Il seguente articolo trae spunto dalla tesi di laurea in Pedagogia Sociale che l’Autrice ha discusso recentemente, laureandosi in Scienze dell’Educazione e della Formazione presso l’università di Macerata (Relatore prof. Massimiliano Stramaglia). Essa tocca un argomento di indubbio interesse per il nostro Istituto. Copia della tesi è stata gentilmente inviata dalla dott.ssa Bambozzi per la Biblioteca dell’I.S.P.
di Alessandra Bambozzi *
Non è infrequente leggere e sentir dire che i nuovi padri, così sfumati al punto di risultare assenti, al più sono presenti in qualità di amici e compagni di gioco dei propri figli. In effetti non è improprio parlare in questi termini, oggi che inizia ad affacciarsi una nuova figura paterna, simpatica sicuramente, ma di cui vanno approfonditi alcuni aspetti eccessivi e dunque potenzialmente forieri di ripercussioni critiche sul piano pedagogico.
Risulta evidente come il nuovo stile relazionale paterno, finalmente imperniato su fisicità e affettività, tenerezza e democraticità, trovi una delle sue forme concrete proprio nella maggiore disponibilità dell’adulto a trascorrere il proprio tempo giocando con i figli, condividendo svaghi e attività ricreative, in uno spazio-tempo libero da obblighi. Occorre però oltrepassare il semplice rilievo del carattere ludico di alcune odierne presenze paterne e cercare di chiarire pedagogicamente quando la ludicità, da elemento prezioso in cui si declina positivamente la prossimità degli attuali padri, diventa il comodo e piacevole mascheramento di una inadeguatezza educativa. Si tratta perciò di osservare le problematiche connesse ad una paternità meramente ludico-amicale, analizzando un modello emergente di padre e paternità, di cui non pare esser traccia nel passato e che, invece, comincia a trovare dimora in una società quale quella post-moderna, che alimenta insicurezze e disimpegno, desideri di eterna giovinezza e illusioni di risultati ottenuti senza sforzi.
Mi riferisco al pater ludens, deviazione del novum che oggi definisce la modalità di relazione padre-figlio, in quanto padre che, con l’alibi di abbandonare il vecchio modello di paternità fredda e distante, si pone su un piano simmetrico di relazione esclusivamente e meramente ludico-amicale nei confronti del figlio, mancando, in tal modo, la sua funzione di guida adulta e responsabile e rivelandosi, in realtà, tra i volti di quella “assenza” educativa paterna che oggi sembra caratterizzare la nostra società. Si tratta infatti di un papà che interpreta la parte di compagno di giochi del figlio e gioca a fare l’amico intimo e fraterno, in modo a tal punto esclusivo e sistematico che il travestimento di compagno e amico diviene il suo habitus, il suo modo di essere usuale che, come un abito ingombrante, nasconde il corpo del suo dover essere di padre maturo ed educativamente consapevole.
Il pater ludens, perciò, è un padre apparentemente molto vicino al proprio figlio, ma che, in realtà, ha deciso di occuparsene esclusivamente dal punto di vista, appagante (per il padre) e seducente (per il figlio), dello svago, del divertimento condiviso, della complicità, sbarazzandosi del compito, scomodo e molesto, di educatore e delegando interamente l’ufficio educativo ad altri (la moglie soprattutto) spesso destinati ad essere rappresentati dal duo solidale padre-figlio come “i cattivi” che ne osteggiano la spensierata vitalità e l’appagamento immediato dei desideri.
Questo tipo di padre comporta alcuni rischi pedagogici. Si tratta, infatti, di un tipo di padre certo spassoso, bonario, paziente, comprensivo, ma di fatto un eterno bambino, non realmente attento ai bisogni profondi del proprio figlio, ma preoccupato di soddisfare le proprie esigenze di rassicurazione affettiva attraverso un rapporto meramente ludico-amicale che gli garantisce l’affetto del proprio bambino, e, al contempo, attraverso una relazione di dipendenza filiale nei confronti della partner, piuttosto che da compagno maturo e amante adulto.
