L’applicazione concreta dell’affido condiviso, per evitare che nella pratica possa ridursi ad una previsione solo normativa, credo che in buona parte dipenda dalla stessa formazione degli avvocati matrimonialisti, che hanno il difficile compito di informare e sensibilizzare i propri clienti sul significato stesso dell’affido condiviso, affinché nella prospettiva di assicurare ai figli minori un equilibrato sviluppo psico-fisico, venga predisposto ed attuato un programma concordato per l’educazione, la formazione, la cura e la gestione degli stessi.
Considerando i profili pratici, altro compito di un avvocato familiarista sotto il profilo deontologico è quello di facilitare la ripresa dei rapporti tra i rispettivi coniugi, nell’interesse prioritario dei minori e soprattutto per una migliore gestione degli stessi.
Ecco perché ribadisco l’importanza di un’adeguata formazione da parte degli avvocati che decidono di occuparsi del diritto di famiglia e più in particolare delle vicende di separazione, sia dal punto di vista giuridico che deontologico.
L’avvocato matrimonialista dovrebbe avere sempre come obiettivo quello di difendere i bambini nelle vicende dolorose di separazione, prima ancora dei genitori, richiamando con efficacia questi ultimi, quando necessario, da comportamenti sconvenienti e dannosi per i figli.
Credo, infatti, che l’affido condiviso non possa trovare concreta attuazione tutte le volte in cui manchi nei genitori che si separano la consapevolezza che la separazione dei genitori non deve diventare anche la separazione dei figli da uno dei due genitori.
La mia pratica professionale mi porta, però, ad affermare che non è sempre facile aiutare i propri clienti a sviluppare tale sensibilità fino a farne un competenza genitoriale, un “abito” mentale; spesso l’elevata conflittualità, la difficoltà a relazionarsi per assenza totale di comunicazione durante e dopo la separazione, la mancata elaborazione dal punto di vista emotivo del lutto da separazione, spinge uno dei due coniugi a strumentalizzare i figli, che così diventano
ostaggi incolpevoli di genitori immaturi.
Per quanto, quindi, sia stato lodevole lo sforzo del Legislatore, ritengo che la soluzione non possa trovarsi a livello solo normativo; occorrerebbe, infatti, mettere in campo anche altre competenze e professionalità che possano cooperare nel raggiungimento di un obiettivo comune: la difesa del minore.
I percorsi di mediazione familiare, a mio parere, dovrebbero essere previsti come obbligatori, onde facilitare la ripresa dei rapporti tra i coniugi nell’interesse dei figli; sono convinta, infatti, che solo con il superamento del conflitto interpersonale, i genitori separati saranno in grado di aderire ad un programma educativo comune.
Quanto alla disposizione di cui all’art. 709 ter cpc, non mi sono mai avvalsa di tale istituto processuale, che anche nel Tribunale di Tivoli ha trovato sinora scarsa applicazione, anche in ragione del fatto che spesso è uno strumento al quale la parte, adeguatamente informata sugli esiti, non vuole ricorrere, arrivando a minimizzare poi le condotte dell’altro coniuge.
Non è così infrequente che i clienti tentino di strumentalizzare i propri avvocati.
Spesso mi è capitato anche di constatare come richieste – per es. di trasferimento di residenza della madre con i figli – fossero dettate più da esigenze di carattere personale legate a nuovi legami intrapresi che da presunte esigenze lavorative; in tali ipotesi il padre, pur di non nuocere ai propri figli, piuttosto che opporsi ha prestato il proprio consenso a condizione che si potesse prevedere un accordo più ampio sulla possibilità di incontrarli.
Nel ringraziarLa per il prezioso contributo che ogni volta ci fornisce in ragione dei Suoi approfondimenti sulla materia, porgo i migliori saluti.