Questa estate, come ogni anno, mi sono affrettato a leggere le prove d’esame assegnate agli studenti che affrontavano l’esame di maturità. Sarà capitato a molti. Per quanto l’esame di maturità rientri spesso fra gli incubi ricorrenti che ti perseguitano tutta la vita (più volte ho sognato che sì, avevo conseguito la laurea, ma non risultava il diploma di maturità, e quindi dovevo nuovamente affrontare il relativo esame, cosa che mi provocava angosce tali da svegliarmi), c’è sempre la curiosità di vedere se ancora sappiamo tradurre quel testo latino o greco, se oggi sapremmo ben svolgere il compito letterario (curiosità matematiche, o chimiche, non ne ho mai avute, ritenendomi assolutamente negato in queste materie). E con sorpresa – gradevole sorpresa, s’intende – ho visto che l’argomento proposto nell’ambito artistico-letterario della Tipologia B (Redazione di un “saggio breve” o di un “articolo di giornale”) era: “Il rapporto padre-figlio nelle arti e nella letteratura del Novecento”.
Ma guarda! Più o meno cinquant’anni fa, quando al Liceo “Pilo Albertelli” di Roma affrontai la prova di italiano, fra i temi proposti scelsi quello che riguardava la poetica di Leopardi (non era, certo, un tema originale) e un argomento come quello di quest’anno sarebbe stato semplicemente inimmaginabile. Perché la figura paterna era stata sì oggetto di creazione poetica, letteraria, pittorica – scarsa per la verità – ma non costituiva ancora spunto di riflessione sociale o psicologica, almeno non a livello diffuso (lo sarebbe stato, e molto, di lì a pochi anni, quando il vento della contestazione proveniente dalla Francia sarebbe arrivato in Italia chiedendo a gran voce l’abbattimento di ogni autorità costituita e dunque, in primis, l’”uccisione” dei padri).
Dunque aver proposto fra i temi della maturità un argomento legato al padre riveste ai miei occhi un particolare significato, di riconoscimento, di accoglimento, di validazione. Significa dire: arte e letteratura per secoli hanno descritto, dipinto, scolpito, raccontato, messo in versi la madre. Perché suo, ed esclusivamente suo, era il legame simbiotico che la univa al figlio. Il padre esisteva come autorità, come potere, come modello anche. E soprattutto come “motore economico”. Ma sul versante delle emozioni e degli affetti veniva secondo. Oggi, che amiamo ricorrere tanto spesso alla terminologia anglosassone, diremmo di lui figura bread-winner, letteralmente procacciatrice di pane, fonte di sostentamento, e della madre persona care-giver, dispensatrice di cure e accudimento.
Il tema di maturità di quest’anno vuole dire: nel Novecento c’era anche il padre. Anche lui suscitava emozioni – positive o meno – sentimenti profondi, affetti. E siccome oggi sappiamo che deve esserci, accanto alla madre dei suoi figli, se vogliamo che questi figli crescano con l’equilibrio di due modelli distinti e complementari, bene, allora parliamo anche di lui, ricordiamolo, vediamo quali tributi – artistici e letterari – gli sono stati concessi.
Peccato però – e qui la mia sorpresa si è appannata con una vena di dispiacere – che tutte le tracce, ossia i documenti, messi a disposizione degli studenti disegnassero invariabilmente un quadro di padre pessimo, secondo uno stereotipo di padre autoritario e violento che, se poteva essere ammissibile un tempo, oggi risulta decisamente anacronistico. Si dirà: l’epoca presa in esame era il Novecento, quando il “mammo” ancora non esisteva. Giusto, ma proprio negli ultimi decenni del secolo scorso si avviò anche una profonda trasformazione della figura paterna, che ne ha ridisegnato i ruoli. E, volendo, si poteva offrire agli studenti esempi artistico-letterari meno appiattiti sullo stereotipo negativo.
Ma vediamoli più da vicino questi “documenti”. Una poesia di Umberto Saba, Mio padre è stato per me l’”assassino”, un dipinto di Giorgio de Chirico, Il figliol prodigo, opera del 1922 esposta al Museo del Novecento di Milano; un brano di Franz Kafka tratto dalla famosa Lettera al padre ed uno di Federigo Tozzi dall’opera Con gli occhi chiusi.
Non conosco gli attuali programmi scolastici degli ultimi anni di Liceo, quindi non so quanto il bagaglio svolto nel corso dell’anno scolastico potesse aiutare gli studenti. So che l’olio di De Chirico stimolava ampie digressioni non solo di carrattere artistico ma di introspezione psicologica. Certo si richiedeva per questo una conoscenza dell’opera dell’Autore e meglio ancora della sua biografia. Molte cose avrebbe potuto suggerire allo studente, nell’osservare le due figure ritratte – così diverse nella loro postura, forma, colori – il fatto che l’artista definisse il padre “un uomo chiuso e severo” e considerasse “insopportabile” la confidenza e la familiarità moderne fra padri e figli, viste come inutili smancerie. Insomma, l’opera non induce certo ad una interpretazione positiva del rapporto padre-figlio.
