di p. Antonio Consonni
Le considerazioni fino a qui svolte sul prete e i suoi affetti (1) e il ‘posto’ della Chiesa nel mondo moderno (2) sarebbero inutili se non si riferissero alla sua origine. L’origine della Chiesa e del prete e dei suoi affetti è Gesù, uomo proveniente da Nazaret, figlio del Padre. A quella radice, a quel principio dobbiamo ritornare, per ricomprendere il senso di tutto.
Nella cultura ebraica era necessaria la fecondità generativa. Gesù di Nazaret vive e cresce nel mondo ebraico dove il celibato non era praticato, anzi era apertamente condannato. I Rabbini erano sposati. Non essere sposato era considerato una trasgressione al precetto “Siate fecondi e moltiplicatevi” (Genesi 1,28) diventato poi un comandamento della Legge Ebraica. È nell’inconscio collettivo che la fecondità e la generatività siano il segno della pienezza della vita a tal punto che chi non può avere figli – oggi come un tempo – è psicologicamente frustrato e, in una cultura religiosa, maledetto da Dio.
Gesù era ebreo e, almeno in teoria, avrebbe dovuto essere sposato, ma scelse di non sposarsi. Di rimanere celibe. Così ci narrano quasi tutte le confessioni cristiane (Cattolici, Ortodossi, la maggioranza dei Protestanti ecc…). Nei 4 Vangeli canonici non troviamo traccia di una eventuale sposa di Gesù e questo è un dato di fatto, ma dobbiamo ricordare che esistono almeno un centinaio di altri testi, chiamati Apocrifi, in alcuni dei quali troviamo cenni su questo argomento[1].
Gesù è stato innamorato. Dell’umano comune. Di Dio suo Padre. Del mistero e della magia della vita in cui intravedeva la traccia/l’ombra di una provvidenza generosa, generatrice di vita. «Il rabbi di Galilea si lascia toccare dalle donne, accarezzare, baciare, profumare, cospargere d’unguento prezioso, asciugare i piedi con i capelli. Gli incontri con donne sono per l’uomo Gesù occasioni di cambiamento profondo. Con Gesù la corporeità diviene comunicazione affettiva della sequela»[2]. Le sue parole, i suoi gesti e la sua visione di vita sono piene di questa incandescenza amorosa.
Gesù stesso non ha solo parlato di amore per il prossimo, si è comportato da uomo capace di amare e di essere amato. Sin dall’inizio si è scelto un gruppo di uomini e di donne per costituire la prima comunità che ha voluto educare con pazienza e onestà, con dolcezza ma anche con duri rimproveri. Era la comunità dei suoi amici e delle sue amiche, persone con le quali ha condiviso i giorni buoni e alle quali ha poi chiesto che vegliassero con lui mentre l’angoscia gli attanagliava il cuore. E quando Pietro vive la negazione di aver conosciuto Gesù come un grande tradimento del cuore, Gesù stesso risana la ferita con una domanda che continua a suscitare tenerezza: «Pietro, mi vuoi bene tu?». Gesù desiderava, chiedeva che i suoi amici lo amassero. Di fronte alla tomba di Lazzaro Giovanni dice che «Gesù scoppiò in pianto» perché «Gesù voleva molto bene a Lazzaro, a Marta e a Maria».
Se hai pazienza e curiosità di leggere i vangeli e di entrarne in profondità scoprirai proprio tutto questo: le sue parole, i suoi gesti e la sua visione di vita sono piene, pienissime, di questa incandescenza amorosa. La sua esperienza ricapitola così ciò che narra la Bibbia, il Libro di tutti i libri), per i cristiani la Parola di Dio, ragione del vivere e del credere.
Nel Primo Testamento il rapporto dell’uomo con Dio è reso attraverso la metafora degli amanti: il Signore è lo sposo e la sposa è il suo popolo. In espressioni di densa sensualità e appassionata poesia il Cantico dei Cantici esprime il legame fra Creatore e creatura nella sottile, continua, irresistibile attrazione erotica.
Nel Secondo Testamento il patto d’amicizia, l’Alleanza, l’Amore, si rigenera nella ‘corporeità’ di Gesù. L’irruzione di Dio nella storia attraverso il Figlio e la permanenza dell’amore divino sono esaltate in un’ulteriore metafora coniugale: Cristo è lo sposo e la Chiesa è la sua sposa». [3]
Non meno ricco di metafore è il linguaggio dei grandi mistici, così pregno di eros: anche qui ricorrono immagini che accostano l’amare e il perdersi, il precipitare, il naufragare, il confondersi con l’altro, l’annientarsi, l’impazzire, il morire. L’attrazione / repulsione verso il grembo della donna, il grembo materno, il grembo della terra in cui il nostro corpo alla fine verrà riaccolto e sepolto, il senso di vertigine davanti a un vuoto che attira a sé e lo spasimo tra resistere e cedere costituiscono altrettanti termini di un universo simbolico che anima molta poesia d’amore[4].
