Come sociologa, ma soprattutto come Consulente e Mediatore Familiare, conosco da vicino la sofferenza legata alla cattiva gestione dell’affido condiviso.
Esso dipende sostanzialmente dalla relazione che si ha con l’ex partner, perchè al di là delle disposizioni del Giudice se due persone scelgono di separarsi e allo stesso tempo scelgono di rispettarsi e volersi bene la genitorialità è preservata.
Mi rendo conto che lo stesso lavoro di Mediazione Familiare spesso non è efficace nel momento in cui non è affiancato da un lavoro individuale su di sé. Purtroppo, molte persone non hanno né il tempo né le possibilità economiche per affrontare un doppio cammino di conoscenza e perdono. Ritengo pertanto che sia meglio farsi sostenere prima individualmente e solo dopo aver compreso le proprie responsabilità ed esser riusciti a perdonarsi reciprocamente per tutto il male agito e subìto è bene arrivare alla mediazione familiare, che è utile per mettere in risalto il valore della genitorialità.
Se non si comprendono le proprie responsabilità nelle dinamiche relazionali che hanno portato al fallimento del matrimonio, si resta invischiati in un atteggiamento vittimistico che non aiuta a godere della propria vita e si può continuare a nutrire sentimenti di rabbia che impediscono di uscire dalle dinamiche del conflitto. Troppo spesso, infatti, si continua a litigare per anni anche dopo la separazione, nella convinzione che con l’ex partner sia davvero impossibile comunicare.
Sicuramente siamo diventati meno resistenti alla frustrazione che accompagna i momenti di crisi, specie quando essi diventano periodi lunghi, e il valore della famiglia ha perso la capacità di orientare il cammino della coppia, dove spiccano sempre di più gli egoismi individuali. In questo contesto si avverte l’urgenza di tornare a sorridere deresponsabilizzandosi dell’impegno preso nel preservare il diritto dei figli a crescere con una madre ed un padre che si rispettano.
Nell’intimità di una famiglia si arriva a trattare “l’altro” come trattiamo noi stessi; se abbiamo pertanto verso di noi delle aspettative elevate di soddisfazione individuale e siamo ipercritici tenderemo ad avere questi stessi atteggiamenti di rifiuto delle fragilità altrui anche con i familiari che vivono con noi, per questo è bene fare un percorso di consulenza familiare individuale quando ci si rende conto che non si è capaci di accettarsi e di volersi bene anche negli aspetti che meno ci piacciono. Non serve a nulla, anzi peggiora la percezione di sé, il giudicarsi inopportuni perchè nutriamo dei sentimenti destabilizzanti: che sia la rabbia, la paura, la noia, la fragilità od altri scomodi aspetti di noi che ci rimandano una sensazione di inadeguatezza allo stare al mondo. Se esistono, vanno considerati come degli aspetti di noi stessi che possono rivelarsi delle ottime risorse qualora impariamo a viverle serenamente. Ciò avrà degli effetti benefici anche nei termini di una maggiore tolleranza degli altri. Con la consulenza familiare si può comprendere il proprio vissuto e quanto esso influenzi la percezione del presente, in consulenza si impara a comprendere i propri comportamenti e le proprie responsabilità nelle dinamiche del conflitto che ci appesantiscono il quotidiano, si può anche imparare a comunicare rispettandosi e rispettando l’altro. Il percorso è utile per imparare a dare un valore alle scelte che si compiono, scelte che possono darci un senso, un sorriso.