La poesia di Saba ricorda il padre dell’Autore considerato da questi, fino a 20 anni, “l’assassino”. Solo in seguito il poeta si renderà conto che egli “era un bambino”. Un bambino “gaio e leggero”, un giramondo che ebbe molte donne e che lasciava alla moglie “della vita i pesi”. Insomma un padre da non prendere ad esempio (e infatti la madre “Non somigliare – ammoniva – a tuo padre”), un po’ fatuo e un po’ immaturo.
I due brani letterari sono il primo famosissimo, il secondo molto meno; entrambi sottolineano un aspetto patriarcale e violento del padre, che a qualche studente avrà richiamato alla mente un’altra opera del Novecento prototipo della violenza paterna, Padre padrone di Gavino Ledda. Tutti e due disegnano un padre fortemente negativo, ma si tratta di estrapolazioni di passi presi da contesti che contengono molte sfumature.
Non so quanti studenti avessero conoscenza approfondita della Lettera e del libro (meglio, dell’intera opera) di Tozzi. Credo davvero che fosse necessaria una preparazione non scolastica per affrontare al meglio il compito richiesto. Solo a queste condizioni, il titolo dell’esercizio offriva grandi possibilità.
Sul piano pittorico ben si poteva sottolineare la scarsa presenza di opere sul padre nel periodo considerato. Ricordo che tra la fine del 2003 e l’inizio del 2004 si tenne a Roma una mostra dal titolo la Famiglia nell’Arte. Storia e immagini nell’Italia del XX secolo. Il catalogo della mostra osservava che nella pittura novecentesca “quanto è presente la madre, tanto il padre sembra arretrare nell’ambito dei rapporti familiari italiani”. Del resto, ciò era evidente dallo squilibrio quantitativo delle opere esposte: 30 nella sezione riguardante la maternità, nove in quella dedicata al padre.
Sul versante letterario, a parte il citato libro di Ledda, si potevano ricordare, tra gli autori italiani moderni, Ferdinando Camon e il suo Super-baby (storia di un padre che vuole un figlio a tutti i costi e lo vuole genio), alcune opere di Umberto Veronesi, che spesso pone al centro dei suoi romanzi il rapporto padre-figli, a cominciare da Per dove parte questo treno allegro per finire a Caos calmo, premio Strega 2006.
Come non citare Italo Svevo e La coscienza di Zeno, tutto incentrato su un difficile rapporto padre-figlio? Con piccola forzatura, si poteva comprendere X agosto di Giovanni Pascoli, che ancorché pubblicata nel 1896 appartiene a buon diritto alla poesia del ‘900.
Certamente avrei citato la bellissima poesia di Camillo Sbarbaro, Padre, se anche tu non fossi il mio…, che udii la prima volta, e con grande emozione, in uno splendido salone di Palazzo Vecchio a Firenze (avrò avuto otto o nove anni ed ero solo con mio padre). Ecco: per esempio questa, che è stata definita a ragione “una delle più felici liriche d’ispirazione paterna del nostro ‘900”, sarebbe stata una bella traccia “in positivo” per gli studenti.
Con la letteratura straniera le cose sarebbero state forse più facili: l’Herzog di Saul Bellow che parla di “fame paterna” o la Chantal di Milan Kundera la quale osserva che gli uomini si sono “papaizzati” perché “non sono più dei padri, ma solamente dei papà, ossia dei padri cui manca l’autorità di un padre”, potevano essere altrettanti spunti per esaminare l’inevitabile riflesso letterario di una profonda trasformazione paterna in corso. Chi avesse avuto conoscenza di letteratura mitteleuropea avrebbe potuto mietere fra numerosi autori che hanno avuto un occhio molto attento alla psicologia del rapporto padre-figli e alla sua evoluzione nel Novecento: dal galiziano Joseph Roth al praghese Franz Werfel, dal citato Kafka all’ungherese Sandor Marai, al viennese Stefan Zweig, al tedesco Peter Weiss. Insomma, sia per quanto riguarda poesia e letteratura italiana che per quella straniera gli esempi – non solo negativi! – non mancavano.
Molti, come me, si saranno chiesti a quali temi erano andate le preferenze dei giovani. La traccia più seguita in assoluto è stata quella sul “Valore del paesaggio”, nell’ambito storico-politico, scelta dal 23,2% dei maturandi, A seguire, il tema di ordine generale sui significati del confine, con il 22,4%. Al terzo posto – ambito tecnico-scientifico – “L’uomo e l’avventura dello spazio” (16,9%) e quindi il “nostro” tema sul rapporto padre-figli, scelto dal 15,8% degli studenti. Seguono, via via, gli altri temi, fino all’analisi del testo di Umberto Eco, scelta dal 6,2%.
Fra i liceali, però, la traccia più scelta è stata proprio quella del rapporto padre-figli, svolta dal 22,5% dei candidati.
Comunque, ciò che mi premeva mettere in luce oggi era il senso che leggo in questo compito di Maturità. Rilevata con rammarico la lettura solo “in negativo” della figura paterna che è stata offerta ai maturandi, possiamo tuttavia cogliere nella prova almeno questo: nel bene e nel male il padre ha assunto un suo ruolo, una sua specifica funzione. Ha trovato un posto nella riflessione e nell’analisi collettiva. Che oggi ne ricercano gli aspetti, compresi quelli mancanti, non solo nel presente ma nel passato, perlomeno quello prossimo.
* Presidente dell’I.S.P.