Da secoli, nella Chiesa cattolica, vivono preti sposati. Si racconta che il cardinal Husar, padre della rinascita spirituale della Chiesa ucraina, un giorno abbia detto: “In un palazzo di Leopoli, in Ucraina, vivono due famiglie cattoliche, una di rito latino, l’altra di rito greco, entrambe hanno un figlio seminarista. I futuri sacerdoti, che da bambini erano compagni di scuola, una sera d’estate, mentre sono in vacanza, escono insieme per bere una birra e conoscono in un pub due ragazze di cui si innamorano. Ma quando tornano a casa e si confidano sul sentimento sbocciato nei loro cuori, e ognuno lo fa ovviamente con i propri genitori e fratelli, la famiglia di rito greco festeggia e l’altra famiglia piange”.
Per gli orientali, non è che i sacerdoti possono sposarsi, ma sono le persone già sposate che vengono ordinate. La stessa cosa esiste nella Chiesa di rito latino, come eccezione, dai tempi di Pio XII. Papa Pacelli ha ricevuto ex sacerdoti anglicani che volevano entrare in comunione con Roma e, sposati, sono stati ordinati sacerdoti. Papa Benedetto stesso con la costituzione Anglicanorum coetibus ha stabilito che questa eccezione, nel caso degli anglicani, possa continuare. Quindi ci sono già delle eccezioni.
“La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”. La vicenda mette in gioco ancora una volta il rapporto tra tradizione e tradizionalismo sul quale la Chiesa di oggi si sta confrontando. Per qualcuno la tradizione è qualcosa di immutabile che la Chiesa custodisce e trasmette senza alcuna variazione, mettendola così al riparo dal subdolo e pericoloso tempo presente. Assumono cioè lo stesso meccanismo difensivo che li ha portati a leggere il Concilio Vaticano II solo nella misura in cui confermava ciò che lo aveva preceduto.
Il gesuita francese Michel de Certeau sosteneva invece che la tradizione del vangelo non si attua nelle chiese secondo il paradigma della ripetizione, ma piuttosto della riforma, delle “rotture instauratrici”, del recupero di ricchezza come appello del futuro secondo Dio che la tradizione del Vangelo contiene. L’autentico processo di tradizione è insieme fedeltà e rinnovamento: la prima chiede il secondo e reciprocamente. Questo processo non funziona primariamente attraverso eliminazioni e aggiunte, ma piuttosto riportando ogni aspetto della propria tradizione al suo centro, Gesù Signore secondo la testimonianza apostolica, e lasciandolo misurare da esso.
L’eros alla radice dell’umano comune e quindi dell’esperienza di fede autentica. L’eros ha bisogno della fede. La pienezza della vita, vocazione unica di tutti, non chiede di spegnere le passioni ma di convertirle. Oggi il discorso su eros e agape è ridotto a etica, impoverito a morale, tra divieti e sanzioni. Nel Medioevo c’era una teologia delle passioni: come strumento rivelativo. L’eros ha oggi bisogno di essere custodito, difeso, e di qualcuno che torni a farlo parlare con il suo vero linguaggio, quello dell’esperienza religiosa, perché «l’obiettivo del desiderio, nel suo slancio originario, è Dio» (O. Clément). Liberare il desiderio per desiderare Dio. Ciò che la fede non custodisce, non ama, non cura e non difende, ciò che lascia fuori dalla sua porta, diventa oggetto di rapina perché «l’eros è la forma più minacciata e più pericolosa dell’amore, sempre sull’orlo dell’abisso» (H. Gollwitzer). L’eros ha bisogno della custodia della fede non per essere regolamentato, ma per poter fiorire in tutta la sua bellezza. A esplorare questo territorio intermedio, polemico per sua natura, i monaci poeti possedevano una vera teologia della passione amorosa, mentre noi ci accontentiamo di un’etica degli affetti, di una serie di prescrizioni.
È urgente che la Chiesa riprenda a trattare i temi vitali dell’uomo, come il grande dono dell’eros, una spiritualità che parli al cuore, il posto del corpo, l’al di là, il rapporto con la natura e il cosmo, facendone una teologia, riconoscendoli come luogo teologico, e non riducendoli solo a una morale. Ogni vivente ha una vita affettiva, parte alta e forte della sua identità, necessaria per essere felice. Possiamo negarla, ma non eliminarla. La dimensione degli affetti, fondamentale per l’equilibrio della persona, necessaria per vivere (se non amiamo, non viviamo, 1Gv 3,14), e per vivere con gioia, è un autentico luogo teologico: l’amicizia rivela qualcosa di Dio.