Si tratta in genere di un uomo che, ritenendo il proprio impegno familiare esaurirsi nella dimensione ludica ed eludendo il piano di parità e di condivisione con la compagna, si rende estraneo anche alle incombenze domestiche, delegando totalmente sia l’accudimento materiale del figlio, sia il compito regolativo ed educativo, sia l’intera gestione domestica alla coniuge. Con il rischio di alimentare in lei frustrazioni e nervosismi, risentimenti e livori nei confronti del compagno, che si prende soltanto la parte gradita e gratificante della dedizione ai figli e alla famiglia.
Un elemento problematico che emerge con chiara immediatezza è il fatto che, attraverso l’esercizio di una paternità esclusivamente ludico-amicale, immersa nella dimensione puerile e preoccupata che il figlio sia sempre spensierato ed appagato, al riparo da ostacoli o condizionamenti, il pater ludens non aiuta il figlio a superare progressivamente il senso di onnipotenza e a comprendere che nessun aspetto della vita si umanizza davvero senza contenimento; piuttosto, ne alimenta il narcisistico desiderio di godimento immediato e sfrenato, nonché incurante dell’alter, che per natura rappresenta un limite all’ego.
Ancora, caratteristica del pater ludens è di essere compiacente al punto di scambiare l’adeguata disponibilità a divertirsi insieme con il porsi come “giocattolo” a completa disposizione del figlio. Ma è destino di ogni giocattolo quello di venire a noia, prima o poi, ed essere abbandonato in un angolo. Un figlio che “giocattolizza” il padre rischia di imparare a comportarsi in modo analogo verso gli altri: a servirsene, dunque, per quel tanto e fino a che procurano piacere e appagamento, sviluppando un’idea e un modo di vivere le relazioni interpersonali all’insegna dell’opportunismo e della transitorietà, piuttosto che secondo i princìpi dell’impegno e della durata.
Uno degli aspetti problematici più evidenti è poi l’instaurarsi di una orizzontalizzazione centrata sull’immedesimazione confusiva tra generazioni, e il venir meno della verticalità di per sé educante fondata sul rispetto della differenza simbolica e della complementarità relazionale tra padri e figli. Il padre che, non per desiderio di dominio ma per autorevolezza amorevole e responsabile, sa mantenere tra sé e suo figlio lo scarto da cui discende una verticalità non autoritaria, da un lato, permette al figlio di apprendere il rispetto e l’accoglienza dell’altro tout court con le sue differenze – di età, livello di maturazione e di responsabilità, esperienze e conoscenze, ruoli familiari e sociali – in quanto fonti di confronto e di arricchimento reciproco; dall’altro, si mostra realmente quale custode consapevole e responsabile dell’irriducibile alterità del figlio. Di contro, il livellamento padre-figlio determinato dall’atteggiamento meramente e sistematicamente ludico-amicale del pater ludens, rischia di attuarsi in una ricerca di confidenza tra simili, di intimità troppo profonda, che può tradursi in invadenza irrispettosa della vita del figlio.
Un altro aspetto problematico si riscontra nel fatto che, se il padre deve incarnare un ponte tra le dimensioni temporali nel segno dell’apertura progettuale e fiduciosa verso il futuro, sembra chiaro come, di contro, il pater ludens, chiuso nella dimensione ludico-infantile, dunque in un presente tutto ancorato al rassicurante passato, risulti incapace di testimoniare e di far germogliare nel figlio il desiderio e la curiosità che lo spingano all’avventura dell’avvenire e favorirne l’assunzione del rischio dell’erranza, per la costruzione della propria autonomia.
Infine, il padre che si dedica al figlio solo dal punto di vista ludico, bonifica totalmente la propria immagine agli occhi di questi. Non solo perché con il papà si gioca e ci si diverte, ma perché egli è sempre compiacente con il figlio, sempre schierato dalla sua parte e pronto a coprirne o giustificarne le trasgressioni: ecco allora che tra i due il ludus crea collusio, intesa speciale e segreta, complicità esclusiva ed escludente. Ad essere esclusa dall’allegro sodalizio sarà la mamma, che nel ripetuto tentativo di esigere con fermezza il rispetto di regole e limitazioni, verrà rappresentata e vissuta dalla coppia papà-figlio come una matrigna dispotica e senza cuore. A far da contraltare alla mamma che sgrida, punisce e proibisce, c’è l’accondiscendente e giocoso papà che giustifica, spalleggia e consente. Perciò, nel caso della famiglia in cui il padre eserciti una paternità meramente ludica e amicale, la mamma che sia attenta al compito formativo ed educativo, potrebbe trovarsi ad esasperare il ruolo di minaccia e di freno, con il risultato di una totale bonificazione del padre e una maleficazione della madre agli occhi dei figli.
