di Maurizio Quilici *
I riflettori mediatici illuminano sempre di più il caso di Elena Massaro, la madre di Ostia (Roma) che si batte perché non venga attuato il provvedimento del Tribunale per i minorenni di Roma che ha affidato il suo bambino al padre, stabilendo per lei un permesso di vista ogni 15 giorni.
Parliamone, sia pur brevemente, per inquadrare la vicenda poiché è facile prevedere che essa diverrà motivo di polemiche e veleni nel prossimo futuro, contribuendo ad esasperare gli opposti schieramenti che regolarmente si affrontano quando si presenta il caso di un minore conteso fra i genitori.
Dunque un giudice minorile, al termine di un lungo contenzioso fra i genitori separati, ha affidato il figlio, di nove anni, al padre, ritenendo, sulla base di perizie, che l’ostilità e il disagio manifestati dal bambino nei confronti del genitore fossero esclusivamente un comportamento volutamente indotto dalla madre e non avesse altre motivazioni.
I centri antiviolenza e le associazioni che hanno aderito al movimento anti-Pillon (come Differenza Donna e la rete dei Telefoni Rosa) hanno contestato fortemente la decisione del Tribunale. In un comunicato, le associazioni sottolineano che il bambino “ha paura del padre, che non frequenta da oltre sei anni”. Secondo le associazioni, “ancora una volta la cosiddetta PAS, la sindrome da alienazione parentale (…), giudicata senza fondamento da una sentenza della Cassazione, viene utilizzata contro una donna e suo figlio da un Tribunale italiano”. Sulla PAS non tornerò in questa occasione; credo che la posizione dell’I.S.P. sia ormai nota ed è perfettamente in linea con quella espressa nella sentenza n. 6919/2016 dalla Cassazione: nella sentenza il giudice deve giustamente prescindere dalla validità scientifica o meno della Sindrome da alienazione, visti gli opposti orientamenti in materia, ma doverosamente accertare se quei comportamenti alienanti descritti nel quadro della PAS siano stati posti in essere da uno dei genitori contro l’altro. Il comunicato si riferisce, evidentemente, alla più recente sentenza 13274/2019 della Suprema Corte. In essa i giudici, accogliendo alcuni motivi del ricorso presentato da una madre, sembrano in effetti fare una marcia indietro (non sarebbe la prima volta); tuttavia essi non dicono che la PAS è “senza fondamento” ma che “non essendovi certezze nell’ambito scientifico a riguardo, il Giudice del merito, ricorrendo alle proprie cognizioni scientifiche oppure avvalendosi di idonei esperti, è comunque tenuto a verificarne il fondamento”. Che è, mi pare, cosa non tanto lontana dalla precedente sentenza del 2016.
Nello stesso comunicato si legge che il decreto è fortemente e sicuramente lesivo della salute psico-fisica di Laura e soprattutto di suo figlio”. Laura Massaro e quanti la sostengono mettono sotto accusa psicologi e assistenti sociali, colpevoli – a loro avviso – di perizie superficiali ed erronee. E naturalmente il giudice autore del decreto.
Una visita domiciliare di due assistenti sociali a casa del bambino (secondo qualcuno al fine di prelevare il bambino) è fallita a causa della presenza di numerosi giornalisti e cameramen. Questo ha provocato una protesta della Presidente dell’Ordine degli assistenti sociali del Lazio, Patrizia Favali, la quale, in un comunicato, ha definito “gravissimo il fatto che una visita domiciliare, programmata in una situazione di tutela di un minore su mandato del Tribunale, sia stata letteralmente sabotata attraverso la presenza di operatori dell’informazione che si sono prestati alle richieste della madre, Laura Massaro, aderendo alle sue posizioni”.
A questo proposito, devo sommessamente notare che casi come questo sono spesso affrontati in modo tutt’altro che imparziale da testate giornalistiche (o radiofoniche o televisive). Che una associazione di categoria prende una posizione netta e magari non imparziale è comprensibile (anche se non proprio condivisibile); che lo faccia una testata giornalistica, magari nazionale, è francamente inaccettabile. Eppure spesso situazioni delicate che vedono protagonista una madre o un padre sono trattate sui giornali in modo fazioso e di parte, affrontate da una giornalista o da un giornalista a seconda che si tratti di sostenere una donna o un uomo. Un tempo – posso testimoniarlo per una lunga pratica giornalistica alle spalle – non era così.
Regola aurea del giornalismo, poi, vorrebbe che in una polemica si riportasse sempre – ove possibile – la voce dei due contendenti e le diverse versioni delle parti a vario titolo coinvolte. Nella vicenda in questione basta andare su Internet per vedere il diverso risalto che hanno avuto sui media le iniziative di Laura Massaro e quelle a suo sostegno (sit-in, appelli, lettere ai politici, dichiarazioni, comunicati, costituzione di un Comitato…) e il commento di Patrizia Favali (accenno appena al fatto che questo Istituto è stato spesso critico nei confronti dei Servizi Sociali), ma soprattutto quello di Alida Montaldi, Presidente del Tribunale per i minorenni di Roma, ritenuta in qualche modo responsabile della decisione e fatta oggetto di varie pressioni perché ponga rimedio all’”ingiustizia”.
Vediamo più da vicino la nota del giudice Montaldi. In essa il magistrato osserva anzitutto che “avverso le decisioni del Tribunale per i minorenni possono essere azionati, con tempestività ed efficacia, gli stessi mezzi di impugnazione previsti per tutte le decisioni del giudice civile di primo grado, anche volti a sospenderne l’esecuzione, senza alcun limite che possa derivare dal loro contenuto”. Aggiunge quindi di non avere alcun potere di intervento su un provvedimento emesso da un giudice del suo Tribunale e neppure quello di commentarlo. Osservazioni ovvie e scontate per chiunque abbia un minimo di competenza giuridica.
Ancora una volta, dunque, serenità, equilibrio, imparzialità, oggettività di giudizio (per quanto possibile) nell’esame della fattispecie scompaiono per lasciare il posto ad affermazioni di principio dettate da impostazioni ideologiche e settarie. I pro-padre e i pro-madre si fronteggiano pieni di astio, adducendo naturalmente il benessere del bambino. Del caso Massaro, temo, sentiremo parlare ancora per molto. Con buona pace di quella “cultura della separazione” che tato auspicava in anni passati il neuropsichiatra infantile Giovanni Bollea.
* Presidente dell’I.S.P.