Ogni vivente nasce come persona appassionata, e quel malinteso spirito religioso che ci spinge a negare le nostre passioni inaridisce le sorgenti della vita e rende molti cristiani dei predicatori di cose morte. Bisogna non tanto soffocare, ma convertire le passioni; non raggelare, ma liberare i desideri per desiderare Dio. Soltanto chi ama la vita è sensibile al richiamo del Vangelo: «Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». (Fine)
* Religioso, educatore della Congregazione della Sacra Famiglia. Martinengo (Bergamo)
[1] Tutti i Vangeli, Canonici ed Apocrifi, furono scritti svariati decenni dopo la morte di Gesù, attingendo ad una fonte comune, denominata “Fonte Q”, che consisteva in una serie di “detti di Gesù” che veniva tramandata oralmente ed è ragionevole pensare che, in ciascun Vangelo, l’autore abbia inserito solo ciò che gli stava a cuore per affermare la sua tesi personale sulla figura di Gesù ed omesso ciò che poteva dargli fastidio. Il principale problema dell’argomento che andiamo trattando è che la tesi teologica che, nel corso dei secoli, ha avuto il sopravvento, è che Gesù era contemporaneamente “vero Dio e vero uomo” e, essendo uomo, è ragionevole pensare che adempisse a tutte le funzioni caratteristiche del mammifero uomo, per esempio che defecasse ed orinasse. Per lo stesso motivo è difficile pensare che sia giunto fino alla morte senza aver mai avuto una eiaculazione. Pensare il contrario significherebbe cadere nell’eresia Docetista (condannata dal Concilio di Nicea nel 325 d.C), che affermava che il corpo di Gesù era apparente e che Egli era solo Dio. D’altra parte anche la terza grande Religione nata in ambiente semitico, l’Islam, aborriva il celibato: il profeta Maometto era sposato e, per un miliardo ed ottocento milioni di Musulmani sarebbe impensabile il contrario. Fatte queste premesse, vediamo quali documenti potrebbero gettare un po’ di luce sul problema della sessualità di Gesù.
[2] MARCO GARZONIO, Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura de i vangeli, La biblioteca di Vivarium, Milano 2005
[3] MARCO GARZONIO, Eros e creatività, in (ed.) MARCO GARZONIO, Il cuore dei preti. L’educazione sentimentale e affettiva dei preti, San Paolo, Milano 2010, pagina 82.
[4] Garzonio, 90. Era così innamorato Gesù che qualcuno ha osato addirittura affermare che si fosse innamorato di una donna sola: Maria di Magdala. Questo si racconta nel Vangelo di Filippo dove si afferma che lo baciava sulla sua bocca; oppure nell’Ultima tentazione di Nikos Kazantzakis, Editore N. Crocetti; oppure nel Codice da Vinci (2003) di Dan Brown; nel suo libro cita, modificandolo, un passo del Vangelo secondo Filippo a sostegno della tesi centrale nella trama del romanzo relativa al presunto matrimonio tra Gesù e la Maddalena. «E la compagna del Salvatore è Maria Maddalena. Cristo la amava più di tutti gli altri discepoli e soleva spesso baciarla sulla bocca. Gli altri discepoli ne furono offesi ed espressero disapprovazione. Gli dissero: “Perché la ami più di tutti noi?”» (Dan Brown, Il codice da Vinci, 2003, p. 288). In realtà Dan Brown tralascia di riportare l’incipit del paragrafo: «La Sofia, che è chiamata sterile, è la madre degli angeli. E la compagna del Salvatore… La teologia gnostica prevede alcune divinità dette eoni, il cui numero varia a seconda delle varie religioni gnostiche (solitamente 9). Secondo gli gnostici due di questi eoni, Cristo e Sophia, corrispondenti rispettivamente al Figlio e allo Spirito Santo nella Trinità, si sono incarnati rispettivamente in Gesù e in Maria Maddalena, perpetuando sulla terra il loro legame celeste. Il passo potrebbe dunque essere inteso nel senso letterale fornito dal romanzo, oppure come una allegoria di una precisa visione teologica.[22] Inoltre, in questo stesso vangelo, il bacio sulla bocca è un segno rituale comune anche agli altri personaggi perché «il Logos viene da quel luogo, egli nutre dalla sua bocca e sarà perfetto. Il perfetto, infatti, concepisce e genera per mezzo di un bacio. È per questo che noi ci baciamo l’un l’altro. Noi siamo fecondi della grazia che è in ognuno di noi».