Oltre al palese problema della destabilizzante incoerenza educativa, questa dinamica può comportare ripercussioni sui processi identificativi di strutturazione della personalità dei bambini, ma, soprattutto, delle bambine. La femmina infatti, giungendo ad assolutizzare il giudizio secondo cui il papà è sempre buono mentre la mamma è cattiva, e al tempo stesso, dovendo comunque trovare nella mamma (e nel femminile materno) un modello da imitare, ne potrà emulare l’immagine dura, cattiva. Ecco allora che nel corso della crescita potrà cercare a tutti costi di diventare una “cattiva ragazza”, insensibile e arrogante; oppure potrà divenire incapace di amicizia e solidarietà femminile con le altre donne, sempre avvertite come nemiche, poiché su di esse trasferisce e proietta la malvagità materna. Allo stesso tempo cercherà in ogni modo di avere il mondo maschile ai suoi piedi, per il puro e semplice gusto di piacere e di ammaliare: per rivivere così di continuo l’incondizionata compiacenza paterna e per dissolvere il senso di colpa che le deriverebbe dall’aver tradito il fedele alleato, il papà così buono, innamorandosi definitivamente di un altro uomo.
In conclusione, il pater ludens, così pedagogicamente de-ludens, appare una figura eccessiva, poiché declina la nuova prossimità affettiva ai figli meramente, esclusivamente e sistematicamente sul piano dell’attività ludica e della complicità amicale, incurante del proprio compito orientativo e regolativo e della differenza di età e di ruolo, finendo così per testimoniare un’idea narcisistica della vita come gioco privo di codici. Va perciò pedagogicamente aiutato a liberarsi da questo eccesso, per convertirsi al coraggio di una competenza genitoriale piena ed educativamente matura. Che non significa, all’estremo opposto, austera, grigia, fredda, cupa. Oggi, finalmente, sono molti i padri impegnati ad elaborare un nuovo stile relazionale, autorevole e responsabile, tenero e affettivamente significativo, di cui la nuova sensibilità ludica paterna, esercitata in modo consapevole ed equilibrato, costituisce una concreta manifestazione e una preziosa risorsa. Si tratta di padri adulti che sanno divertirsi con il figlio bambino perché riuscendo, sia pur faticosamente, a bilanciare il compito morale e normativo con la disponibilità al gioco, integrano la ludicità e l’atteggiamento amicale nella loro primaria funzione educativa. Il pater ludens, di contro, sostituisce interamente tale funzione con l’amicizia e la giocosità disimpegnata.
Il padre che sa amalgamare armonicamente l’ingrediente ludico in una paternità adulta e consapevole, la rende entusiasta, gioiosa e piena di positiva vitalità, accogliente ma non complice, flessibile ma non accondiscendente. E il tempo trascorso facendo cose insieme, attività piacevoli, giochi, passeggiate dense di racconti e di ascolto reciproco, è un tempo fecondo e costruttivo. In questo caso, la stoffa ludica paterna non soffoca la dimensione educativa e regolativa, anzi la veste di un abito variopinto e luminoso, in grado di arricchirla e renderla più efficace. È importante che il padre sappia offrire, accanto alle regole e ai riferimenti orientativi, una presenza ludica densa e intensa, ma come parte della sua vicinanza affettiva e non come modalità totalizzante di relazionarsi ai figli. Perciò l’auspicio è quello di un impegno pedagogico che sostenga il pater ludens nella ricerca di un equilibrio, così da poter vivere in modo non esclusivo la disposizione al gioco, come risorsa di una paternità piena e ricca, come modo per donarsi amorevolmente e gratuitamente ai figli e sostanziare di libertà e positività la loro educazione, non come espediente per colmare le proprie insicurezze, sfuggire alle proprie responsabilità e mascherare la propria inadeguatezza educativa.
* Dottoressa in Scienze della Educazione e della Formazione