dell’unione matrimoniale, l’un coniuge avrebbe ceduto all’altro un immobile di sua proprietà, quale indennizzo delle spese sostenute dal secondo per la ristrutturazione di altro immobile di proprietà del primo da adibirsi a casa coniugale, ritenendo il fallimento del vincolo matrimoniale non la causa genetica dell’accordo, ma un mero evento condizionale dello stesso.
Con la recente sentenza del 30/1/2017, n. 2224, poi, la Corte di Cassazione fa un sorprendente ed inaspettato salto indietro, ritornando a ritenere, ancora una volta, nullo per illiceità della causa l’accordo stipulato dai coniugi in sede di separazione, con il quale si fissa il regime giuridico patrimoniale in vista di un eventuale futuro divorzio, sulla scorta della considerazione che una tale pattuizione violerebbe il principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale espresso dal dettato normativo di cui all’art. 160 cod. civ. .
In realtà, in un panorama giurisprudenziale manifestamente ondivago e turbolento, con recentissima e nota pronuncia (Cass. Civ., Sez. Unite, del 11/7/2018, n. 18287) la Suprema Corte sembra, ancora una volta, invertire bruscamente la rotta e dare una risposta positiva alla sottoscrizione degli accordi prematrimoniali fra coniugi, muovendo dalla rimeditazione dei criteri di accertamento del diritto all’assegno divorzile.
In particolare, innovando l’unanime orientamento giurisprudenziale che aveva sempre attribuito natura strettamente assistenziale all’assegno di divorzio, le Sezioni Unite della Suprema Corte riconoscono che l’assegno non ha soltanto valore di aiuto economico per il coniuge bisognoso, ma anche funzione compensativa e perequativa.
La valorizzazione dell’incidenza causale che le determinazioni comuni possono assumere sul profilo economico dei coniugi dopo la fine del vincolo nuziale può aprire la strada al riconoscimento giurisprudenziale della validità di patti con i quali i futuri consorti decidano di compensare le rispettive posizioni in caso di divorzio, lasciando, così, pensare che lo stesso assegno divorzile possa costituire oggetto di un accordo prematrimoniale, considerata la sua vocazione perequativa e, dunque, disponibile. È pur vero, però, che si tratta di una ipotesi di ragionamento legata ad un indirizzo interpretativo espresso recentemente e di cui, quindi, non è ancora possibile approfondire tutte le implicazioni.
In questo scenario normativo e giurisprudenziale caratterizzato da spinte fortemente conservatrici e da altre più innovative volte alla affermazione, anche nella nostra realtà, della validità dei patti prematrimoniali, una recentissima indagine statistica (pubblicata su quotidiano.net del 17/3/2019, “Accordi prematrimoniali, boom di richieste in Italia. Possibile ok nel 2020”, di Andrea Bonzi) ha affermato che più di sei italiani su dieci sarebbero favorevoli agli accordi prematrimoniali, atteso che li ritengono uno strumento che può evitare problemi al momento della separazione.
Come riporta l’articolo, “In una ricerca compiuta su 541 coppie in procinto di convolare a nozze, il 64% degli interpellati si è detto favorevole a firmare un patto che fissi reciproci diritti e obblighi prima di mettersi l’anello al dito. Il dato cresce fino al 75% nelle coppie sotto i 30 anni, mentre su base regionale è il Nord (dove si concentra la maggioranza dei divorzi) a spingere per questa novità (col 71% dei pareri favorevoli), mentre al Centro-Sud la percentuale cala al 57%. Marcata – si legge nel report dell’associazione ‘Donne e qualità della vita’ – la differenza tra i generi: il 70% degli uomini dice sì, contro il 58% delle preferenze femminili”.
Il boom di richieste ai notai, si legge sempre nell’articolo, è sottolineato dal Dott. Paolo De Martinis, alla guida di uno dei più importanti Studi Notarili di Milano: «La possibilità di fissare reciproci diritti e obblighi prima di una crisi è un incentivo al matrimonio, nonché una mancanza che il legislatore italiano deve colmare». E, allora, come potrebbero essere i patti matrimoniali all’italiana? «Alcuni obblighi non potranno essere toccati, come la corresponsione degli alimenti, gli altri doveri di assistenza e di educazione dei figli – prosegue il Notaio – Diciamo che la parte su cui si potrà agire è soprattutto quella patrimoniale». Sta di fatto, però, che nel titolo dell’unico Disegno di Legge sugli accordi prematrimoniali (di cui si è innanzi discusso) che ha iniziato l’iter in Commissione Giustizia al momento figura anche l’educazione dei figli.
Da un punto di vista squisitamente giuridico, è proprio in ragione del profilo di indisponibilità dei diritti (specialmente di natura economica) che scaturiscono dal matrimonio, sulla scorta della disciplina normativa di cui agli artt. 143 e 160 cod. civ., che sono state elaborate le principali tesi dottrinali orientate a “tacciare” di invalidità i patti in vista del divorzio nel nostro ordinamento.
Interessante è richiamare le principali argomentazioni a sostegno della nullità dei patti prematrimoniali (per una puntuale e argomentata disamina si richiama “Patti patrimoniali”, di Valeria De Vellis, Avvocato in Milano, in Il Familiarista del 26/6/2015); un primo orientamento avrebbe affermato la illiceità della causa degli accordi in vista del divorzio (art. 1343 cod. civ.), in quanto essa si sostanzierebbe nella mercificazione dello status di coniuge, che è, invece, indisponibile. Secondo questo orientamento, infatti, tali accordi determinerebbero la prestazione del consenso allo scioglimento del matrimonio, in cambio di una prestazione patrimoniale, limitando, tra l’altro, la libertà di difesa dei coniugi nel futuro giudizio di divorzio.
Secondo altro orientamento dottrinario, invece, la nullità dell’accordo deriverebbe dal fatto che il diritto oggetto del patto medesimo (ad esempio, assegno divorzile) non è ancora esistente nel patrimonio di colui che ne dispone.
Altri Autori hanno sostenuto l’invalidità di detti accordi richiamando la disciplina della legge sul divorzio che regola la c.d. una tantum, ossia l’accordo con cui i coniugi stabiliscono che la corresponsione del mantenimento avvenga in un’unica soluzione ex art. 5, comma 8, L. n. 898/1970: il dettato normativo prevede che tale accordo debba avvenire contestualmente al divorzio e, dunque, non precedentemente a esso, e, soprattutto, che debba superare il vaglio di equità del Tribunale. Da tanto deriverebbe la nullità di tutti gli accordi patrimoniali in vista del divorzio che non rispetterebbero tali garanzie.
Si è, inoltre, argomentato che la nullità dei patti in questione sarebbe diretta conseguenza della natura assistenziale dell’assegno di divorzio (con tutte le implicazioni interpretative e argomentative che la recentissima giurisprudenza in materia di assegno divorzile ha stimolato).
Ma l’argomentazione più dibattuta su cui si fonda la nullità di tali accordi non può non essere considerata quella che fonda sul contrasto con il combinato disposto degli artt. 143 e 160 cod. civ. e che individua l’invalidità dei patti nel fatto che essi costituirebbero una inammissibile deroga ai doveri coniugali sorti dal matrimonio, in particolare all’obbligo di solidarietà economica fra i coniugi.
Altra parte della dottrina, sebbene, al momento, minoritaria, ha contrastato con solidi argomenti ciascuna delle tesi innanzi illustrate, escludendo che possano considerarsi astrattamente invalidi i patti in vista del divorzio. In particolare, è stato sottolineato come tali accordi non determinino una mercificazione dello status, in quanto il divorzio, nel nostro ordinamento, prescinde dal consenso del marito o della moglie e costituisce, al contrario, un diritto (potestativo) esercitabile liberamente da ciascuno dei due coniugi.
Secondo il Tribunale di Torino (Ord. del 20/4/2012), la pattuizione delle condizioni patrimoniali in vista del divorzio non inciderebbe sui futuri comportamenti processuali dei coniugi, posto che sussiste una differenza tra «porre a base del sinallagma l’impegno sullo status e stabilire le mere conseguenze economiche dell’eventuale mutamento di status».
Per quanto riguarda, poi, l’obiezione relativa all’inesistenza, al momento dell’accordo, del diritto nel patrimonio del disponente, essa è stata sconfessata osservando come l’ordinamento consente di dedurre in contratto la prestazione di cose future (art. 1348 cod. civ.), quale potrebbe configurarsi il diritto all’assegno divorzile.
È stato, poi, ulteriormente osservato che l’invocazione degli artt. 143 e 160 cod. civ. appare del tutto inopportuna, posto che tali norme dovrebbero operare nella fase fisiologica dell’unione matrimoniale e non anche in quella della cessazione degli effetti civili del matrimonio che, rescindendo il vincolo coniugale, sembra sorretta da doveri ben differenti da quelli vigenti in costanza di matrimonio e di convivenza, essendo peraltro il diritto a percepire l’assegno divorzile pienamente disponibile.
Il terreno, allora, è tutto da arare prima di poter ritenere radicato l’uno o l’altro orientamento.
Certamente l’introduzione nel nostro ordinamento dei patti prematrimoniali, anche attraverso un processo di necessario “adeguamento” della normativa nazionale alle mutate sollecitazioni sociali, così come già da tempo accaduto in altre realtà europee e mondiali, rappresenterebbe “Una valorizzazione della volontà dei coniugi, anche in relazione alle conseguenze del futuro scioglimento del vincolo matrimoniale, potrebbe essere realizzata tramite patti prematrimoniali, … Ciò permetterebbe l’esplicazione della autonomia negoziale tra i coniugi (salvo i limiti di indisponibilità dei diritti dedotti), con una conseguente riduzione del contezioso proprio nel momento più difficile e coinvolgente per le parti” (così, Prof. Alberto Figone, “L’assegnazione consensuale della casa in sede di separazione non vincola nel divorzio”, in Il Familiarista del 30/11/2017).
Questo panorama in evidente ed effervescente divenire, al momento, sembra offrire poche certezze in ordine ad una prossima futura accettazione, sociale, politica e normativa, della validità degli accordi in questione. Chi scrive, pur apprezzando (e condividendo) i profili giuridici più positivi dell’istituto dei patti prematrimoniali, non può nascondere l’intimo timore che, in un momento storico di importante (e preoccupante) “affermazione” di un progressivo processo disgregativo del nucleo familiare, i patti prematrimoniali possano rappresentare un comodo “alibi” per i coniugi nel momento critico e patologico della disgregazione della famiglia, che consenta agli stessi di “adagiarsi” ed accelerare il processo decisionale verso la rottura, anziché favorire, quasi deresponsabilizzandoli, una dovuta riflessione sulla salvaguardia della cellula familiare: sicuramente, però, le istanze sociali, e le conseguenti auspicabili risposte normative, potranno dire, come sempre, se il nostro Paese è pronto per recepire, con la dovuta richiesta maturità, l’istituto dei patti prematrimoniali o se, al contrario, il terreno è ancora acerbo ed intimamente ostile, per le motivazioni tutte innanzi descritte, a questo nuovo passo. (Fine. La prima parte dell’articolo è stata pubblicata nel n. 1/2019 di ISP notizie – http://lnx.ispitalia.org/article/prima-ci-separiamo-e-poi-ci-sposiamo/).
* Avvocato. ISP Bari